Cremona : un viaggio ragionato nel Lamento barocco

Nella cornice di un programma concepito come un vero percorso drammaturgico, il concerto Ariadne’s Echo, proposto nella acusticamente non felice Aula Magna dell’Università Cattolica da Roberta Mameli, in rosso veneziano, e Andrés Locatelli con il Theatro dei Cervelli, ha delineato un ritratto sfaccettato del lamento barocco, articolando la materia affettiva secondo forme e declinazioni stilistiche diverse, ma tenute insieme da un alto grado di coerenza interpretativa.

L’articolato programma ha costruito un itinerario coerente attorno alla forma del lamento, inteso non come genere fisso, ma come spazio espressivo in cui voce, retorica e struttura musicale si intrecciano. Ogni brano dell’impaginato ha così offerto una diversa angolazione del gesto tragico, in un’alternanza sapientemente costruita tra intensità vocale e meditazione strumentale, tra archetipi noti e repertorio raro.

Il percorso si è aperto con “Lasciatemi morire” dall’Arianna di Monteverdi, nella versione armonicamente “addolcita” da Parisotti e intrisa di eco dannunziane – il Vate fu tra i più accesi propugnatori della riscoperta della musica antica –, pur nell’ambiguità inevitabile della riscrittura, Roberta Mameli ha mantenuto un controllo stilistico fermo, scegliendo un’emissione tesa, priva di languori. La reiterazione della frase si è trasformata in struttura, in ossessiva invocazione spogliata da ogni retorica: un inizio spiazzante, che ha posto subito la parola al centro del discorso.

Dal celebre frammento monteverdiano, si è passati a un anonimo “Lamento d’Olimpia”, di provenienza romana, che ha mostrato una costruzione più fluida e discorsiva. La voce, qui, si è fatta corpo parlante, in costante dialogo con un basso continuo timbricamente ricco (tiorba, cembalo, arpa), sempre al servizio del testo. La drammaturgia interna si è giocata su minime variazioni di accento e respiro, in un equilibrio instabile tra forma e emozione.

A questo primo dittico vocale ha fatto da contrasto la Toccata per la levatione di Frescobaldi, inserita come momento meditativo e di sospensione. L’arpa di Flora Papadopoulos ha condotto l’ascolto all’interno un tempo liturgico, fuori dalla narrazione, ma perfettamente coerente con il clima di raccoglimento che attraversava tutto il concerto. Il gesto era ridotto all’essenziale, l’articolazione minuziosa..

Il ritorno alla voce è avvenuto con “Potesti i lini sciogliere” di Luigi Rossi, cantata da camera di scrittura più ampia e articolata; Mameli ha modulato la linea con eleganza, dosando le variazioni dinamiche e assecondando le curve espressive senza forzarle. Il continuo ha offerto un sostegno discreto, lasciando che fosse la voce a condurre l’evoluzione drammatica. Qui il lamento ha assunto tratti più elegiaci, lontani dall’urgenza iniziale, ma non meno intensi.

La transizione verso l’astrazione è proseguita con “S’io mi parto o mio bel sole” di Domenico Mazzocchi, affidata al flauto di Locatelli. Il principio di variazione ostinata della ciaccona ha offerto un’altra forma di ripetizione, questa volta più strutturale che affettiva. Locatelli ha privilegiato una lettura raccolta, senza concessioni virtuosistiche, in linea con il tono riflessivo del concerto. La forma ciclica ha agito da controcanto al lamento vocale, ribadendone in altro modo la tensione.

Il passo successivo ha condotto a Marazzoli e al suo “Abbattuto dal duolo”, forse la pagina più chiaramente teatrale del programma. Mameli ha saputo alternare registri, oscillando tra declamazione e canto, con grande padronanza del testo e dei suoi affetti. Il continuo ha seguito questa fluttuazione con attenzione, dando corpo al gesto vocale senza anticiparlo. Il tutto è parso un piccolo monodramma, costruito tutto sulla voce e sulla sua capacità di incarnare la parola.

A interrompere questa intensità, ma senza tradirne il filo, è intervenuto il solo strumentale “Marizápalos” di Gaspar Sanz; Leon Jänicke ha restituito la danza spagnola con misura, valorizzando la componente ritmica ma evitando ogni forma di esibizionismo, sempre facendo riferimento ad una leggerezza ben controllata.

Il ritorno conclusivo al lamento è avvenuto con “O me infelice” (Falsirena disperata), anonimo ossessivo e frammentato, tra il grottesco e il tragico. Mameli ha qui evitato di risolvere l’ambiguità drammatica del personaggio, lasciandone emergere le contraddizioni, accentuate da una scrittura instabile. Il continuo ha accompagnato senza irrigidire, seguendo le inflessioni della voce e assecondando un finale sospeso, più interrogativo che risolutivo.

Grande successo di pubblico.

Alessandro Cammarano
(14 giugno 2025)

La locandina

Soprano Roberta Mameli
Direzione e flauto Andrés Locatelli
Theatro dei Cervelli
Cembalo Guillaume Haldenwang
Tiorba e chitarra Leon Jänicke
Violoncello Ludovico Minasi
Arpa Flora Papadopoulos
Programma:
Claudio Monteverdi
Lasciatemi morire, dal Lamento d’Arianna SV22 (Arr. Parisotti)
Anonimo
Mezza tra viva e morta (Lamento d’Olimpia), cantata per soprano e basso continuo
Girolamo Frescobaldi
Tocata per la levatione F 12.45, dalla “Messa della Madonna”
Luigi Rossi
Potesti i lini sciogliere, cantata da camera per soprano e basso continuo
Domenico Mazzocchi
S’io mi parto o mio bel sole, ciaccona, per flauto e basso continuo
Marco Marazzoli
Abbattuto dal duolo, cantata per soprano e basso continuo
Gaspar Sanz
Marizápalos
Anonimo
O me infelice (Falsirena disperata)

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