Milano: il ritorno di Salome

Già vista in tempi di pandemia a porte chiuse, Salome torna alla Scala in tutto il suo splendore, rivelando ancora una volta la straordinaria potenza di una partitura eloquente e grondante di elementi drammatici.

Il paggio di Erodiads sa tutto ma deve tacere, come noi, d’altronde, pubblico consapevole di una vicenda che si annuncia tragica già dalle prime note.

Nella sua onnipresenza il paggio (reso anziana ancella) assiste in silenzio -come la luna nera che incombe sulla scena- al malessere interiore di Salome, donna, vittima, alla deriva della sua esistenza.

La scena è una tomba in cui i personaggi si aggirano in un labirinto mentale senza via di fuga. Al centro un buco nero, l’inconscio che emerge nei comportamenti di una donna che agisce involontariamente, manovrata da un istinto che non le appartiene.

Scevro da ogni retorica sensuale, minimalista antididascalico, Damiano Michieletto – le scene sono di Paolo Fantin, i costumi di Carla Teti e le luci di Alessandro Carletti – affronta il grande titolo straussiano creando una serie di citazioni di natura simbolista che in parte riassumono con immagini iconiche l’essenza del dramma.

Entriamo così nella psiche di Salome la cui bramosia non è l’atto in sé ma un autentico status mentale pre-orgasmico che implode in una costante negazione del desiderio verso un uomo descritto all’apice della sua bellezza ma in realtà visibilmente orrendo.

Alienata dagli abusi di Erode, Salome ripercorre, durante la celebre Danza dei sette veli, le violenze subite espresse da un abito bianco che si erge grondante di sangue. E ancora Salome bambina e il desiderio di ammazzare la madre.

Infine, incastonata in una raggiera di un ostensorio barocco, come una visione di Gustave Moreau, si eleva la testa di Jochanaan.

Gli ori, di klimtiana memoria, l’antico fasto di una società ormai in disfacimento, ce li restituisce solo l’inestimabile bellezza della partitura di Strauss, tutto il resto si concentra su pochi aspetti psicologici, invero, senza realmente addentrarsi più di tanto lasciando il tutto su una superficie levigata, facilmente decifrabile.

Se Michieletto gioca sul versante minimalista-simbolista, la direzione di Michael Güttler, sul podio solo per due recite, risulta geometrica e poco funzionale per una partitura così densa  di stati d’animo e slanci espressivi. La viscerale scrittura straussiana, infatti, richiede un dominio assoluto al fine di far emergere anche brevi incisi dal poderoso organico orchestrale. Questo purtroppo non si è mai avverato, anzi la bacchetta di Güttler ha appesantito notevolmente il fluire della narrazione che richiederebbe invece una tensione continua, chiaro-scuri improvvisi, abbandoni, evanescenze, colori lividi e bronzei il tutto naturalmente in conformità con un libretto che non lascia ombre di dubbio.

Vocalmente il soprano Vida Miknevičiūtė è una Salome ragguardevole, capace di modulare l’impervia scrittura straussiana in un canto sempre fraseggiato e mai spinto. Ottima fraseggiatrice, la Miknevičiūtė è anche molto credibile scenicamente.

Michael Volle non è da meno, anche se scenicamente meno credibile, il suo Jochanaan è incisivo merito anche di una corda baritonale dallo splendido timbro brunito. Linda Wotson, a volte troppo parlante e poco cantante, si impone sulla scena in tutta la sua perfidia mentre Wolfgang Ablinger-Sperrhacke delinea un Herodes più che convincente così come il Narraboth di Sebastian Kohlhepp.

Il numeroso pubblico ormai pare amare Strauss, forse ancora non lo conosce a fondo ma di certo ne rimane attratto e questo getta speranza anche per quei titoli ancora da rivelare.

Gian Francesco Amoroso

(27 gennaio 2023)

La locandina

Direttore Michael Güttler
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Alessandro Carletti
Coreografia Thomas Wilhelm
ripresa da Erika Rombaldoni
Personaggi e interpreti:
Herodes Wolfgang Ablinger-Sperrhacke
Herodias Linda Watson
Salome Vida Miknevičiūtė
Jochanaan Michael Volle
Narraboth Sebastian Kohlhepp
Ein Page der Herodias Lioba Braun
Fünf Juden  Matthäus Schmidlechner, Matthias Stier, Patrick Vogel, Patrik Reiter, Horst Lamnek
Zwei Nazarener Jiří Rajniš, Sung-Hwan Damien Park
Zwei Soldaten Alexander Milev, Bastian Thomas Kohl
Ein Kappadozier Matías Moncada
Ein Sklave Hyun-Seo Davide Park
Orchestra del Teatro alla Scala

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