Genova: Norma coraggiosa a metà

È opera difficile, Norma. Difficile per chi la canta, chi la dirige, chi la suona, chi la mette in scena, chi la programma. Aprendo spesso e sovente le faide tra passatisti, puristi, innovatori, studiosi e tutti coloro che, a proposito o a sproposito, tendono a dare la propria versione dei fatti.

Va quindi apprezzato il coraggio con cui l’Opera Carlo Felice di Genova ha voluto approcciarsi al pubblico genovese, e non solo, proponendo una duplice opportunità: l’edizione critica a cura di Riccardo Minasi e Maurizio Biondi con due cast che si alternano in due distinte versioni, differenti in maniera cronologica, con Norma/Adalgisa quali mezzosoprano e soprano ad eseguire il “Casta diva” in Fa, il finale primo dell’opera nella stesura lunga e senza coro che può essere ricondotta all’edizione per il Teatro alla Scala e il coro “Guerra, guerra” con la coda in maggiore, mentre nell’altro cast Norma e Adalgisa sono soprano e mezzosoprano con l’esecuzione del “Casta diva” in Sol, il finale primo dell’opera nella stesura breve e il coro “Guerra, guerra” senza coda in maggiore. Lo scrivente non ha avuto modo di sentire entrambi i cast, ma si può dar conto della versione “meno eseguita”, con notevoli curiosità, alcuni dubbi e qualche perplessità.

Stefania Bonfadelli, raffinata belcantista, propone una visione di Norma che vuole osare ma non osa, cercando di uscire dal triangolo amoroso perno del melodramma e volendo dare una visione di scontro, di posizioni prese gli uni contro gli altri, di guerra, di distruzione, di tenebra. Il contesto scenico verte su ambienti scuri, dove le nubi sono grigie e cupe osservatrici delle dinamiche umane e dall’altro guardano la landa desolata dove Galli e Romani si scontrano per difendere le posizioni, i confini, le vite. Mancano le sacre selve e i boschi dei druidi, ma non vi sono nemmeno la novità o nuovi spunti su cui poter riflettere: è una Norma che vuole essere moderna, senza esserlo.

Questa nuova produzione, che ha già visto la luce al Teatro Comunale di Bologna, vede impegnati Serena Rocco per le scene, Valeria Donata Bettella per i costumi e Ran Arthur Braun alle coreografie. Un grande piano inclinato è luogo di scontri, stupri, violenze, desolazione, con alcuni effetti luci (di Daniele Naldi) talvolta riusciti: movimenti di forza e di oppressione che poco apportano ad una diversa visione di Norma.

Ciò che invece dà una diversa visione di Norma, urtando e stravolgendo, è la direzione di Riccardo Minasi. Il direttore musicale del Carlo Felice propone, oltre all’edizione di cui accennato poc’anzi, una visione musicale che si differenzia totalmente dall’esecuzione di Norma che tutti siamo abituati ad avere nell’orecchio. Le dinamiche e le sonorità vogliono ricalcare esecuzioni ottocentesche, cercando bilanciamenti orchestrali che spesso rischiano di cadere nel fragoroso, nell’esasperato. Si apprezzano alcune scelte, come la riapertura di tutti i tagli, la ripresa dellle cabalette con variazioni, riscontrando i migliori momenti musicali della direzione nei duetti e in alcuni singoli momenti: con tutto ciò però si scontrano tempi spesso troppo concitati, nella ricerca di stimoli musicali a cui Orchestra e Coro non sono abituati, evidenziando diversi lievi scollamenti tra le parti e dando poco fiato ai solisti.

L’Orchestra del Carlo Felice cerca di fare del suo meglio, nell’intenzione di seguire la direzione con un suono meno melodrammatico e romantico, con una risonanza più diretta, un suono più secco e un manto orchestrale che sappia dipanarsi, rapire, vorticare insieme all’esecuzione vocale degli interpreti: risuonano i fiati, prepotentemente, così come i timpani e le percussioni, facendo sì che gli archi possano risuonare ma non emergere. Sulla stessa lunghezza d’onda si trova il Coro, istruito dal suo maestro Claudio Marino Moretti, che si trova ad affrontare una più ricca versione, imbrigliato però nelle predette dinamiche che lo portano talvolta fuori dal percorso tracciato dal direttore d’orchestra, confermando tuttavia le buone sonorità corali.

