Germanico 2.0 o il sogno della bella guerra fra Tevere e Danubio

Dati anagrafici dell’opera

Titolo: Arminio

Genere: azione o festa teatrale in due parti per sei voci e orchestra

Libretto: Pietro Antonio Bernardoni (Vignola 1672-Bologna 1741)

Musica: Antonio Maria Bononcini (Modena 1677-ivi 1726)

Luogo e data della prima: Vienna, Parco della Favorita “presso la grotta”, 26 luglio 1706

Cast originale: Vienna Mellini (Arminio), Silvio Garghetti (Germanico), Anna Maria Lisi Badia (Tusnelda), Ranieri Borrini (Segesto), Cunigunde Sutter von Rosenfeld (Ismenia), Lorenzo Masselli (Segimondo)

Organico strumentale: 2 oboi, fagotto, archi divisi in concertino e concerto grosso, basso continuo

Fonti musicali: Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, Mus. Hs.17647; Dresda, Sächsische Landesbibliothek, Mus.2209-F-1

Fonte letteraria: Poemi drammatici di Pietro Antonio Bernardoni (3 tomi), Bologna, Pisarri – Vienna, van Ghelen, 1706-1709, tomo I, pp. 253-273

O gran bontà dei condottieri antiqui? Nella realtà storica – così come ce la narrano Tacito, Strabone, Svetonio, Plinio il vecchio e altri autori – la vicenda si svolse con modalità assai meno cavalleresche. La fiera Tusnelda non fu restituita al marito; condotta prigioniera a Roma le toccò di sfilare dietro il carro trionfale di Germanico sotto gli occhi del padre assiso in tribuna. Arminio, ferito in battaglia, sfuggì alla cattura solo per finire assassinato dai suoi stessi guerrieri. Tumelico, l’unico figlioletto dei due sposi, fu iscritto alla scuola dei gladiatori di Ravenna e pare sia morto adolescente. In ultimo, nel 19 d.C., lo stesso Germanico morì trentatreenne (si disse di veleno) ad Antiochia, rimpianto dal popolo di Roma che sperava di vederlo salire sul trono dello zio.

Ovviamente il dotto arcade Pietro Bernardoni, da poco assunto al servizio poetico della corte viennese con lo stipendio di 1200 fiorini l’anno (nemmeno troppi di fronte ai 3000 del collega Silvio Stampiglia), si guardò bene dal contristare con eventi così tragici il ventottesimo compleanno del suo mecenate. Dalla storia antica trasse solo quanto gli bastava per imbastire un romanzetto ispirato al sogno utopico della bella guerra, dove gli eroi rivali danno prova di virtù e stima reciproca pur continuando a combattersi senza tregua. E si capisce bene: il festeggiato portava il titolo di Kaiser del Sacro Impero Romano-germanico, erede presunto dei Cesari per tramite di Carlo Magno e Ottone I. Fino al crollo di quella millenaria finzione giuridica sotto le cannonate di Napoleone, compito primario dei “poeti cesàrei” fu quello di gettare audaci ponti di propaganda politica fra il Palatino e la Hofburg, fra il Tevere e il Danubio. Come a dire un colpo al cerchio e uno alla botte. Se tutti i Salmi finiscono in gloria, i libretti delle feste teatrali allestite alla corte di Vienna dovevano terminare con un coro di tutti i personaggi celebrante “le lodi dell’Augustissimo Imperadore regnante”: in questo caso Giuseppe I d’Asburgo.

