Pesaro: Adina pop ma voci rossiniane doc

Non sembra revocabile in dubbio che “Adina”, secondo titolo del Rof, in scena al teatro Comunale, appartenga al genere “semiserio”. Che non significa poco serio, ma definisce una drammaturgia nella quale il comico, se si affaccia, ha solo pochi spunti, perché predominano il sentimentale e il drammatico, tipicamente in un’accelerazione che porta i personaggi vicino alla catastrofe prima del lieto fine di prammatica. Introdotto in genere da un colpo di scena che rovescia le carte in tavola e salva chi sembra destinato al peggio. Così l’aveva progettata Rossini esattamente due secoli fa, nello stesso 1818 del “Ricciardo e Zoraide” inaugurale del festival, rispondendo a una commissione giuntagli dal Portogallo e peraltro avvalendosi nella maniera forse più massiccia della sua carriera non tanto e non solo di auto-imprestiti (pezzi di altre sue opere: in questa caso tutti dal “Sigismondo”, opera serissima andata in scena a Venezia nel 1814), ma di apporti esterni anche per un paio di Arie di ottima fattura, che sono sicuramente di altra mano. Ma questo è il massimo che i musicologi sono riusciti ad accertare, e l’identità del collaboratore così capace rimane tutt’ora un mistero.

La nuova edizione di “Adina” presentata al festival pesarese (in coproduzione con il Wexford Festival Opera) punta invece fin troppo nettamente proprio sul comico. Nella regia di Rosetta Cucchi, lazzi e frizzi, gag di tutti i tipi, siparietti vari si sprecano, in una narrazione che finisce per diventare in certo modo meta-teatrale: come se i personaggi e il coro sapessero la finzione che sono chiamati a interpretare e lo facessero capire platealmente, strizzandosi l’occhio a vicenda e strizzandolo anche al pubblico. Rossini pop, insomma. Al pubblico piace anche se l’atmosfera teoricamente dovrebbe essere ben diversa. Ma evidentemente il divertimento viene prima di tutto.

In realtà, la soluzione scenografica ideata da Tiziano Santi sarebbe brillante (così come divertenti nella loro esagerazione sono i costumi di Claudia Pernigotti): tutto avviene dentro e intorno a una grande torta nuziale a tre piani, con tanto di sposini finti sulla sommità che si muovono come mimi. Ogni piano si apre per lasciare spazio agli interni necessari per dare conto dell’esile storiella, nella quale l’annunciato matrimonio fra il Califfo e Adina, la più bella e rispettata del suo serraglio, va a monte per l’inopinata riapparizione del primo amore della fanciulla, il baldo Selimo. I due progettano la fuga romantica, che finisce subito nelle grinfie degli scherani del Califfo. E le cose andrebbero a finire molto male (il vecchio fidanzato viene subito condannato a morte) se il caso non permettesse di appurare che in realtà Adina del Califfo è nientemeno che la figlia. E così si schiva di giustezza l’incombente sciagura di stampo edipico e le nozze che si celebrano sono quelle giuste.

Tutto questo nello spettacolo pesarese diventa occasione di una specie di scatenato Hellzapoppin’ che finisce per relegare sullo sfondo, anzi per ridicolizzare il drammatico e il patetico, non solo il sentimentale. Così, coerentemente con l’assunto, il coro tratta Adina da stupidella, quando deve cantare la sua grande Aria di disperazione, visto che poi, nella cabaletta, la disperazione si trasforma in giubilo. E lei stessa, un po’ ci fa e un po’ ci è, come chi deve recitare una parte ma sa benissimo come andrà a finire la cosa e non fa molto per nasconderlo. Insomma, Rossini va da una parte, lo spettacolo da un’altra. In maniera brillante, gradevole, anche spiritosa ma francamente un po’ troppo diversa dal “testo” (ovvero la partitura).

Quanto a questa, se ne occupa primariamente il direttore Diego Matheuz, debuttante al ROF, alla testa della non sempre precisa Orchestra Sinfonica G. Rossini. Lettura manierata, quella dell’ex “principale” della Fenice: con qualche colore interessante dentro a un fraseggio che non va oltre la misura, mancando però di smalto e di sottigliezza. Una linea mediana che attenua il sentimentale senza trovare sponde di particolare brillantezza. Il coro del teatro della Fortuna non fa vedere grande precisione, ma è chiaro che tutti si divertono da matti a fare il “cinema” che la regista Rosetta Cucchi chiede loro e la resa scenica è apprezzabile. Secondo tradizione pesarese, notevole invece il risalto vocale dei protagonisti principali. Svetta nel ruolo di Adina Lisette Oropesa, soprano di New Orleans (anche lei al debutto), che lavora con efficacia sulla coloratura, sulle dinamiche (notevoli un paio di raffinati “smorzando”) e in generale sulla caratterizzazione belcantistica, servita da un bel timbro seducente e nitido, controllato al meglio in ogni zona della tessitura. Al suo fianco, Selimo ha la tinta chiaro e la prontezza sull’acuto del sudafricano Levy Sekgapane (altro debuttante pesarese), che dovrà migliorare l’efficacia nei recitativi e nel cantabile, ma se si tratta di agilità è già più che una promessa. Il Califfo è Vito Priante, che si propone con eleganza vocalmente un po’ leggera, mentre il suo assistente Alì trova nella verve da caratterista di Matteo Macchioni gli accenti paradossali voluti dalla regia, ma anche la brillantezza delineata da Rossini. Efficace Davide Giangregorio come Mustafà.

Divertimento evidente nel pubblico, alla fine sottolineato dal successo, vibrante e senza ombre. “Adina” replica al Rof il 15, 18 e 21 agosto.

Cesare Galla
(12 agosto 2018)

La locandina

Direttore Diego Matheuz
Regia Rosetta Cucchi
Scene Tiziano Santi
Costumi Claudia Pernigotti
Luci Daniele Naldi
Califo Vito Priante
Adina Lisette Oropesa
Selimo Levy Sekgapane
Alì Matteo Macchioni
Mustafà Davide Giangregorio
Orchestra Sinfonica G. Rossini
Coro Del Teatro Della Fortuna M. Agostini
Maestro Del Coro Mirca Rosciani

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