Palermo: i molti piani del Tristan und Isolde

“Dies süße Wortlein – und…”, “questa paroletta soave – e…”, questa la summa dell’amore di Tristan e Isolde, il legame eterno ed inscindibile che li unisce, spiritualmente prima e poi fisicamente, in un turbine di sguardi e di carezze. Non è dunque il filtro d’amore, che Brangäne “provvidenzialmente” scambia con quello di morte che Isolde ha destinato a Tristan ed a se stessa, a scatenare la passione.

Il filtro è un pretesto, una giustificazione teatrale ad un amore che arde sin dal primo incontro del cavaliere bretone ferito e la principessa-maga d’Irlanda. Il loro amore semplicemente non può non essere: esso nasce, tra l’altro, dall’opera risanatrice che Isotta compie su Tristan moribondo, dall’impossibilità, una volta riconosciutolo quale uccisore di Morold, di trafiggerlo con la sua stessa spada. La pozione magica agisce dunque come un puro mezzo per portare a livello conscio l’inconscio dei due amanti, di far divampare un fuoco che già cova in loro, di consacrare la loro unione che travalica il tempo e lo spazio.

La congiunzione “und” annulla di fatto due identità distinte fondendole in un unicum che trascende la vita e la morte stesse, ponendo i giovani amanti notturni in una dimensione di totale sublimazione del proprio essere e creando un’entità nuova, unita per l’eternità.

Tuttavia quello del Bretone e dell’Irlandese è, nel suo essere contro le regole, anche un non-amore che va necessariamente vissuto di notte, alla luce della luna, vegliato da Brangäne, a costante rischio di essere scoperto e punito, cosa che puntualmente avviene. Tristan, dopo l’accorato, rassegnato rimprovero del vecchio re Marke, sceglie di punirsi gettandosi sulla spada dell’amico-traditore Melot e di vivere un’agonia infinita, nell’attesa dell’amata. Solo il perdono del sire di Cornovaglia, che giunge al castello di Kareol , guarda caso, con la luce del sole, permette all’amore clandestino di essere rivelato nella sua intima purezza e di consentire, nella catarsi di uno spegnersi che forse non è neppure morte, la sua consacrazione.

Tutto questo e anche un po’ di più si ritrova nell’allestimento palermitano di Daniele Menghini – insieme a Davide Signorini che firma le scene scarne ed evocative, Nika Campisi autrice dei costumi a cavallo tra storico e contemporaneo e Gianni Bertoli a curare le luci – e che nel complesso, al netto di qualche distinguo, risulta alla fine discretamente convincente.

L’idea di lavorare su più piani drammaturgici, immaginati con Davide Carnevali e Martin Verdross, affidandosi alla nudità dello spazio scenico in cui il teatro si mostra nella sua essenza più intima giova alla narrazione, che si snoda in una sorta di “inception” nella quale la realtà di una prova del Tristan – con i cantanti attori ad agire in una sorta di routine distaccata – si interseca con il dramma rappresentato.

A catalizzare il tutto un Eros nudissimo che, all’inizio confuso tra lo stuolo di servi di scena in perpetuo movimento, orina in un distributore d’acqua creando così il Liebestrank fatale.

Nel secondo atto Menghini forza la mano chiamando in causa Shakespeare con l’istituzione di un parallelo con un altro “e”, quello di Romeo e Giulietta, calando la scena del balcone – i protagonisti in abiti elisabettiani -nel bosco del sogno di una notte di mezza estate, con tanto di Bottom trasformato in asino ma pure con l’apparizione di Amleto col teschio di Yorick.

Il Bardo – che tanto ispirò Verdi – con Wagner c’entra davvero poco e tutto si riduce ad un esercizio di regia tanto elegante quanto vagamente futile in cui ciascun spettatore può vedere ciò che meglio ritiene.

Convince invece il terzo atto, con momenti di grande intensità che culminano con Isolde trasformata nella berniniana Santa Teresa estatica che si allontana volgendo un ultimo sguardo al palcoscenico.

Di altissimo livello l’esecuzione musicale con Omer Meir Wellber – ahinoi in partenza per Amburgo – protagonista di una prova maiuscola.

Il suo Wagner è mediterraneo nei colori e nei tempi, incalzante negli spunti dinamici, capace di sprigionare slanci melodici che profumano di zagara e gelsomino, il tutto a dare vita ad un disegno musicale che non conosce cedimento, assecondato da un’orchestra in grande forma.

Nina Stemme dà l’addio ad Isolde – abbiamo assistito alla sua ultima recita – con commossa partecipazione, totale aderenza al personaggio, fraseggio sontuoso e soprattutto con voce intatta, consacrandosi così tra più le grandi wagneriane almeno dell’ultimo quarto di secolo.

Assai ben delineato il Tristan disperatissimo di Michael Weinius, padrone di uno squillo perentorio, così come dà ottima prova di sé Maxim Kuzmin-Karavaev disegnando un Marke disincantato.

Brava come sempre Violeta Urmana, Brangäne di lungo corso e davvero ottimi Andrei Bondarenko e Miljenko Turk, rispettivamente Kurwenal e Melot.

Bene Andrea Schifaudo (Giovane marinaio e Pastore) e Arturo Espinosa (il Timoniere).

In gran spolvero il coro preparato da Salvatore Punturo e il corpo di ballo che danza sulle coreografie di Davide Tagliavini.

Applausi per tutti e pubblico in piedi quando il sovrintendente Marco Betta ha reso omaggio alla Stemme con un mazzo di fiori e un foulard a tema “Teatro Massimo”.

Alessandro Cammarano
(29 maggio 2024)

La locandina

Direttore Omer Meir Wellber
Regia Daniele Menghini
Scene Davide Signorini
Costumi Nika Campisi
Luci Gianni Bertoli
Drammaturgia Davide Carnevali
Drammaturgia dell’immagine Martin Verdross
Movimenti coreografici Davide Tagliavini
Assistente direttore musicale Tohar Gil
Altro assistente alla regia Giovanni Ciacci
Nuovo allestimento del Teatro Massimo di Palermo
Personaggi e interpreti:
Tristan Michael Weinius
König Marke Maxim Kuzmin-Karavaev
Isolde Nina Stemme
Kurwenal Andrei Bondarenko
Melot Miljenko Turk
Brangäne Violeta Urmana
Ein junger Seemann/Ein Hirt Andrea Schifaudo
Ein Steuermann Arturo Espinosa
Orchestra, Coro e Corpo di ballo del Teatro Massimo di Palermo
Maestro del Coro Salvatore Punturo
Direttore del Corpo di ballo Jean-Sébastien Colau

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