Fabio Vacchi fra Beethoven e Bach per reinventare il nuovo

Appare sempre più evidente che quando saremo davvero fuori dall’incubo, quel giorno da radioso potrebbe diventare “grigio” se nel nome dell’esaltante quanto imprescindibile ascolto in presenza, sfortunatamente venisse chiuso o ridotto a “gocciolare” il prodigioso, miracoloso rubinetto degli streaming. La sciagura sanitaria ha infatti creato una situazione senza precedenti, quanto meno nel mondo della musica cosiddetta colta: mai le occasioni di ascolto (oltre che di visione) sono state così numerose, multiformi e vaste, stilisticamente ma anche “geograficamente”, spesso provenienti come sono da luoghi fuori dalla portata degli appassionati. Mai tante persone hanno ascoltato musiche che in qualche caso difficilmente avrebbero avuto l’occasione di incontrare nella loro vita. E interpreti di cui spesso potevano solo seguire le imprese da lontano, o ascoltare nella fissità di un’incisione discografica, che è una volta per tutte, mentre lo streaming che nasce dal vivo regala comunque il senso dell’esecuzione “nel momento”.

È chiaro, insomma, che una delle prossime sfide sarà anche tenere in vita questo metodo di fruizione e possibilmente allargarlo e ottimizzarlo, renderlo “stabile” tanto quanto la sognata ripresa dell’attività concertistica normale. E uno dei settori musicali che più dovrà tenere saldi i legami con la tecnologia attraverso la Rete sarà quello della musica contemporanea: una “zona creativa” che storicamente fatica ad aprire i suoi cancelli, per effetto dell’orgogliosa ma deprecabile chiusura in se stessa che ha contrassegnato la seconda avanguardia, quella seguita al 1945. E che anche se ha fatto passi da gigante negli ultimi decenni sulla strada di una comunicativa più aperta e immediata, comunque risulta “di nicchia” anche nei festival dedicati (in primis la Biennale sempre in cerca di una visione più convincente), nei teatri musicali, nelle stagioni concertistiche.

Paradossale dimostrazione del proverbio secondo cui “Non tutto il male vien per nuocere”, oggi grazie agli streaming una messe di novità può essere a portata di mano ben più di quanto non accadesse in epoca “normale”, quando bisognava inseguire le prime assolute per coglierle al volo, visto che non era dato sperare troppo in frequenti e rapide riproposizioni. E nemmeno in pronte ed esaustive incisioni discografiche.

Il discorso nasce dalla fortunata e altamente raccomandabile occasione di ascoltare tre fra le composizioni più recenti di Fabio Vacchi, la cui vena creativa non è stata minimamente rallentata dal lockdown dello scorso anno. A ritroso, si può partire dalla prima esecuzione assoluta, proposta lo scorso 10 marzo dall’orchestra del Maggio Fiorentino diretta da Zubin Mehta, di un brano per orchestra intitolato “Beethoven e la primavera ritrovata”. Lo streaming resterà on line gratuitamente al link https://www.maggiofiorentino.com/events/zubin-mehta-53/.

Si tratta di una sorta di “estratto” strumentale, della durata di poco più di sette minuti, di un lavoro di ampie dimensioni (oltre mezz’ora) che è stato presentato nello scorso settembre a Parigi, un melologo intitolato “Beethoven l’Africain”, reperibile integralmente sulle pagine YouTube del compositore, al link https://youtu.be/HO41Er2Hpp0.

