Venezia, 29 settembre 2016
Durante la Terza Repubblica il salotto, o meglio i salotti, divennero luogo imprescindibile per la diffusione della musica. Il crescente disinteresse della promozione di nuove composizioni da parte dello Stato trovò un formidabile, e provvidenziale, contraltare nell’aristocrazia e nell’alta borghesia un po’ blasé che si fece parte promotrice ed attivissima nella commissione ed esecuzione di nuove composizioni da eseguire in concerti privati. I salotti si aprirono dunque ancor più alla musica e divennero imprescindibile vetrina non solo per i compositori emergenti, ma anche per gli autori più affermati.
Saint-Saëns fu tra i protagonisti di questa nuova stagione, come suo solito spesso in controtendenza con i suoi colleghi coevi. Al quartetto per archi giunse dopo aver superato i sessant’anni, quasi, e tutto ciò è tipicamente suo, per ripicca nei confronti di chi avrebbe potuto sostenere una sua qualche incapacità o remora ad affrontare il genere.
Il programma concerto proposto al Palazzetto Bru Zane, protagonisti Andrea Lucchesini ed il Quartetto di Cremona propone tre pagine emblematiche della produzione cameristica di Saint-Saëns.
In apertura La Mort de Thaïs, parafrasi da concerto sull’opera di Massenet, dove Saint-Saëns rilegge la celebre Méditation, insieme al coro delle monache ed al duetto Thaïs-Athanaël, privandolo di qualsivoglia mielosità e ravvivandolo alla luce di una scabra efficacia. Lucchesini smorza ulteriormente, e con grande intelligenza, il discorso musicale, offrendo della pagina un’interpretazione sempre sul filo dell’essenzialità, costantemente attenta a non tradire Saint-Saëns e comunque nel pieno rispetto di Massenet. Dinamiche incalzanti sostengono un fraseggiare rigoroso.
Il Quartetto n.1 in mi minore op. 112 è un capolavoro di contrappunto, di modulazioni ardite, assolutamente moderno nella trattazione dei moduli, il tutto in totale contrapposizione a qualsivoglia dogmatismo. Ne consegue un’opera di grande fascino, ove la trattazione dei singoli strumenti vede in ben più di un momento la preponderanza del violino primo, che solo a tratti depone lo scettro a favore del violoncello. Le sonorità sono piene, gli impasti melodici si frammentano in contrappunti arditi.
Il Quartetto di Cremona dà dell’impaginato una lettura nitidamente lucida, nella quale il dettato del compositore trova piena espressione; unico neo una certa qual freddezza, tanto che a tratti sembra che i quattro strumentisti siano tanto concentrati nella musica da scordare il pubblico. Forse una maggiore empatia non avrebbe guastato.
È invece un Saint-Saëns ventenne quello che compone il Quintetto per archi e pianoforte in la minore op. 14. La giovinezza ed il cimentarsi in un genere non così frequentato all’epoca in Francia non porta tuttavia il compositore ad eccedere. Il pianoforte è sì estremamente presente, ma comunque mai soverchio, le sonorità risultano misurate pur nella loro ricchezza, la sapienza compositiva è già evidente e si mostra nei fugati rapinosi, e nelle scelte armoniche tutt’altro che convenzionali.
Lucchesini ed i quattro archi offrono qui una prova magistrale per intensità e partecipazione fin dall’Allegro moderato maestoso che apre la composizione, affrontato con piglio deliziosamente scapestrato, per sciogliersi poi nell’Andante sostenuto, letto in chiave di meditata introspezione, incalzando nel successivo Presto per giungere all’ Allegro assai, ma tranquillo nel quale ogni forma si dissolve. Successo pieno e meritato.
Alessandro Cammarano
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