Alessandra Maltempo: Silent City e la sublimazione della parola

L’opera reinventata attraverso il silenzio, o meglio i silenzi, di una città sospesa nel tempo eppure modernissima nei suoi contrasti. Silent City sublima questi concetti e Alessandra Maltempo, fondatrice e attrice della Compagnia Teatrale L’Albero, racconta del progetto, della sua genesi e della realizzazione.

  • Come e perché nasce Silent City?

Silent City è uno dei 27 Progetti di Matera Capitale della Cultura che la Fondazione ha co-creato e co-finanziato insieme alla scena creativa lucana. Quando abbiamo candidato il nostro Progetto all’interno del tema che metteva in relazione la città e il silenzio, abbiamo deciso che avremmo condotto l’indagine e restituito la ricerca con il linguaggio dell’Opera Lirica.

Ci sembrava interessante infatti che a raccontare la nostra Città Silente fosse una forma artistica che più di altre restituisce un profondo senso di coralità e comunità. Alla parola si aggiunge infatti la musica con tutta l’enorme portata emotiva che porta con sé. Questo tra l’altro si inseriva in un percorso artistico che la nostra Compagnia porta avanti già da anni, progettando, producendo e mettendo in campo azioni teatrali e metodologiche che hanno non solo l’obiettivo di creare il nuovo pubblico dell’Opera, ma anche di trasformare l’Opera stessa (attraverso una ricerca sul linguaggio e sui metodi di creazione) in uno strumento di dialogo che mette in relazione persone, comunità, culture.

“Silent City” è stato un Progetto particolarmente ambizioso e sfidante se si considera anche un altro dato molto importante ovvero quello che in Basilicata l’Opera Lirica praticamente non esiste. Non ci sono teatri, non ci sono stagioni operistiche. Un forma d’arte assente, silente appunto  esattamente come la città che vuole raccontare. Con Silent City abbiamo quindi voluto dar voce non soltanto alla memoria collettiva di un comunità e alle generazioni silenti di anziani e bambini, ma all’Opera stessa, nel momento in cui questa si trasforma nella voce di un’intera città.

  • Qual’è stato il modo di procedere nella realizzazione dell’opera?

Abbiamo disegnato un processo di creazione in cui tutti gli artisti si trasformassero in ‘mediatori’. Attraverso dei laboratori di co-creazione che hanno visto impegnati il drammaturgo Andrea Ciommiento per la ricerca della storia, la librettista Cristina Alì Farah per la stesura del libretto e il compositore Nigel Osborne per la composizione musicale, abbiamo raccolto e poi elaborato una quantità di materiale enorme. Il risultato è un’opera finale organica che contiene in sé storie, luoghi, parole, piccoli segni e tracce di oltre 150 abitanti di Matera e della Basilicata. Chiunque guarda l’Opera può quindi davvero dire “Quest’opera è anche mia!”, perché la  nostra Opera vuole davvero essere di tutti e per tutti: un momento fortemente comunitario, in cui poter riconoscere la propria storia nella storia di molti. Ciò assume un significato simbolico fortissimo e necessario, soprattutto in questo particolare momento storico e politico.

  • Matera è un luogo dell’anima in una dimensione sospesa e allo stesso tempo entità viva. Come si conciliano questi due aspetti all’interno di Silent City?

L’abbiamo fatto lavorando su una doppia dimensione, temporale e fisica: la città del passato e la città del presente, la città del sotto e la città del sopra, la città del buio e la città della luce. Non solo la drammaturgia, ma anche la musica (orchestrale ed elettroacustica), si snoda su questa doppio binario.
La città dei Sassi è un luogo che silenzioso lo è diventato. Chi arriva a Matera, può godere di un silenzio affascinante, quasi spirituale, ma un tempo non molto lontano non era così: i Sassi erano popolati e quindi chiassosi. Quello che si ascolta non è quindi semplicemente il silenzio di un paesaggio, ma un silenzio che parla perché racconta un trauma, una rottura fortissima fra la città e suoi abitanti. Con quest’opera vogliamo riportare quelle voci di un tempo nella città di oggi attraverso una sorta di passaggio di testimone che avviene tra le due generazioni protagoniste di quest’opera: i bambini di ieri (oggi anziani) e i bambini di allora. Il fanciullo silente dell’opera (che simbolicamente rappresenta la memoria collettiva di una comunità) tornerà ad essere entità viva agli occhi della vecchia madre (l’unica figura che a differenza dei ragazzini protagonisti dell’Opera vive in entrambe le dimensioni) proprio grazie a tre bambini del presente che quel fanciullo perduto hanno ritrovato.

  • La cittadinanza è stata coinvolta nella realizzazione prendendo in considerazione le due fasce d’età estreme, giovani e anziani, ovvero chi di voce ne a meno. Quali sono state le reazioni degli interessati?

Da parte degli anziani di grande incredulità e anche timidezza, poiché non riuscivamo proprio a immaginare in che modo avrebbero concretamente potuto contribuire alla scrittura di un’Opera lirica. I bambini invece, e come sempre, con grande curiosità, come se fin dal primo incontro fossero riusciti ad intuire la straordinarietà di ciò che sarebbero andati a fare. Ciò che quindi per entrambe le comunità ha rappresentato la conditio sine qua non necessaria per portare avanti il processo per due lunghi anni è stato un gesto implicito e significativo: quello di aver riposto fiducia in noi e negli artisti, in chi insomma quel percorso lo guidava. Nessuno di loro (e in parte anche nessuno di noi) avrebbe infatti potuto sapere cosa esattamente sarebbe accaduto; come in ogni processo creativo che si rispetti c’è sempre qualcosa di inaspettato, che però va visto e accolto. In questo senso il patto di fiducia è stato reciproco: noi abbiamo creduto nella forza generatrice delle comunità e loro hanno creduto nella capacità degli artisti di accogliere e trasformare quella forza stessa in un risultato artistico. La relazione di fiducia, e anche di affetto, che via via siamo riusciti a costruire con le nostre comunità si è cementata anche e soprattutto attraverso continue fasi di validazione di ciò che stavamo creando da parte delle comunità stesse. Dovevamo sapere da loro se la storia prima, le parole e i loro racconti personali e la storia della loro città, ma anche il loro modo di sentire e questo per essere certi che Silent City risuonasse in maniera autentica dentro ognuno di loro. Le comunità quindi non come semplice fonte di ispirazione dell’artista, ma come artisti stessi.

  • Quanto è importante il silenzio in un mondo in cui il rumore, inteso anche come esasperazione del linguaggio, è preponderante?

Direi che diventa necessario. Durante i laboratori di co-creazione drammaturgica abbiamo chiesto: qual è il tuo luogo del silenzio? Ebbene, la risposta non era  legata quasi mai  ad una assenza, ma al contrario ad una presenza ancora viva e pulsante che solo in una condizione ‘assenza di altro’ poteva essere vissuta. Così mentre per gli adulti spesso si trattava di luoghi legati all’infanzia  o (nel  presente) a luoghi in cui ritrovarsi con se stessi in una dimensione quasi mistica e spirituale, nei bambini erano luoghi grandi, aperti, immersi nella natura: il vuoto-silenzio quindi come spazio di immaginazione e di nuove possibilità.

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