La genesi di questa pagina deriva dalla “triangolazione” fra un racconto della scrittrice sudafricana Nadine Gordimer, Nobel per la letteratura 1991, intitolato “Beethoven Was One-Sixteenth Black” (in italiano lo ha pubblicato Feltrinelli in una raccolta uscita nel 2008), le lettere dal carcere di Nelson Mandela e il fatto che in una di queste il leader antiapartheid racconti come i dialoghi epistolari con gli amici siano per lui un soffio di primavera. Da questi elementi nasce la “drammaturgia paritetica” fra parola e suono, come Vacchi ama definire il melologo, che coltiva da tempo con efficacissima tensione espressiva e comunicativa. La Primavera è naturalmente la Sonata per violino e pianoforte op. 24 di Beethoven, che rappresenta tematicamente un punto di partenza (il primo tema ad essere impiegato da Vacchi è quello del conclusivo Rondò) e allo stesso tempo suona all’ascolto come lo schiudersi di una finestra su un mondo “altro”. La dolce poesia della Sonata beethoveniana diventa nello sguardo creativo di Vacchi l’occasione per un’apertura a culture musicali “altre”, in chiave etnica, con un linguaggio inclusivo e comunicativo che dialoga in maniera davvero coinvolgente con le illuminanti parole di Mandela. Commissionato dalla Paris Mozart Orchestra e diretto nel video (registrato al Palais d’Iena) da Claire Gibault, il melologo è un esemplare caso di colto e sorvegliato umanesimo globale, con cui Vacchi, tramite Gordimer, tende un arco che da Beethoven arriva a Mandela, e lo fa con un rigore duttile, mai retorico, intriso di poesia musicale.

Gli echi di queste riflessioni musicali e drammaturgiche risuonano limpidamente e con una nitida valenza strumentale aggiuntiva, anche nella pagina sinfonica, che il compositore ha messo a punto per il Maggio Fiorentino, dove in teoria dovrebbe andare in scena forse già quest’anno la sua nuovissima opera, l’ironica e dissacrante “Jeanne Dark”, su libretto di Stefano Jacini.

Se Beethoven è per Vacchi un’occasione di gettare lo sguarda all’altro e all’altrove, musicale e in senso lato culturale, Bach gli consente di compiere lo stesso percorso inclusivo percorrendo la direzione opposta, quella dell’interiorizzazione. Si parla qui del suo Quartetto n. 6, intitolato “Lettera a Johann Sebastian Bach”, nato dalla commissione del Quartetto di Cremona e della Società del Quartetto di Milano. Il presupposto bachiano è cruciale nel programma del mirabile concerto che il Cremona ha ideato e impaginato per lo streaming nell’ambito della rassegna promossa dal Comitato Amur, dal titolo “Silenzio in sala a tempo di musica” (il progetto è di Daniele Ratti). Dopo il Quartetto n. 6 di Vacchi attacca subito la monumentale e arcana Arte della Fuga bachiana, l’opera ultima e incompiuta, il culmine della musica speculativa, combinatoria, filosofica e numerologica. Il tutto, andato on line alla fine di febbraio, può essere ascoltato gratuitamente al link https://youtu.be/0qHltFNXxyY

Il Quartetto di Vacchi, che naturalmente promana dall’austero tema dell’Arte della Fuga, è una pagina vasta (15 minuti) e affascinante, dalle molteplici sfumature espressive dentro a un gioco combinatorio raffinato e profondo. Come dice lo stesso autore, il percorso non è quello del contrappunto fugale del compositore tedesco, ma quello di una ricerca espressiva ugualmente complessa e stratificata, che percorre le caratteristiche coloristiche di ciascuno strumento e delle molteplici possibilità combinatorie all’interno dell’insieme. Ne nasce una “polifonia di timbri” che non è mai disgiunta dalla severa e pensosa elaborazione motivica, a sua volta di straordinario spessore e complessità. L’obiettivo – raggiunto – è quello di affermare la soggettività dell’autore dentro a uno “rete” di sofisticate interazioni di tutti i valori musicali. Espressività nitida, coinvolgente e a tratti perfino commovente, che dallo spunto bachiano percorre un sentiero pienamente consapevole della grande stagione moderna di primo Novecento e arriva a un’originalità densa e affascinante. Una conferma di quanto Fabio Vacchi sia oggi autore centrale e imprescindibile nella nuova musica.

Cesare Galla
(21 febbraio e 10 marzo 2021)

La locandina

Direttore Zubin Mehta
Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Programma:
Fabio Vacchi
“Beetbovene e la primavera ritrovata”
–––
Quartetto di Cremona
Programma:
Fabio Vacchi
Quartetto n. 6, “Lettera a Johann Sebastian Bach”

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