Il libro: Suonare il palcoscenico Conversazioni sulla regia lirica con Stefano Vizioli

“Suonare il palcoscenico, conversazioni sulla regia lirica con Stefano Vizioli” è un volume ponderoso, da poco in libreria. Curato da Olga Jesurum, docente di storia della scenografia all’Accademia Linguistica di Genova, ideatrice di un progetto che negli anni ha preso forma e che ora si presenta in una veste elegante e patinata, con una copertina accattivante in cui campeggia la Tour Eiffel illuminata de La Rondine pucciniana.

La quarta di copertina ci mostra lui, l’oggetto principale attorno a cui il libro (Artemide, 2024, pagg. 223, Euro 30) si dipana: il regista, ma anche didatta, musicista, comunicatore garbato, organizzatore culturale Stefano Vizioli, napoletano, classe 1959. L’immagine lo rappresenta in sella a un cavallo a dondolo su, poteva essere altrimenti… un palcoscenico. Che fin da bambino il palcoscenico d’opera dovesse essere la sua strada e la sua missione, lo sapevo da sempre, e il volume me lo conferma. Il libro è diviso in due atti. Il primo contiene dieci scene, ciascuna introdotta da una citazione librettistica e abbinata a un capitolo della vicenda professionale di Vizioli – si va da “E’ questo l’odontalgico, mirabile liquore” a “Dopo notte atra e funesta” – per illustrarne l’operoso quarantennale operato. Il secondo raccoglie due saggi, di Paola Bertolone e Gerardo Guccini, sulla regia lirica di Vizioli, e vi aggiunge note di regia, interviste e pensieri in libertà del nostro, accostandole ai contributi dei collaboratori più frequenti, da dei Petits riens autobiografici (“Saper vorreste, di che si veste”), per chiudersi con tutta una serie di Apparati che comprendono bibliografia, sitografia, indice dei nomi e delle opere, elenco delle illustrazioni e ringraziamenti.

Un menu – Stefano Vizioli è un gran goloso e si è occupato anche di cucina nella sua poliedrica attività – che Olga Jesurum gestisce abilmente. Tutto nacque infatti, racconta Vizioli, quando “Olga mi sentì a una conferenza su Butterfly alla Sapienza mentre rappresentavo l’opera pucciniana all’Opera di Roma.”.

Correva l’anno 2010, e lo spettacolo era lo stesso – su impianto scenico d’autore, firmato da Aldo Rossi – grazie a cui nacque, durante le prove al Teatro Verdi di Trieste nei primi mesi del 1987, un’amicizia fra noi che posso considerare fraterna. Fu quella la prima volta che, alla vigilia della prima, Stefano mi affidò suo padre, il professor Raffaello Vizioli, illustre neuropsichiatra e docente universitario, che seguiva il lavoro del figlio con una dedizione commovente. Fra i due i battibecchi erano esilaranti, e – alla vigilia della prima le continue richieste di assistenza da parte di un padre ansioso, innervosivano il figlio, ansioso più del padre. La mia calma paziente fu apprezzata da Raffaello con cui passammo rapidamente al tu, e da sua moglie Pafi: una coppia di genitori che ha creato tre figli musicisti, un bel record non c’è che dire.

Ho seguito per anni il lavoro di Stefano, l’ho visto debuttare alla Scala con Riccardo Muti nel Don Pasquale e ripetere la collaborazione a Ravenna con una Norma poco fortunata: Anne Marie Heinreich la costumista di quasi tutti gli spettacoli di Stefano, quando vide la protagonista si mise a piangere. L’ho visto collaborare con Claudio Abbado a Ferrara per un Barbiere di Siviglia in cui Rosina (Cecilia Gasdia non ancora Sovrindentente dell’Arena) fumava gli stessi sigaretti alla menta che all’epoca fumavo io e che tanto colpirono il nostro. E poi il Trittico a Lisbona, l’unico credo, fra gli spettacoli di Vizioli che non ha avuto lunga vita, peccato, perché era notevole, il Don Carlo a Strasburgo eccetera, eccetera.

Riccamente illustrato, Suonare il palcoscenico è una lettura profonda e accattivante al tempo stesso: “C’è molta ironia nei miei racconti e qualche sassolino dalle scarpe me lo sono cavato” racconta Stefano Vizioli, che del suo rapporto con il palcoscenico dice “negli anni è cambiato tantissimo, e allo stesso tempo, è cambiato assai poco. Quella del regista d’opera è una visione disordinata del lavoro che deve rappresentare, prima comunque viene la musica, poi i libri che, nel lavoro di preparazione, vanno lasciati decantare. Non è la cultura di un regista che va in scena, il regista è il filtro fra l’autore e il suo pubblico.”. L’intento è, comunque, quello di creare uno strumento utile a chi voglia applicarsi a questa “esperienza artigianale nel senso antico del termine, che nasce da una filiazione musicale”. Stefano Vizioli, non dimentichiamolo, è diplomato in pianoforte al Conservatorio di San Pietro in Maiella di Napoli. Lunga vita alle sue opere!

Rino Alessi

Suonare il palcoscenico
Conversazioni sulla regia lirica con Stefano Vizioli
a cura di Olga Jesurum
Artemide Edizioni
Roma, 2024, formato cm 23,5×23,5, pag. 224

0 0 voti
Vota l'articolo
Iscriviti
Notificami

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti