Bolzano: l’intesa perfetta di Bonato e Pagano
Il concerto perfetto non esiste, tuttavia in alcuni casi la perfezione arriva comunque ad essere perlomeno sfiorata, come nel caso nel concerto che nell’ambito della stagione sinfonica della Fondazione Haydn di Bolzano e Trento ha visto Alessandro Bonato, direttore principale designato dell’Orchestra Haydn e il ventiduenne prodigio del violoncello Ettore Pagano, fresco di Premio “Abbiati” impegnati in un programma interamente russo in cui si confrontano – trovando singolari punti di contatto – il tardoromanticismo di Čajkovski, con il Notturno re minore per violoncello e orchestra, op. 19/4 e le Variazioni su un tema roccocò, op. 33, e il Novecento tormentato Sinfonia da camera in do minore, op. 110a di Dmitrij Šostakovič.
Nel 1870, su invito del suo allievo, il conte Vladimir Šilovskij, i due intrapresero un viaggio in Germania, a Parigi e in Svizzera, per poi recarsi in Italia l’anno seguente. Proprio a Nizza, il compositore scrisse due brani per pianoforte – “Notturno” e “Umoresca” – che dedicò a Šilovskij.
Nel 1873, durante un nuovo soggiorno estivo con il suo editore, Peter Jurgenson, in Svizzera, Italia e Parigi, Čajkovskij completò il ciclo delle Sei composizioni per pianoforte, Op. 19.
La quarta composizione, “Notturno”, venne trasformata nel Notturno per violoncello e orchestra nel febbraio del 1888 a Parigi, appositamente rielaborata per il talentuoso violoncellista Anatolij Brandukov. In effetti, fu Wilhelm Fitzenhagen a trascrivere in precedenza il Notturno per violoncello e pianoforte, versione dalla quale derivò l’orchestrazione successiva.
La prima esecuzione ebbe luogo in occasione di un concerto privato, il 16 febbraio 1888, presso la residenza di Marie de Benardaky, con l’orchestra diretta da Eduard Colonne e Brandukov come solista, sotto la bacchetta dello stesso Čajkovskij. Cinque giorni dopo, il 21 febbraio, l’opera venne presentata al pubblico nel sedicesimo concerto della stagione al Château d’Eau di Parigi, e fu nuovamente eseguita una settimana più tardi nel diciassettesimo concerto della medesima serie.
La versione per violoncello venne infine eseguita anche a Mosca il 6 novembre 1891, in un concerto organizzato dal celebre pianista e direttore d’orchestra Aleksandr Siloti, con Brandukov nuovamente solista e Čajkovskij sul podio.
Le Variazioni su un tema roccocò furono scritte tra il 1876 e il 1877 su commissione di Fitzenhagen che le rimaneggiò pesantemente dando vita ad una versione – per altro approvata dal compositore – eseguita regolarmente fino alla prima metà del Novecento e oggi ancora alternata all’originale ripristinato da Viktor Kubatskij nel 1941.
L’opera è una sorta di omaggio musicale al Settecento, fortemente influenzata dall’arte di Mozart, di cui Čajkovskij nutriva una profonda ammirazione. Dopo un’introduzione orchestrale raffinata, in cui emergono la cura timbrica e la maestria nell’orchestrazione, un dialogo tra archi pizzicati e fiati introduce il corno solista, che presenta un tema cantabile. Su questa melodia si innesta l’intervento del violoncello, da cui si dipanano sette variazioni, arricchite da episodi orchestrali e momenti solistici virtuosistici.
Sezioni liriche e leggere si alternano a passaggi malinconici e profondi, mettendo alla prova l’abilità dell’esecutore e offrendo all’ascoltatore una tavolozza timbrica di assoluto fascino; l’interesse del brano risiede proprio in questa fusione tra gioco stilistico, virtuosismo e fantasia, in un’elaborazione orchestrale che, pur richiamando modelli del passato, porta la firma inconfondibile dell’autore.