La sua identificazione coi grandi generali antichi era ormai un luogo comune fin da quando, ancora principe ereditario col titolo di “Re dei Romani”, aveva guidato due assedi alla fortezza di Landau nel Palatinato. I suoi ritorni dalle spedizioni belliche avevano dato la stura a una serie di applausi in musica: “Cetre amiche, a un cor che langue” cantata di anonimo (1702), Il ritorno di Giulio Cesare vincitore della Mauritania di Giovanni Bononcini (1704), I gloriosi presagi di Scipione Africano di Attilio Ariosti (1704) e soprattutto quel Germanico che, con la fantasiosa attribuzione a Händel, è rispuntato nel 2011 sul mercato discografico grazie a Sony Classical. Numerosi indizi portano invece a ritenerla lavoro, databile anch’esso al 1702-1704, di Giovanni Bononcini forse su testo di Donato Cupeda, il predecessore di Bernardoni (cfr. Carlo Vitali, G. F. HÄNDEL (attribuito a) Germanico. Serenata in due parti su libretto di anonimo […] in “Philomusica on-line”, Vol. 11, N° 1 (2012), http://riviste.paviauniversitypress.it/index.php/phi/article/view/1436)

Biondo e di bell’aspetto a differenza del padre Leopoldo e del fratello Carlo, bruttarelli entrambi, Giuseppe condivideva con loro una divorante melomania. Dopo essere asceso al trono il 5 maggio 1705, lasciò la guerra ai generali e non si fece mancare nulla in fatto di donne, caccia e divertimenti musicali. Lui stesso suonava da maestro il flauto e il clavicembalo, componeva nello stile di Alessandro Scarlatti, danzava in pubblico con grazia e instancabile vigore. Benché tutto il suo breve regno si svolgesse sotto l’ipoteca della Guerra di Successione spagnola, dal 1706 al 1710 egli fece allestire a corte una media annuale di dieci lavori drammatici profani: opere, serenate, feste teatrali; senza contare gli oratorii, pio surrogato dell’opera durante i tempi proibiti di Quaresima e Avvento. Per far fronte alle spese straordinarie, nel 1707 decretò una tassa sui balli pubblici, i concerti e i teatri. Purtroppo l’identificazione con Germanico non gli portò fortuna. Anche lui morirà a 33 anni non ancora compiuti, vittima non di veleno ma di malattie contratte con uno stile di vita imprudente: sifilide e polmonite.

La colonia teatrale emiliano-romagnola, già ben piazzata sulle rive del Danubio, ebbe alquanto a soffrirne. I fratelli Bononcini, compositori favoriti del defunto Kaiser, non tardarono a lasciare Vienna: Giovanni per lanciarsi in una carriera internazionale ricca di alti e bassi, il cadetto Antonio Maria per riparare nella natìa Modena dove lo ritroviamo nel 1713 sposato a una certa Eleonora Sutter, forse figlia della soprano austriaca che nell’Arminio aveva creato il ruolo di Ismenia. Di quest’ultima e dei suoi compagni di cast, tutti impiegati stabili della Hofkapelle ad eccezione della libera professionista Vienna Mellini, possiamo ricostruire i profili vocali con l’aiuto della partitura, rinata dopo tre secoli nel 2018 sulle scene del Teatro Rossini di Lugo a cura di Rinaldo Alessandrini. In ordine di apparizione:

Segesto: Il basso-baritono fiorentino Raniero Borrini (1658-1724) era specializzato in parti di vilain. Qui canta due arie nella prima parte e una nella seconda, con salti di estensione fino a due ottave, note tenute e lunghi passaggi di semicrome.

Germanico: Agilità e fraseggio energico con preferenza per la tessitura centrale distinguono il canto del tenore riminese Silvio Garghetti (?-1729), qui titolare di due arie nella prima parte e di una e mezzo nella seconda, poiché l’ultima viene troncata da un brusco intervento di Arminio. “Per sentier di bassa frode” (parte I) esprime tutta l’autorevolezza e la rettitudine morale del personaggio.

Tusnelda: Fiorentina anche Anna Maria Badia (?-1726), soprano di tessitura medio-alta che nella prima parte esordisce con due arie successive separate da un recitativo, mentre nel secondo ne ha ben quattro di carattere differenziato, a riprova di un talento vocale e drammatico quanto mai versatile. È lei la vera protagonista.

