Pesaro: i due piani di Adelaide

L’opera che parla di sé stessa, adottando i dispositivi scenici ed espressivi del cosiddetto metateatro, è un sottogenere magari non particolarmente frequentato ma antico e molto caratteristico. Sull’onda di un celebre pamphlet di Benedetto Marcello, Il teatro alla moda, pubblicato a Venezia nel 1720, il suo secolo d’oro è stato il Settecento, quando le irresistibili fortune del melodramma e il suo pittoresco mondo dentro e fuori dalla scena offrivano ampio campo agli intenti satirici o in generale comici di questo approccio. Uno dei suoi esempi più significativi appartiene però in pieno all’Ottocento. S’intitola La prova di un’opera seria e fu composto dal genovese Francesco Gnecco nel 1803, inizialmente con uno specifico riferimento – anche nel titolo – alla celebre azione tragica Gli Orazi e i Curiazi di Domenico Cimarosa, risalente al 1796. Due anni dopo, Gnecco rivide partitura e libretto per un’esecuzione avvenuta alla Scala, facendo scomparire i collegamenti puntuali al melodramma cimarosiano e inventando come oggetto di parodia un lavoro inesistente intitolato Ettore in Trabisonda. Era il punto di partenza di una fortuna durata in tutta Europa per oltre mezzo secolo.

La prova di un’opera seria avrebbe potuto essere il sottotitolo della seconda nuova produzione di un Rossini Opera Festival poche altre volte come quest’anno incline alle rarità, dedicata ad Adelaide di Borgogna. E non perché lo spettacolo ideato da Arnaud Bernard abbia virato la rappresentazione su di un versante satirico o caricaturale pur sempre possibile (e come vedremo, in qualche caso sfiorato), ma in senso stretto. L’allestimento del regista francese debuttante al ROF propone infatti non una rappresentazione dell’opera rossiniana in quanto tale, ma il racconto di una prova dell’Adelaide realizzata nel tempo presente. La scena di Alessandro Camera rappresenta un immaginario spazio-prove dello stesso festival pesarese: in fondo, da sinistra a destra, si vedono le porte dei bagni per gli addetti, una grande saracinesca, alzando la quale vengono fatti passare vari materiali di scena, due distributori di merendine e di bevande calde. Non è neanche una prova in costume in senso stretto. Durante il primo atto, la maggior parte delle masse e quasi tutti i protagonisti sono vestiti in maniera mista casual-scena, solo con i tocchi necessari a far riconoscere al pubblico i protagonisti (abiti assai ben assortiti nella scelta di Maria Carla Ricotti). La prova è naturalmente una “filata” ben servita dalle luci di Fiammetta Baldiserri, o non si avrebbe spettacolo secondo le consuetudini correnti, ma soltanto l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, diretta da Francesco Lanzillotta, si produce in un’esecuzione “normale”. In scena, invece, si vedono coristi un po’ indisciplinati che il loro maestro guida da vicino mentre l’assistente di regia ne gestisce i movimenti non senza impazienze. O cantanti distratti, riottosi, polemici con i colleghi o con chi sta montando lo spettacolo. Anche se poi, dal punto di vista musicale, tutto fila ugualmente come dev’essere.

Bernard costruisce un ingegnoso e per molti aspetti intrigante duplice livello narrativo, le cui coordinate si chiariscono già mentre si ascolta la Sinfonia avanti l’opera. Si vede il tenore (nella rappresentazione, Adelberto) che amoreggia con una danzatrice, mal protetto da una tenda; e si vede quella che si capisce essere la sua compagna (nell’opera la protagonista in titolo, Adelaide, soprano) coglierlo sul fatto e fargli una scenata. La rappresentazione inizia, e la duplicità narrativa diventa metateatro: nel regno d’Italia alla vigilia del Mille, Adelaide rifiuta il matrimonio con Adelberto, figlio di Berengario, rivale e avvelenatore del marito di lei, Lotario, e chiede soccorso all’imperatore Ottone, che volentieri accorre a difenderla dalla Germania a Canossa, dove si svolge la vicenda del libretto di Giovanni Schmidt. