New York: Agrippina 1 Violetta 0

Tutto è nato da una grande curiosità, forse troppo da “addetta ai lavori”: come faranno a riempire ogni sera gli oltre 3500 posti del MET con un titolo come Agrippina di Händel? Sì, d’accordo, siamo a New York, ormai il teatro barocco è “repertorio”, c’è una grande star molto amata dal pubblico – Joyce DiDonato al suo tredicesimo diverso personaggio in questo teatro – accompagnata da una lunga campagna pubblicitaria e grandi foto su riviste e canali social, ma sono pur sempre nove recite con una grande quantità di biglietti che arrivano a costare quasi 400 dollari…

Per il debutto di questo titolo, nato per il carnevale veneziano del 1709 e quindi in perfetta collocazione anche nel 2020, il più noto teatro statunitense sceglie una “nuova” produzione firmata da Sir David McVicar (scene e costumi di John Macfarlane, luci di Paule Constable e coreografie di Andrew George) che in realtà riprende uno spettacolo originariamente creato per La Monnaie di Bruxelles nel 2000: visione “contemporanea” ma anche un po’ Sixties, della Roma imperiale, fra toilette che sembrano uscite da un set di “Vita da strega”, colonne, scalinate, are e troni, ma anche Martini-cocktail e banconi da bar newyorkese. Recitazione e drammaturgia sono state molto apprezzate dalla platea che – seppur il libretto di Vincenzo Grimani fosse un dramma – punteggiava l’opera di sonore risate, e lo stesso si può dire per la parte musicale interpretata, accanto alla DiDonato, da un’ottima Brenda Rae nei panni di Poppea e dall’altrettanto interessante Kate Lindsey in quelli di Nerone. Meno pregnanti gli interpreti maschili, Duncan Ross (Pallante), Nicholas Tamagna (Narciso), Christian Zaremba (Lesbo), Iestyn Davies (Ottone) e Matthew Rose (Claudio). Sul podio Harry Bicket – direttore musicale dell’Opera di Santa Fe e impegnato in altri titoli hendeliani nel teatro newyorkese – con l’Orchestra del MET tinta di barocco da un vistoso quanto ripetitivo basso continuo.

Il teatro ha certamente vinto la scommessa di pubblico e divulgazione, quantunque sia difficile accettare un Händel siffatto, dove tanto la drammaturgia quanto la musica sono pretesto per una forma d’intrattenimento i cui risultati espressivi, non necessariamente congruenti col testo musicale, forse si sarebbero potuti ottenere anche con un’altra qualsiasi partitura.

Brutta, piena di errori, banale, vecchia nelle idee e nelle soluzioni è risultata La traviata: prima stagionale della nuova produzione locale firmata da Michael Mayer che alla fine del 2018 ha sostituito in repertorio lo storico allestimento di Willy Decker coprodotto con Salisburgo (quello con Violetta in rosso, divano a fiori e orologio gigante a segnare lo scorrere del tempo). Scena pressoché fissa – un interno di palazzo rococò dominata dall’azzurro e da esagerate decorazioni in oro – disegnata da Christine Jones e costumi ideati da Susan Hilferty di una caricaturale oleografia che vorrebbe sembrare kolossal ma risulta b-movie (con colori accesi dal verde pistacchio al rosa e al fucsia) fanno da sfondo inerte e talvolta fastidioso – come il letto di Violetta sempre al centro della scena – a un terzetto vocale di eccezione in cui ha brillato Lisette Oropesa, intensa interprete del terzo atto, cui mancava però una più solida mano registica che le evitasse superflue nevrotiche passeggiate per la scena o cuscini lanciati per aria e così via. Luca Salsi è un Giorgio Germont signorile e compenetrato; vocalmente ispirato anche Piero Pretti come Alfredo.

Il già alto livello musicale avrebbe raggiunto vette più elevate se dal podio Bertrand de Billy avesse curato maggiormente il rapporto fra buca e palcoscenico, le sfumature, le intenzioni e gli umori dell’opera. Notevoli l’insieme e la dizione del coro diretto da Donald Palumbo. I momenti coreografici firmati da Lorin Latarro seguivano l’impronta generale dello spettacolo. Contrariamente a quello che si possa pensare e che, in Italia, dimostrano tutte le riflessioni e considerazioni sulla programmazione dei teatri, tanti posti vuoti e meno entusiasmo e partecipazione rispetto ad Agrippina. Scommessa vinta quindi per il MET? Affermare Agrippina 1 – Violetta 0 è però troppo riduttivo per un pubblico che dal “Family Circle” canta tutte le melodie verdiane durante l’opera e che proprio per questo meriterebbe allestimenti che ne rispettassero l’affetto senza tuttavia deprimerne le capacità critiche con proposte di mero intrattenimento.

Floriana Tessitore
( 25 e 26 febbraio)

La locandina

Agrippina
Direttore Harry Bicket
Regia Sir David McVicar
Scene e costumi John Macfarlane
Luci Paule Constable
Coreografia Andrew George
Personaggi e interpreti:
Narciso Nicholas Tamagna
Poppea Brenda Rae
Agrippina Joyce DiDonato
Nerone Kate Lindsey
Ottone Iestyn Davies
Pallante Duncan Rock
Claudio Matthew Rose
La traviata
Direttore Bertrand de Billy
Regia Michael Mayer
Scene Christine Jones
Costumi Susan Hilferty
Luci Kevin Adams
Coreografie Lorin Latarro
Personaggi e interpreti:
Violetta Valery Lisette Oropesa
Alfredo Germont Piero Pretti
Giorgio Germont Luca Salsi
Orchestra e coro del Metropolitan Opera House
Maestro del coro Donald Palumbo

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