Verona: Violetta in una casa di bambola

C’erano proprio tutti venerdì scorso all’Arena di Verona: alte cariche dello Stato, con il Presidente Mattarella in primis, la Presidente del Senato, uno stuolo di ministri e poi, sparsi per la platea una folta rappresentanza di “personalità” della cultura e dello spettacolo, tutti in diretta mondovisione; tutti a festeggiare, o meglio a celebrare, insieme al pubblico pagante, l’arte di Franco Zeffirelli che si congedava da questo mondo a pochi giorni dall’andata in scena del suo ultimo allestimento, quello della Traviata, progettato per l’anfiteatro scaligero.

A ben guardare in questa produzione il grande assente è proprio Zeffirelli, tanto ci è parsa distante dalla sua estetica, quella che lo ha fatto amare da generazioni di spettatori.

Si comincia dalla fine, ovvero da un carro funebre che conduce Violetta alla sua ultima dimora, con il feretro benedetto da un prete dal latino parecchio incerto.

La scena, partita su due livelli e incorniciata ordini di palchi in stile Garnier, appare da subito confusa, poco proporzionata, stretta tra le gradinate dell’Arena; un brutto incrocio tra una casa di bambola, di quelle che le bimbe del diciannovesimo secolo agognavano di possedere, e un teatrino dei burattini.
Il décor è tutt’altro che ben realizzato e, anche a voler concedere che i palazzi del démi-monde parigino non brillavano per buon gusto, qui si toccano livelli di notevole sciatteria.
Zeffirelli amava il bello e lo amava nella sua forma più esteriore e qui è esattamente quello che manca.

La regia è casuale, i movimenti delle masse si sviluppano in una ripetitività approssimativa, lontani anni luce da quelli perfetti che il Maestro realizzò nelle stagioni precedenti, dove ad ogni singolo figurante era data una storia da raccontare, creando una serie di controscene perfette.

In questo panorama desolante, fra coriandoli sparati alla festa di Flora e saltimbanchi vari l’azione si trascina senza trovare un senso logico.

Alla fine l’impressione e che si sia messo in scena un pastiche gelido delle precedenti Traviate realizzate da Zeffirelli nel corso della sua lunghissima carriera.

Belli e curati i costumi di Maurizio Millenotti.

Non va meglio sul versante musicale, con Daniel Oren ad infliggere tempi mortiferi e pianissimi che soccombono al volume circense degli ottoni gravi. Per il direttore Traviata sembra essere una trenodia ininterrotta e priva di qualsiasi slancio dinamico; non c’è amore, non c’è pathos, solo noia, tanta.

Aleksandra Kurzak, canta e recita una Violetta di impronta verista, con eccessi di declamato degni di Santuzza, il tutto con qualche difficoltà d’intonazione.

Non fa meglio il giovane tenore Pavel Petrov, che al momento ci pare perfetto per cantare lo Sposino della Lucia, vista l’esilità della voce, e a cui i panni di Alfredo stanno davvero larghissimi.

Un capitolo a parte meriterebbe la sua dizione fantasiosa, ma ci sembra brutto infierire.

Leo Nucci – applauditissimo Giorgio Germont – canta in realtà l’ennesimo Rigoletto, il tutto con mezzi vocali ormai irrimediabilmente usurati.

Fanno decisamente meglio, quando riescono ad emergere dalle pastoie sonore della buca, i numerosi comprimari, a cominciare da Carlo Bosi che canta un Gastone di alto profilo, per proseguire con l’Annina partecipe dell’inossidabile Daniela Mazzuccato.

Bene il Barone Douphol di Gianfranco Montresor e il il Marchese d’Obigny di Daniel Giulianini, meno centrati la Flora di Alessandra Volpe e il Dottor Grenvil di Romano Dal Zovo.

Completano con onore il cast Max René Cosotti – Giuseppe – e Stefano Rinaldi Miliani come Domestico e Commissionario.

Petra Conti e Giuseppe Picone, che firma le coreografie, sono bravi davvero, ma tendono a perdersi nella sarabanda di giocolieri che ingombrano la scena.

Il Coro, preparato da Vito Lombardi, fa la sua parte con diligenza e canta benissimo l’Inno di Mameli in onore del Presidente Mattarella.

Successo cordiale e bis del Brindisi sugli applausi finali.

Alessandro Cammarano
(21 giugno 2019)

La locandina

Direttore d’orchestra Daniel Oren
Regia e scene Franco Zeffirelli
Costumi Maurizio Millenotti
Coreografia Giuseppe Picone
Luci Paolo Mazzon
Personaggi e interpreti:
Violetta Valéry Aleksandra Kurzak
Flora Bervoix Alessandra Volpe
Annina Daniela Mazzucato
Alfredo Germont Pavel Petrov
Giorgio Germont Leo Nucci
Gastone di Letorières Carlo Bosi
Barone Douphol Gianfranco Montresor
Marchese d’Obigny Daniel Giulianini
Dottor Grenvil Romano Dal Zovo
Giuseppe Max René Cosotti
Domestico / Commissionario Stefano Rinaldi Miliani
Primi ballerini Petra Conti, Giuseppe Picone
Orchestra, Coro, Ballo e Tecnici dell’Arena di Verona
Maestro del Coro Vito Lombardi

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4 Luglio 2019 8:01

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