In entrambe le pagine direttore e solista mostrano di intendersi a meraviglia: l’arcata rigogliosa, turgida, di Pagano si fonde con l’orchestra guidata da Bonato – a disegnare il suono senza bacchetta – in una costante esplorazione di spunti dinamici intensamente meditati e capaci di creare sfaccettature caleidoscopiche nella narrazione del testo musicale, dando vita ad un dialogo di appassionata sensualità che si sviluppa in un fraseggio morbidissimo e tuttavia lontano da inopportuni sdilinquimenti mielosi.
Tre i bis concessi a furor di pubblico due per violoncello solo – Pianissimo di Pēteris Vasks e Black Run di Svante Henryson – ed entrambi ad alto coefficiente di virtuosismo e la Valse sentimentale di Čajkovskij di nuovo con l’intervento luminoso dell’orchestra e di Bonato.
La seconda parte era invece dedicata alle inquetudini della Sinfonia da camera in do minore di Šostakovič, affinata trascrizione per orchestra d’archi del suo Quartetto n. 8, realizzata nel 1967 da Rudolf Baršaj — celebre direttore d’orchestra e fondatore dell’Orchestra da Camera di Mosca — con il permesso del compositore stesso.
Nell’estate del 1960, Šostakovič si trovava a Dresda per scrivere la colonna sonora del film Cinque giorni, cinque notti di Lev Arnshtam. Sconvolto dalle rovine della città — distrutta nel 1945 dai bombardamenti anglo-americani — e profondamente depresso per le pressioni ricevute a iscriversi al Partito Comunista, il compositore abbandonò il progetto cinematografico e, in soli tre giorni, scrisse invece il suo Quartetto n. 8, che dedicò “alla memoria delle vittime del fascismo e della guerra”.
Tuttavia, la dedica ufficiale cela un significato più personale e intimo. In una lettera all’amico Isaac Glikman, Šostakovič confessa di aver composto quel brano come una sorta di proprio epitaffio, temendo che nessuno gli avrebbe mai dedicato un’opera postuma. Inserì dunque le sue iniziali musicali (D–S–C–H) come tema portante, insieme a citazioni di sue opere passate e di motivi evocativi come la marcia funebre del Crepuscolo degli dei di Wagner e il tema della Sesta Sinfonia di Čajkovskij.
Il quartetto, intenso e profondamente autobiografico, raccoglie memorie di terrore staliniano, illusioni infrante, paure e umiliazioni personali. Le sue cinque sezioni si susseguono senza soluzione di continuità: dal lamento iniziale alla danza macabra, dal valzer ironico ai colpi minacciosi della quarta parte — simbolo, secondo il figlio Maksim, delle incursioni notturne del KGB — fino alla fuga finale, dal tono funebre.
Dopo la prima esecuzione del Quartetto a Leningrado, Baršaj ricevette l’incarico di trascriverlo per orchestra d’archi. Šostakovič, inizialmente scettico, rimase entusiasta del risultato, tanto da affermare: “Suona meglio dell’originale!”. Nacque così la Sinfonia da camera op. 110a, che inaugurò una fortunata serie di trascrizioni orchestrali curate da Baršaj. In segno di riconoscenza, Šostakovič gli dedicò successivamente la Sinfonia n. 14.
Nella sua lettura Bonato, assecondato esemplarmente dall’orchestra, trova una chiave interpretativa imperniata su una tensione costante dei ritmi, articolata secondo agogiche taglienti, illuminata da luci ora livide ora corrusche, il tutto a raccontare la violenza della storia con profondità introspettiva ma anche attraverso il disincantato sarcasmo che è parte fondamentale della pagina.
Successo incandescente e prolungato.
Alessandro Cammarano
(8 aprile 2025)
La locandina
Direttore | Alessandro Bonato |
Violoncello | Ettore Pagano |
Orchestra Haydn di Bolzano e Trento | |
Programma: | |
Pëtr Il’ič Čajkovskij | |
Notturno re minore per violoncello e orchestra, op. 19/4 | |
Variazioni su un tema roccocò, op. 33 | |
Dmitrij Šostakovič | |
Sinfonia da camera in do minore, op. 110a (arr. Rudolf Baršaj) |
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