Parma: il Trovatore corrusco secondo Livermore

Grandi applausi al Teatro Regio di Parma per la prima del Trovatore messa in scena da Davide Livermore domenica 24 settembre sotto la direzione del maestro concertante Francesco Ivan Ciampa.

Quattro repliche previste per questo secondo titolo del Festival Verdi 2023, in cartellone dopo l’inaugurale I Lombardi alla prima Crociata, magistralmente diretto da Francesco Lanzillotta con la regia di Pier Luigi Pizzi, e prima del Nabucco, in forma di concerto, e del Falstaff che per la regia di Manuel Renga chiuderà   la rassegna sabato 14 ottobre.

Livermore, il regista torinese che si considera innanzitutto un musicista e vanta un passato di cantante lirico, coreografo e danzatore, ha già messo in scena il Trovatore  l’anno scorso in Giappone. Per questa nuova produzione al Regio di Parma ha scelto una regia forte, corrusca, rocciosa.

Domina la scena l’immagine di un cavalcavia in cemento armato, di una fortezza che sembra una prigione, entrambi ai margini della periferia urbana, luogo di violenza, solitudine, disagio.
Sullo sfondo si agitano le onde multiformi di una distesa d’acqua sempre cangiante, forse un lago, forse un mare, che riflettono i moti dell’animo e dal muro di luce del video di  D-Wok ne proiettano il riverbero sulle  plumbee scene di Giò Forma. Ai lati di queste quinte visive, due grattacieli in vetro e acciaio incombono minacciosi coi loro spigoli. Evocano il palazzo dell’Aliaferia di Saragozza, dove il dramma inizia col capo degli armigeri del conte di Luna che racconta ai soldati gli incerti amori del loro padrone per Leonora, sedotta dal trovatore sconosciuto. Ferrando, interpretato benissimo dal basso Roberto Tagliavini, e i soldati del seguito vestono abiti moderni, giacche grigio asfalto, impermeabili in similpelle.

Mentre Franco Vassallo, nel ruolo del conte di Luna, compare in giacca e cravatta, e a un certo punto tira fuori un telefonino per chiamare i suoi araldi. Zingari che nel libretto di Cammarano battono il ferro accampati fra le gole delle montagne, vengono sostituiti dagli acrobati di un circolo, trampolieri, ginnasti, clown, che si esibiscono sotto un immenso tendone, incuranti delle percussioni che riproducono i colpi di martello.

Altra dislocazione, alla fine, Leonora anziché riparare in un convento approda fra le infermiere di un ospedale militare, che ruota su se stesso con i letti che spuntano dal proscenio. Pollice verso da parte del pubblico del Teatro Regio di Parma, custode di Verdi e della tradizione del Maestro di Busseto, che ha sonoramente buato la trasfigurazione. Ma il regista Livermore ha difeso con forza la sua interpretazione.  “Le suore oggi dove altro le trovi se non ospedale?” domanda al cronista.  “E gli zingari, gli emarginati, oggi vivono nei suburbi di periferia, accampati sotto un   cavalcavia, dentro un luna park, non certo in mezzo alle montagna”, spiega il regista insistendo sul principio cardinale della sua  estetica:  “Il regista oggi deve dare  vita contemporanea alle opere del passato”. Dunque via i gitani spagnoli, con le loro cianfrusaglie da riciclatori seriali. Al loro posto un gruppo di girovaghi, circensi, con tanto di mangiatore di fuoco, emarginati   che vivono per strada, in una roulotte, ai bordi di un luna park, fra vecchi copertoni di gomma, cumuli di stracci, taniche abbandonate. Perché il Trovatore, questo capolavoro della trilogia popolare che debuttò nel 1953 al Teatro Apollo di Roma, a ben guardare nulla ha  di romantico o di feticista. E infatti quando Verdi decise di  musicare il dramma di Antonio Garcia Gutierrez, volendo toccare i luoghi oscuri dei sentimenti, concepì un altrove dominato dalla forza bruta e della violenza, dove una zingara   fra minacce e spergiuri aveva dato fuoco in un clima fosco di vendetta  a un neonato, ignorando che fosse  il proprio figlio. Azucena doveva essere “un carattere strano e nuovo”, scrisse Verdi al suo librettista Cammarano, non una pazza, dunque, ma la protagonista straordinaria di una storia incredibile  che racconta di figli illegittimi venduti e ceduti, dando voce a sentimenti inesprimibili, come l’odio, il rancore, la  vendetta, la forza subdola degli umili che si oppongono all’arroganza dei grandi.

Per questo la regia del Trovatore di Livermore è corrusca, rocciosa massiccia. E in linea con la regia è la direzione del Maestro Ciampa, piena, compatta, attentissima a approfondire i timbri scuri, i toni forti, nell’accompagnare le voci e nell’esaltarle comme il faut.

Il cast ben assortito, scelto dal nuovo sovrintendente del Regio Luciano Messi, con la consulenza artistica di Alessio Vlad, spicca il soprano Francesca Dotto per la proprietà stilistica nella perfetta articolazione delle molte variazioni e nelle parti ripetute, affrontate con grande agilità, come la cabaletta del IV atto “Tu vedrai che amore in terra”.

Ottima la performance del mezzoprano   Clementine Margaine, un’Azucena che ha dimostrato grande portanza di voce e assoluto controllo nella tecnica oltreché estrema  facilità nell’acuto. Altrettanto eccellente la prestazione del soprano Carmen Lopez che nel ruolo di Ines ha cantato con tale maestria da poter ambire al ruolo di Leonora. Quanto alle voci maschili, il baritono Franco Vassallo, forte della sua esperienza ha salvato la situazione in extremis dopo la defezione di Markus Werba, aggiungendo, in “Il Balen del suo sorriso”, le famose variazioni Galeffi “di scuola Cotogni” già lodate da Verdi, e mantenendo la pressione musicale e l’armonia.

Buona la prova del tenore Riccardo Massi nel ruolo di Manrico, un trovatore schietto, simpatico, e ammaliante anche se in balia dell’antagonismo incomponibile tra suocera e nuora.

Alla fine, molti gli applausi e così calorosi da attutire i fischi del loggione.

Marina Valensise
(24 settembre 2023)

La locandina

Direttore Francesco Ivan Ciampa
Regia Davide Livermore
Regista collaboratore Carlo Sciaccaluga
Scene Giò Forma
Video D-Wok
Costumi Anna Verde
Luci Antonio Castro
Personaggi e interpreti:
Il Conte di Luna Franco Vassallo
Leonora Francesca Dotto
Azucena Clementine Margaine
Manrico Riccardo Massi
Ferrando Roberto Tagliavini
Ines Carmela Lopez
Ruiz Didier Pieri
Un Messo Enrico Picinni Leopardi
Un Vecchio Zingaro Sandro Pucci
Orchestra e coro del Teatro Comunale di Bologna
Maestro del coro Gea Garatti Ansini

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