Alex Esposito: il teatro è come un gioco

Sarà pure stato insignito miglior cantante del 2006, dal Premio “Franco Abbiati” 2007 della critica musicale italiana, sarà pure Kammersänger della Bayerische Staatsoper dal settembre del 2020, ma a noi Alex Esposito, basso-baritono di punta della scuola italiana di canto sembra soprattutto un grande appassionato di musica. Nato a Bergamo nel 1975, ci incontriamo a Parigi dove sta completando il suo ciclo di recite di Don Giovanni con cui ha inaugurato la stagione dell’Opéra National alla Bastille, ma non ho avuto occasione di ascoltarlo, la recita cui assistevo contemplava il cast B, mi è sembrato doveroso rendere omaggio a questo artista che adora il suo lavoro, con un’intervista mentre si accinge ad affrontare una lezione con un pianista accompagnatore del teatro e la sua ultima recita del capolavoro mozartiano. «Questa produzione non è una novità per me, l’avevo già fatta a Salisburgo nel 2008, lì però ero ancora Masetto. Con l’Opéra – mi racconta – il rapporto è molto buono, ho cominciato nel 2012 con Le Nozze di Figaro e poi ci sono tornato spesso. Ci ho vissuto anche il periodo della pandemia dura quando realizzammo la versione filmata de Il flauto magico…». Torniamo alle origini. Come sono entrati la musica e il canto nella sua vita? «Questa è una domanda cui non so rispondere. Ha sempre fatto parte di me. Con il coro della chiesa, in cui cantavo già ragazzino. Interessandomi al teatro e all’opera tramite la tv, che all’epoca ne trasmetteva parecchia. I miei capricci da ragazzino erano, portatemi all’opera. Fortunatamente venivano esauditi. Poi ho cominciato a studiare canto da privatista, con Romano Roma e poi mi sono buttato nella mischia. Il mestiere l’ho imparato sul campo».

Ci sarà stato un debutto ufficiale però… «Sì certo, a Bassano del Grappa con un’opera di Verdi, Il Trovatore. Ero Ferrando e avrò avuto ventitre anni. Il cast era composto dalla Cedolins, da Cecchele e dal baritono Cebrian, tre voci importanti. Mi trattavano tutti come il ragazzino della compagnia. Io lasciavo fare. Posso dire che ancor oggi il mio lavoro lo faccio con lo spirito di quando giocavo al teatro da bambino, con le marionette che agivano sulla base musicale dei miei primi dischi…»

Agli inizi è importante saper scegliere il repertorio giusto, lei come ha fatto? «E’ importante avere, da subito, un agente capace che ti sappia consigliare il repertorio giusto. Sfrutta la voce ancora fresca e il fisico giovane, mi è stato consigliato, e affronta Mozart e Rossini. Sono stati i miei più grandi Maestri di canto. Una scuola di recitazione, oltretutto, per i tanti recitativi che devi fare arrivare al pubblico. Finisci per approfondirli a tal punto da arrivare a valorizzarne anche i silenzi. Rossini, se non stai attento a cosa stai facendo mentre canti, non finisci nemmeno la frase. Al Malibran mi offrirono di cantare la Morte dell’aria di Petrassi in una serata che comprendeva anche Il Cordovano. Avevo paura a cantarla. Ci avevo messo tanto di quel tempo per studiarla e poi tutto si risolse nelle recite che facemmo a Venezia. In quel periodo mettere in cartellone Petrassi era quasi rivoluzionario, non era più il periodo del Teatro delle Novità quando al Donizetti di Bergamo di opere nuove ce n’erano tante ogni anno. Oggi si ricomincia a scrivere opera, speriamo che si vada avanti in questo senso, perché in caso contrario, il teatro d’opera non ha più futuro».

Le è capitato, di recente, di affrontare a Vienna il personaggio di Kaspar in Der Freischütz di Weber e lo ha cantato in tedesco, Che difficoltà comporta cambiare lingua?

«Beh anche il Flauto magico l’ho sempre cantato in tedesco. E’ una lingua che mi piace, anche se la conosco davvero troppo poco. Non è musicale come l’italiano, ma ti offre bellissime possibilità. Il mio sogno è di fare un giorno il Barone Ochs ne Il Cavaliere della rosa di Richard Strauss. La resistenza che c’è ancora ad affidare ai cantanti italiani soltanto personaggi che si esprimono in italiano la dice lunga sulla considerazione che si ha, all’estero, della nostra preparazione. E’ vero che l’artista di scuola italiana ha un vastissimo repertorio nella lingua autoctona cui fare riferimento, ma fare qualche divagazione ogni tanto non fa male, anzi… Alla Fenice c’è qualcosa in ballo in questo senso!».

Ecco, la Fenice: si può dire che è il teatro che più l’ha fatta crescere? «Per me la Fenice è casa. Con la Bayerische Staatsoper di Monaco è il teatro in cui ho cantato di più e cui ho affidato debutti importanti, come il mio primo Filippo II nel Don Carlo, solo per fare un esempio. Mi coccolano, mi trattano come uno di famiglia, ci ritorno sempre con immenso piacere!”.

È importante coltivare interessi che esulano dalla propria attività per un artista?. «Direi che è fondamentale. Altrimenti questo mestiere ti prende tutto. È importante restare informati anche su quello che accade nel cinema, nel teatro di prosa, in campi diversi da quelli in cui ti esprimi professionalmente. Sono tutte cose che entrano nel tuo background personale e cui puoi fare riferimento quando torni sul palcoscenico. Arricchiscono la tua professionalità e ti allontanano dalla quotidianità del teatro d’opera che può diventare nociva se non pensi che a quella».

Ci sono molte cose nuove nel suo imminente futuro. Sono anni di svolta questi, per il suo repertorio? «Ci sono molte cose davvero interessanti nel prossimo futuro, è vero. Parlare di svolta mi sembra forse esagerato. Sono felice di tornare con i Racconti di Hoffmann alla Fenice nei personaggi diabolici che ho già interpretato ma che sono contento di affrontare con un regista come Damiano Michieletto con cui mi sono sempre trovato bene. Sempre alla Fenice è previsto il debutto in Mefistofele di Boito e anche là siamo sul diabolico spinto, in un’opera che non si fa quasi più e che un tempo era di repertorio. A Palermo debutterò invece nei Vespri Siciliani, e anche Procida è un personaggio importante per una voce grave e l’opera è meravigliosa e anche a Palermo lavoro con estremo piacere. Ci sono anche un Messia di Haendel a Santa Cecilia, un Requiem di Verdi a Monaco”.

Allora, auguri Alex, che la vita sia sempre un nuovo debutto!

Rino Alessi

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