Padova: Tempeste musicali da Beethoven a Berg con la OPV

“Tempi e tempeste” s’intitola la stagione dell’Orchestra di Padova e del Veneto. Ed era un “meteo” davvero intenso e coinvolgente, soggettivo e oggettivo, pubblico e privato, storico e personale, quello disegnato dal concerto che ha aperto il nuovo anno, all’auditorium Pollini di Padova.

Un itinerario dentro la grande musica tedesca nell’arco di poco più di un secolo, dal 1804 della Sinfonia Bonaparte di Beethoven (altrimenti e più comunemente nota come Eroica) al 1925 della Lyrische Suite di Alban Berg, della quale è stata naturalmente proposta non la versione originale in sei movimenti per quartetto d’archi, ma i Tre pezzi, la trascrizione del secondo, terzo e quarto movimento per orchestra d’archi, dallo stesso Berg realizzata e portata alla prima esecuzione esattamente 90 anni fa a Berlino.

Cronologicamente a metà strada, ma posta ad aprire la serata, la Serenata n. 2, gioiellino elegante di un Brahms nemmeno trentenne, che nella tranquillità del minuscolo principato di Lippe, a Detmold in Vestfalia, andava mettendo a fuoco (si era sul finire degli anni Cinquanta dell’Ottocento) la sua virata classicista, dopo l’exploit romantico del suo debutto compositivo, specialmente nell’ambito pianistico. La Serenata era l’unico momento, nel corso del concerto, per il quale avesse un senso parlare in qualche modo di “serenità” nel fare musica.

Spira in effetti una paciosa pacatezza, in questa “Harmoniemusik” nella quale – secondo tradizione settecentesca – i fiati si ritagliano il ruolo dei protagonisti. Un “mansionario” rispettato da Brahms anche nella scelta di escludere i violini dall’accompagnamento degli archi, puntando a delineare un sostegno armonico di connotazione timbrica più velata con la discreta partecipazione di viole e violoncelli.

Non si può parlare di un capolavoro, per questa Serenata, ma la mano del grande maestro appare più di una volta e specialmente nell’Adagio centrale, laddove la scelta di lavorare intorno a una Passacaglia (con tanto di citazione tematica bachiana) non può non far venire alla mente che qualcosa del genere – con ben altra profondità formale e creativa, evidentemente – avverrà un quarto di secolo più tardi per l’ultimo movimento della Quarta Sinfonia.

Invece, capolavori che senza retorica si possono ben definire assoluti sono sia la Terza di Beethoven che la Lyrische Suite di Berg.  E questo pone naturalmente questioni interpretative complesse, differenziate anche da una constatazione di fatto: la Sinfonia è un caposaldo del repertorio e rischia di soffrire gli effetti della sua popolarità, il lavoro di Berg dal repertorio è invece emarginato abbastanza per essere considerato una rarità nei programmi e rischia quindi di risultare una “terra incognita” per direttori ed esecutori.

A dirigere la OPV il direttore artistico Marco Angius aveva chiamato una bacchetta molto giovane e molto promettente, il trentunenne tedesco Nikolas Nägele, il cui già corposo curriculum dimostra chiaramente l’intensità e la profondità a vasto raggio del suo lavoro. Dopodiché, con la benedetta incoscienza dei giovani ma forte del suo metodo, della sua capacità di lavoro e della sua musicalità, Nägele non si è peritato di accettare un concerto dalle molteplici difficoltà, dimostrando di avere dalla sua tecnica e lucidità analitica sufficienti per venire a capo dell’impresa.

I Tre pezzi dalla Lyrische Suite sono un estratto di rovente intensità del vero e proprio “giornale intimo” musicale che 42 anni dopo la morte del compositore (cioè nel 1977) si è scoperto essere questa partitura: non solo il primo sofisticato approccio dell’autore viennese al metodo dodecafonico, ma una vera e propria composizione segretamente “a chiave”, documento creativo del grande amore di Berg per una donna che non era sua moglie, Hanna Fuchs, esponente dell’alta società culturale di Praga. Numerologia, simbologia, citazioni musicali e letterarie (financo da Baudelaire) costituiscono una trama fitta e densa tutta volta a “narrare” la nascita, lo sviluppo e l’impossibilità di questa relazione.

Eppure, questa sofisticata dottrina più o meno criptica (basti dire che le iniziali dei nomi e dei cognomi due amanti, corrispondenti ad altrettante note musicali, sono continuamente ritornanti nel fluire del discorso) non offusca il prepotente valore soggettivo e drammatico di questa musica affascinante, che Theodor Adorno definì “opera latente” per la sua drammaticità, quasi prevalente sul lirismo che la attraversa. Questa è stata anche la chiave di lettura di Nägele, che ha guidato i duttilissimi archi della OPV in una prova di tecnica sofisticata e di immediata adesione stilistica: suono franto e suggestivo, fraseggio tagliente, ricco di sfumature, equilibrio fra le sezioni e indubbio risalto espressivo.

Forse un po’ spiazzato dalla forza moderna di questa musica, il pubblico ha comunque mostrato alla fine di apprezzare, anche se era inevitabile che i consensi più entusiastici fossero quelli che hanno accolto, alla fine, l’esecuzione dell’Eroica.

Applausi del resto meritati: Nägele ha impostato la sua lettura su un abile equilibrio fra la ricerca del suono e la forza comunicativa dei tempi.

L’OPV in gran forma gli ha corrisposto con brillantezza, ricchezza timbrica, qualità nelle sfumature, e il giovane direttore ha quindi proposto un’interpretazione di forte energia espressiva, che aveva il suo fulcro nella Marcia Funebre – distillata con “ars oratoria” di grande emozione – ma ha illuminato assai bene la tensione epica che anima questa partitura unica, sia nel primo movimento che nel Finale, senza trascurare l’estroversa brillantezza dello Scherzo. Nell’insieme, un approccio con salde radici nella tradizione interpretativa tedesca, ma senza rigidezze, con una forza comunicativa effettivamente giovane e coinvolgente. Piccoli direttori crescono…

Cesare Galla
(17 gennaio 2019)

La locandina

Direttore Nikolas Nägele
Orchestra di Padova e del Veneto
Programma
Johannes Brahms Serenata n. 2
Alban Berg Drei Stücke per archi
Ludwig van Beethoven Sinfonia n. 3 “Eroica”

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