Nel ruolo della protagonista debutta Vasilisa Berzhanskaya, mezzosoprano in riconosciuta ascesa che si avvicina al ruolo della sacerdotessa gallica con approccio prudente, conscia della forza e della grandezza del ruolo, con passaggi da risolvere ma con una visione di insieme sulle intenzioni che le permettono di portare a termine la recita senza risultare troppo stanca. La voce è ricca di colori e di armonici, correndo lungo tutte le note previste dal registro grave all’acuto con facilità, palesando talvolta alcune mancanze di intonazione nei passaggi più ricercati. L’esecuzione del Casta diva è mirabile, con sfumature e delicatezze che si apprezzano ancor di più che non nei passaggi più concitati e di coloratura, dove l’artista, con un ricco repertorio rossiniano alle spalle, dovrebbe primeggiare senza batter ciglio. Al suo fianco, nelle vesti della più giovane, innamorata e disillusa sacerdotessa Adalgisa, troviamo Carmela Remigio, artista di lungo corso che ha già vestito entrambe le parti dell’opera. A suo vantaggio si segnalano una sicurezza scenica e interpretativa di alto livello, che le permettono di non venire schiacciata tra Norma e Pollione: di contro, la voce mostra qualche lieve stanchezza, risultando di buon colore nel registro medio-grave con alcune durezze nelle salite all’acuto. La contrapposizione Norma mezzosoprano e Adalgisa soprano si pone con l’intenzione di evidenziare non soltanto una differenza vocale, ma soprattutto di ruolo: la voce più scura e intensa per la più vecchia sacerdotessa, la voce più chiara e brillante per la giovane. Buona l’intenzione, il risultato finale meno.

Straripante, guerresco e passionale è il condottiero romano Pollione di Stefan Pop, tenore apprezzato in diversi ruoli belcantistici e drammatici, che con la sua riconosciuta voce stentorea e di bel colore, sa piegarla alle intenzioni della direzione, dando leggerezza e sapendo sfumare delicatamente nei duetti d’amore, divenendo poi irruente e baldanzoso nei momenti concitati e di grande impatto vocale, come la cavatina “Meco all’altar di Venere” e il terzetto “Tremi tu?… e per chi?”.

Alessio Cacciamani, basso, è il vecchio capo dei Druidi nonché padre di Norma: voce non enorme ma ben emessa, con buon colore e una apprezzabile attenzione al porgere della parola.

A completare il cast, due artisti comprimari di lusso: Blagoj Nacoski è un Flavio di bella presenza, sfrontato e battagliero, che mostra una voce sempre più matura e di precisa incisività nei suoi interventi, mentre la Clotilde di Simona Di Capua è donna attenta e sofferente, fedele confidente di Norma, con voce ben proiettata e sicura.

Alla fine della recita, non mancano in sala borbottii, sguardi attoniti e lamenti, che se da una parte possono far riflettere per la complessiva esecuzione, dall’altra permettono di affermare che l’opera è viva, pulsante: la sua esecuzione smuove ancora interessi, fa discutere, senza essere una semplice esecuzione da ripetere in luoghi diversi.

Un plauso dunque all’Opera Carlo Felice, per il riuscito percorso intrapreso per la stagione in corso che si avvia alle sue ultime battute.

Leonardo Crosetti
(5 maggio 2023)

La locandina

Direttore Riccardo Minasi
Regia Stefania Bonfadelli
Scene Serena Rocco
Costumi Valeria Donata Bettella
Coreografie Ran Arthur Braun
Personaggi e interpreti:
Norma Vasilisa Berzhanskaya
Adalgisa Carmela Remigio
Pollione Stefan Pop
Oroveso Alessio Cacciamani
Clotilde Simona Di Capua
Flavio Blagoj Nacoski
Orchestra, Coro e Tecnici dell’Opera Carlo Felice Genova
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti

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