Milano: il Matrimonio segreto della figlia d’arte

Dramma giocoso, e non buffo, è il Matrimonio segreto di Domenico Cimarosa che riapre la stagione settembrina del Teatro alla Scala affollato di giovani grazie all’eccellente promozione Under30. 

Protagonisti gli allievi dell’Accademia del Teatro alla Scala sotto la direzione di Ottavio Dantone e la regia di Irina Brook.

Il capolavoro di Cimarosa, spesso affrontato in ambito accademico, si rivela un’opera di non poca difficoltà. L’azione si inserisce in una equilibrata distribuzione formale che prevede l’alternarsi di recitativi, arie, duetti, terzetti, un quartetto, un quintetto e due poderosi finali. Alla simmetria strutturale si contrappone la vicenda che rende giocosa la narrazione non senza quella giusta dose di sentimentalismo tanto caro alla scuola napoletana.

Se la freschezza delle giovani voci dell’Accademia offre un impulso vitalistico a questa nuova produzione, lo stesso non si può dire della regia di Irina Brook. 

Figlia d’arte, Irina Brook rilegge in chiave moderna l’opera di Cimarosa pensandola come se fosse una fiction televisiva. Niente di nuovo sotto il sole. 

Tuttavia la prima caduta di stile la troviamo nel programma di sala in cui la regista afferma, in prima istanza, che il libretto di Bertati è noioso, vecchio stile (sfido, è stato scritto alla fine del Settecento!) e sessista (addirittura!?). In tutto ciò mai un accenno alla partitura.

Di certo nel libretto di Bertati, rispetto ai testi di Da Ponte, manca quello scavo psicologico che nelle opere mozartiane rende ancora più umani e interessanti i personaggi, tuttavia non vengon meno passi di sottile ironia e spontanea effervescenza. 

A fronte di ciò l’intervento registico si è limitato a una caratterizzazione superficiale dei personaggi tramite i costumi di Patrick Kinmonth (che ha firmato anche le scene), creando una serie di frenetici movimenti, mossette e ammiccamenti che a lungo andare sono scaduti nella monotonia. 

Sul versante musicale la direzione di Ottavio Dantone, col suo suono inconfondibile, restituisce una lettura storicamente corretta (come si suol dire oggi) senza però mai abbandonarsi a quella cantabilità necessaria e tipica dell’opera napoletana.

Inossidabile il Geronimo di Pietro Spagnoli, che si conferma maestro sulle scene, nonchè ottimo nel fraseggio e nel saper dar colore con chiarezza di dizione ad ogni inflessione.

La dizione, tasto dolente. 

Qualche anno fa Renata Scotto affermò che avrebbe voluto tenere dei corsi solo sui recitativi, sarebbe il momento giusto. 

La totale mancanza di articolazione o almeno minima intenzione da parte di gran parte del cast nel carcar di far comprendere il testo -sia nei recitativi che nelle arie- è stato un altro dei problemi di questa produzione. Ora, se dobbiamo rinnegare anche questo imprescindibile aspetto dell’opera italiana direi che forse è giunto il momento di fare qualche passo indietro e studiare le basi del melodramma che, guarda caso, affondano le radici proprio sul recitar cantando. 

L’unico attento a questo aspetto è stato Paolo Antonio Nevi, tenore dotato di un bel timbro risulta più a suo agio nella tessitura centrale. Interessante il colore corposo, morbido e vellutato di Mara Gaudenzi così come ben proiettata risulta la voce di Francesca Pia Vitale. Particolarmente brunita la voce di Greta Doveri la quale possiede un buon volume ma pecca assai nella dizione.

Simpatico scenicamente il Conte Robinson di Sung-Hwan Damien Park.

Ora non resta che augurare ai giovani dell’Accademia del Teatro alla Scala di proseguire con tenacia il loro percorso, arduo ma altrettanto meraviglioso.

Gian Francesco Amoroso 
(5 settembre 2022)

La locandina

Direttore Ottavio Dantone
Regia Irina Brook
Scene e costumi Patrick Kinmonth
Luci Marco Filibeck
Personaggi e interpreti:
Geronimo Pietro Spagnoli
Elisetta Francesca Pia Vitale
Carolina Greta Doveri
Fidalma Mara Gaudenzi
Il Conte Robinson Sung-Hwan Damien Park
Paolino Paolo Antonio Nevi
Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala

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