Segimondo: Ignote le origini dell’unico evirato nel cast, il contralto Lorenzo Masselli detto “Lorenzino” (1673-1730), la cui attività è documentata esclusivamente alla Hofkapelle fin dall’età di 18 anni. Nella prima parte, oltre al duetto finale con Ismenia, canta tre arie quasi consecutive ricche di ripetizioni che propiziano le riprese ornate. Nella seconda, una ancor più estesa in tipico stile affettuoso-pastorale con oboi concertanti. Più che un “moderno” virtuoso da teatro, un raffinato vocalista da camera.

Ismenia: Ruolo di “amorosa ingenua” in tessitura di soprano acuto quello di Cunigunde Sutter (?-1711), unica esponente germanofona dell’onda rosa che sotto Giuseppe I rischiò di soppiantare i castrati (nel periodo 1706-1711 fu coinvolta in una trentina di produzioni). Oltre al citato duetto con Segimondo, qui canta due arie nella prima parte e una nella seconda, distinguendosi per una linea legata e dolcemente espressiva.

Arminio: Il contralto reggiano Vienna Mellini (floruit 1701-1728) era una primadonna assoluta dell’opera seria, specializzata in parti regali. Qui potremmo parlare di una sua partecipazione straordinaria limitata alla seconda parte, dove canta tre arie. Esordisce a sorpresa con un patetico cantabile minuettante, prosegue con un’aria di mezzo carattere dove sdegno e ambizione di gloria combattono con l’amore, per poi culminare in una convenzionale “aria del nocchiero”. In compenso si produce in recitativi finemente lavorati, inclusa la solenne profezia dell’eroe nascituro.

 

Sinossi

Siamo nell’anno 15 dopo Cristo. Giulio Cesare Germanico, giovane nipote dell’imperatore Tiberio, comanda le legioni inviate a vendicare la sconfitta di sei anni prima, quando le tribù germaniche, insorte sotto la guida di Arminio, avevano sterminato ventimila Romani nella foresta di Teutoburgo. Prima parte: Segesto, capo barbaro passato al servizio di Roma, si presenta al campo di Germanico in compagnia della figlia Tusnelda, sposa di Arminio e quindi adirata per il tradimento del padre. Germanico non può impedirsi di provare ammirazione per l’eroica fierezza della prigioniera. Segesto annuncia che Arminio, solo ed inerme, sta venendo per trattare la restituzione della moglie; Germanico promette di dargli udienza e poi di rimandarlo libero come esige la tradizionale lealtà romana. Sono presenti anche Segimondo, fratello di Tusnelda, e la principessa germanica Ismenia, amante riamata di lui. Le due donne rimproverano aspramente Segimondo per le sue esitazioni tra i confliggenti doveri di figlio, amante e patriota; tuttavia Ismenia finisce per accettare le sue scuse e si riconcilia con lui purché egli riesca a farla fuggire. Seconda parte: Come riscatto di Tusnelda, Arminio si offre di restituire le “sacre aquile”, cioè le insegne da lui strappate alle legioni di Varo. Germanico respinge il baratto e gli intima di deporre le armi oppure di rinunciare all’amata consorte. Nel frattempo Segimondo e Ismene mettono a punto i preparativi per la fuga. Dopo lunghe e tormentose riflessioni Arminio pare disposto a sottomettersi, ma è la stessa Tusnelda a rifiutare sdegnosamente una libertà ottenuta a prezzo del disonore. Sempre più ammirato per il coraggio della donna, Germanico la libera senza condizioni. Epilogo: Nel congedarsi dal loro magnanimo nemico, Arminio e Tusnelda si dichiarano risoluti a continuare le ostilità e gli annunciano il contenuto di un’antica profezia: in terra di Germania nascerà un giorno un guerriero incoronato capace di superare per valore e gloria eterna tutti gli eroi di Roma; ovviamente Giuseppe I d’Asburgo, dedicatario dell’attuale festa di compleanno.

Carlo Vitali

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