Firenze: un Trovatore grigio-cenere

Parlare de Il Trovatore di Giuseppe Verdi allestito a Firenze dal Teatro del Maggio Musicale, come titolo di apertura del Festival d’autunno, porta nuovamente in primo piano la possibile dicotomia fra musica e regia.

Che Il Trovatore sia un’opera dalle tinte fosche e cupe è cosa nota, ragion per cui la scelta del regista Cesare Lievi per la messinscena del titolo a Firenze, poteva essere assolutamente adeguata. Il 29 settembre scorso, infatti, il Teatro del Maggio ha inaugurato il Festival d’Autunno con questo capolavoro (repliche il 2 ottobre alle 15.30 e il 5 e 7  alle 20), dando il via a un nuovo percorso del teatro fiorentino, che offre così due festival “satelliti” del Maggio Musicale nel corso dell’anno: oltre a questo d’autunno ve ne sarà uno di Carnevale, entrambi voluti dal direttore principale Daniele Gatti.  

L’edizione autunnale è dedicata a Verdi, del quale, dopo Trovatore, verranno allestiti Ernani  e poi Don Carlo, che con la prima creano una triade che ha come elemento accomunante la Spagna. Incastonata in questa sorta di trilogia spagnola, il festival contiene Alcina  di Haendel. 

Ma torniamo al Trovatore, composto da Verdi su libretto di Salvadore Cammarano in un clima di grande collaborazione fra i due e andato in scena per la prima volta nel 1853. Proprio per via del soggetto, Verdi inizialmente pensava di comporre una partitura musicalmente rivoluzionaria, ma alla fine rimase legato alla “solita forma” e ai “numeri chiusi”, fatto che gli guadagnò un grande successo di pubblico fin dalla prima rappresentazione, perché questa struttura tradizionale trasmette forte coerenza formale e simmetrie. Certamente anche la presenza di situazioni ed emozioni esasperate incontrò il  gradimento del pubblico di allora ed è accattivante a tutt’oggi, ma certi elementi drammaturgici basilari del genere operistico permangono. Ad esempio, pur volendo evidenziare fra i personaggi la zingara Azucena con la sua implacabile sete di vendetta, il libretto non modifica il tradizionale triangolo affettivo del tenore che ama il soprano ma che è osteggiato dal baritono, ovvero  la triade Conte-Leonora-Manrico.

Tutti questi personaggi vivono una vita piena di crudeltà e di situazioni emotivamente estreme, ambientate nel medioevo dei trovatori e dei roghi delle streghe, ma senza una necessaria ambientazione per quanto riguarda i luoghi. Ecco dunque che la dichiarazione del regista Lievi di mettere in evidenza le pulsioni nude e crude dei personaggi su uno sfondo grigio, pieno di cenere, che rappresentasse gli esiti del rogo  ma anche il destino di morte di ognuno di loro, poteva avere un senso. La regia, inoltre, è stata pensata espressamente per il luogo teatrale in cui ancora il Teatro del Maggio deve allestire le opere, in attesa che sia pronta la Sala Grande: l’Auditorium “Zubin Mehta”, che ha caratteristiche oggettivamente più difficili per un allestimento.

Ma, ripetiamo, se da un lato questa lettura cupa e grigio cenere, con scene e costumi (indefiniti, fatto non nuovo) di  Luigi Perego e luci di Luigi Saccomandi, poteva essere interessante, non è andata esattamente come ci si aspettava. Troppo buio e troppo grigio per una storia in gui il rogo comunque è nominato in continuazione (non lo si vede proprio mai). Lievi ha cercato di compensare il poco spazio a disposizione per le scene con figuranti che facevano il doppio dei personaggi (elemento anch’esso ormai usurato e a tratti fastidioso), anche il triplo o più, come nel caso della strega madre di Azucena. Ma ha aggiunto strane figure simili a divinità egizie, con corpo umano e testa di cane, non meglio identificabili nel contesto. Così come, in contrasto con il testo che cantano Leonora e Manrico, è la scena quarta della parte quarta, quando Leonora va in carcere dal suo amato trovatore per dirgli che ha ottenuto la grazia (Leonora si palesa e con Manrico, che canta “Oh, mia Leonora […]” , mentre ci si aspetta che si abbraccino disperati per quello che stanno vivendo…rimangono distanti l’uno dall’altra, senza far percepire alcuna gioia di rincontrarsi), o i momenti in cui il Conte canta da seduto parole concitate: sono scene emotivamente importanti, ma la regia non trasmette queste pulsioni. Insomma, se la partitura risulta ottima per le simmetrie e i numeri chiusi, insomma per la struttura con punti di riferimento ben chiari, non si può dire della messinscena e della regia, che, peraltro,  avrebbe avuto il vantaggio di non far nemmeno protestare il pubblico dei tradizionalisti, dal momento che la storia del Trovatore si può facilmente trasporre in epoche diverse. E non sono bastati i due coups de théâtre: la proiezione della partitura di Verdi sullo sfondo durante l’aria di sortita di Manrico e poi i due percussionisti sulla scena, per il coro degli zingari, che suonano incudini vere. Troppo sudiciume in scena da “post incendio”, letti e materassi che parevano una discarica o un campo nomadi abbandonato, nessun dettaglio che identificasse i personaggi…

In compenso, in questo auditorium dall’acustica eccellente, il cast era davvero, come spesso si suol dire, stellare: Fabio Sartori (Manrico), il Conte di Luna (Amartuvshin Enkhbat) – il più applaudito, Maria José Siri (Leonora), Ekaterina Semenchuk (Azucena) – anche lei acclamatissima e Riccardo Fassi (Ferrando), tutti dalla vocalità ottima, duttile e dalla dizione italiana perfetta.  Tutti hanno interpretato vocalmente e attorialmente i personaggi di questa storia terribile, toccando le corde dello spetattore. Bravi anche Caterina Meldolesi (Ines), Alfonso Zambuto (Ruiz), Davide Piva (un vecchio zingaro) e Joseph Dahdah (un messo): tre di loro sono artisti dell’Accademia del Maggio e uno un ex allievo. Coro magnifico, un personaggio anch’esso, non una massa per commentare, vocalmente eccellente – come sempre – grazie anche all’ottimo suo direttore Lorenzo Fratini. Bene anche l’orchestra, diretta da uno Zubin Mehta che quest’opera la conosce e la ama da una vita e che la dirige trasmettendo la gioia di quello che sta facendo. Ancora una volta ha vinto la musica. Viva Verdi.

Donatella Righini
(29 settembre 2022)

La locandina

Direttore Zubin Mehta
Regia Cesare Lievi
Scene e costumi Luigi Perego
Luci Luigi Saccomandi
Personaggi e interpreti:
Il conte di Luna Amartuvshin Enkhbat
Leonora María José Siri
Azucena Ekaterina Semenchuck
Manrico Fabio Sartori
Ferrando Riccardo Fassi
Ines Caterina Meldolesi
Ruiz Alfonso Zambuto
Un vecchio zingaro Davide Piva
Un messo Joseph Dahdah
Coro e Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Maestro del coro Lorenzo Fratini

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