Vicenza: Budapest Festival Orchestra, la Fantasia al potere

Che la Budapest Festival Orchestra sia una magnifica macchina musicale è ben noto. Che il suo fondatore e direttore Iván Fischer sia non solo uno squisito musicista, ma anche un intrattenitore di razza, pure. Ma il gusto della sorpresa e l’ecletticità delle “invenzioni” da parte della compagine magiara e della sua guida promettono ogni volta qualche esperienza inedita per gli ascoltatori.

Ieri sera, alla conclusione del concerto inaugurale della quarta edizione del Vicenza Opera Festival, la sorpresa è venuta al momento del bis: i circa cinquanta strumentisti che avevano appena concluso una brillante esecuzione delle trascinanti Danze Romene di Bartók hanno deposto i loro strumenti sulle sedie e hanno dato vita a un’esecuzione corale a cappella di un brano popolare (e beneaugurante) di Antonín Dvorak. Naturalmente non c’era stato modo di raggruppare le voci secondo tessitura – come fanno tutti i cori del mondo in concerto – e questo ha comportato un elemento di difficoltà esecutiva in più, superato brillantemente con un’esecuzione leggera e sentita, omogenea e ben equilibrata.

Ovazioni. E in questo caso il termine non è metaforico. Quando l’Olimpico è affollato come ieri sera – 350 persone: il primo esaurito effettivo (nell’occasione solo le gradinate) da quando è stato cancellato il distanziamento nei teatri – un entusiastico applauso fa il suo effetto. Esperienze ritrovate che per qualche istante mettono in secondo piano i dati di questi giorni sull’evolversi della pandemia, non propriamente rassicuranti.

Il concerto impaginato da Fischer per il ritorno all’Olimpico dopo la raggelante esperienza dello scorso ottobre, avvenuta proprio nelle ore in cui partiva il secondo lockdown teatrale (due esibizioni a sala vuota, appello in diretta streaming per “salvare la musica”), poneva al centro Béla Bartók. Intorno a lui, due dei tre grandi maestri del Classicismo viennese, Haydn e Beethoven.

Il compositore ungherese era rappresentato, oltre che dalle scatenate Danze conclusive – comunque rigorose sul piano dell’analisi e della restituzione etnomusicale, come sempre in Bartók – dal terzo Concerto per pianoforte e orchestra. Si tratta del capolavoro degli ultimi mesi, messo a punto alla fine dell’estate del 1945, quando al musicista emigrato negli Stati Uniti restava pochissimo da vivere: una composizione che commuove per la limpidezza quasi classicistica dei movimenti esterni (Allegretto e Allegro vivace) come pure per la profonda introspezione del movimento lento centrale, Adagio religioso. Si ascolta in questo caso una sorta di preghiera laica “in limine vitae” di superiore ed emozionante serenità.

Al pianoforte sedeva Dénes Várjon, impegnato in una parte che offre qualche spunto solistico tradizionale, ma soprattutto vede la tastiera dialogare quasi da pari a pari (e a volte contrapporsi) con l’articolatissima parte orchestrale, caratterizzata da una strumentazione franta e dei molteplici colori, specialmente autunnali. La sua prova è parsa di notevole intensità per colori e fraseggio e di sciolta pertinenza tecnica, in impeccabile equilibrio con la BFO che Fischer ha condotto lungo i sentieri di un’espressività duttile e varia, capace di illuminare la modernità e la forza di questo compositore che è tra i grandi del XX secolo. Richiamato più volte a proscenio, per il bis Várjon non lasciato Bartók, proponendo una spumeggiante esecuzione di una scelta dei Canti popolari ungheresi.

La serata si era aperta con l’Ouverture Coriolano di Beethoven, evidente richiamo al tema “romano” centrale nel festival con L’incoronazione di Poppea, naturalmente in questo caso risolto in chiave morale – nel riferimento al severo personaggio storico – rispetto all’immoralità decadente dei personaggi di cui si parla nel capolavoro di Monteverdi. La pagina beethoveniana è famosa per la sua concisione drammatica, che Fischer e la BFO hanno risolto in energica compattezza, riuscendo nella non facile impresa di “misurare” il suono nel difficile spazio olimpico, senza trascurare le esigenze dell’espressione. Ne è sortita un’interpretazione concentrata ma lontana da certe esasperazioni “romantiche”, capace di mettere in evidenza la qualità strumentale di ogni sezione dell’orchestra.

Grande sfoggio di eleganza stilistica si è avuto infine nella Sinfonia n. 88 di Haydn, che pur essendo forse opera minore, rispetto ai grandi capolavori del compositore austriaco in questo genere, offre un bell’esempio di leggerezza, brillantezza e chiarezza. Guidata dal gesto analitico ma sempre comunicativo di Fischer, la Budapest Festival Orchestra ne ha offerto un’esecuzione luminosa, ricca di colori (magistrale il Trio del pastorale Minuetto, con i fiati brillantemente in primo piano), con tempi assai bene stagliati e sfumature dinamiche di immediata eloquenza.

Cesare Galla
(29 ottobre 2021)

La locandina

Pianoforte Dénes Várjon
Direttore Iván Fischer
Budapest Festival Orchestra
Programma:
Ludwig van Beethoven
Ouverture “Coriolano” in Do minore op. 62
Béla Bartók
Concerto per pianoforte e orchestra n. 3
Joseph Haydn
Sinfonia n. 88 in Sol maggiore
Béla Bartók
“Danze Rumene” per orchestra

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