Berlino: Il nuovo debutto di Salonen e i Berliner

Affermare che Esa-Pekka Salonen sia tra i più grandi direttori d’orchestra al mondo è ribadire l’ovvio. Ciononostante, il suo nome mancava alla guida dei Berliner Philharmoniker da quasi 40 anni. L’ultima traccia della sua presenza risale ad un concerto del 1986, da cui è stata tratta l’incisione del Romeo e Giulietta di Prokofiev, quando Salonen aveva appena 28 anni. Nelle mie ricerche non ho trovato concerti successivi. Mentre la popolarità del direttore finlandese cresceva di anno in anno, stupiva la sua assenza dal podio dei Berliner. Questo finché l’orchestra non ha annunciato la sua nuova stagione: Salonen sarebbe finalmente tornato e non solo come direttore, anche come compositore in residenza. Una scelta che sa anche di ricomposizione di rapporti interrotti. Ma perché questa assenza di 37 anni? Le ragioni possono essere molte, ma senza indugiare nel pettegolezzo, bastava uno sguardo al concerto di giovedì 19 gennaio alla Philharmonie di Berlino per capire quali siano le ragioni musicali.

Il mondo sonoro di Salonen, infatti, è radicalmente distante da quello dei Berliner Philharmoniker. Il gesto elastico ed elegante del direttore finlandese evita ogni spigolo e tende ad una vaghezza atmosferica che ha disorientato non poco l’orchestra. Non che ci siano stati particolari scollamenti, ma qualche sbavatura nell’inossidabile Filarmonica berlinese tradiva un’insicurezza atipica. Non aiutava il repertorio: Ma Mère l’Oye di Ravel, seguito dalla nuova Sinfonia concertante per organo e orchestra dello stesso Salonen (Olivier Latry all’organo), poi di nuovo Ravel con Le Tombeau di Couperin e infine la suite dal Mandarino meraviglioso di Bartók. Tutti cavalli di battaglia di Salonen, ma non per questo brani di facile esecuzione per l’orchestra. Le suite di Ravel sono particolarmente esposte e la trasparenza della scrittura tradisce anche la più piccola imperfezione, la Sinfonia concertante era alla prima esecuzione tedesca (e seconda esecuzione in assoluto) e il Mandarino meraviglioso crea non pochi ostacoli alle orchestre. Certo, Ravel e Bartók sono brani non rari nei programmi delle grandi orchestre sinfoniche, ma era evidente che l’orchestra cercava (come d’abitudine) un gesto più nitido, ferreo, marcato. Al contempo, Salonen cercava sfumature e un fraseggio duttile, che sfuggisse agli inquadramenti delle battute. Insomma, il dialogo non era dei più facili.

Ovviamente ci sono state sfumature di colore, l’insieme ha retto e i punti più entusiasmanti hanno beneficiato del fenomenale virtuosismo dei Berliner: il livello degli interpreti in gioco è semplicemente troppo, schiettamente alto perché si possa anche solo considerare di suonare “male”. È evidente, però, che ancora non si fosse creata quella connessione totale tra orchestra e direttore, per cui il gesto del secondo si fa suono nella prima. L’ascolto sulla Digital Concert Hall del secondo dei due concerti è già un chiarissimo passo avanti: superato lo choc della prova-concerto, già alla seconda recita compagine e direttore hanno trovato un punto di incontro. Non dovessero passare 30 anni prima del prossimo invito, potrebbe nascere un dialogo veramente interessante tra queste due visioni artistiche.

Un paragrafo particolare, infine, lo richiede la nuova Sinfonia concertante di Salonen. Commissionata da Berliner Philharmoniker, Orchestra Nazionale della Radio Polacca di Katowice, Orchestra Sinfonica della Radio Finlandese, Orchestre de Paris, Los Angeles Philharmonic e NDR Elbphilharmonie, la Sinfonia concertante nasce con l’intento dichiarato di celebrare il nuovo organo del NOSPR di Katowice, ma anche di espandere il repertorio per organo e orchestra, così da valorizzare gli ottimi organi che popolano alcune delle principali sale europee – con l’evidente eccezione di quelle italiane, un vulnus storico che ci preclude alcuni massimi capolavori della storia della musica. La Sinfonia concertante è uno dei più riusciti tra gli ultimi pezzi scritti da Salonen nella forma del concerto solistico (il cui picco rimane il Concerto per violino). L’orchestrazione lussureggiante riesce in questo concerto-sinfonia a trovare un impasto estremamente efficace con le sonorità dell’organo, che è impegnato sia come protagonista assoluto che come sostegno strutturale dell’impalcatura sonora eretta da Salonen. Divisa in tre movimenti (Pavane and Drones; Variations and Dirge; Ghost Montage), il brano dura all’incirca 30 minuti e qui sta uno dei suoi limiti. A più tratti il materiale musicale, al di sotto di questa superficie scintillante, non sembra giustificare appieno l’estensione del brano, che si dilunga senza riuscire sempre a trovare una direzione chiara e forte. Così alcune scelte (una fra tutte l’inserimento dei bonghi, ormai comuni nelle opere di Salonen) appaiono più dettate da un desiderio di produrre un effetto che non da un’intima motivazione musicale. Ciò detto, l’effetto viene raggiunto, anche coadiuvato dall’altissimo livello degli interpreti: oltre a Salonen e ai Berliner, che al netto delle finezze di dialogo riescono comunque a rendere giustizia al maestoso brano, una menzione particolare va ad Olivier Latry, sorprendente virtuoso, abilissimo nel disimpegnare le agilità più contorte così come nel ricercare le combinazioni di timbro più corrette per ogni impasto orchestrale. Unico limite è stata una certa sovraeccitazione. Sulle numerose cadenze (improvvisate come da tradizione e richiesta esplicita della partitura), Latry si avventava sullo strumento tra cluster fin troppo entusiasti e virtuosismi arzigogolati. Sarebbe bastato meno per far comunque funzionare un brano che forse non sarà un capolavoro del nostro secolo, ma sicuramente darà soddisfazione a numerosi organisti. Non mi stupirei affatto di vederlo circolare abbastanza, nei prossimi anni. Certo, come dicevamo, non in Italia.

Alessandro Tommasi
(19 gennaio 2023)

La locandina

Direttore Esa-Pekka Salonen
Organo Olivier Latry
Berliner Philharmoniker
Programma:
Maurice Ravel
Ma Mère l’Oye
Esa-Pekka Salonen
Sinfonia concertante per organo e orchestra
Maurice Ravel
Le Tombeau de Couperin
Béla Bartók
Il Mandarino meraviglioso, Suite Sz 73

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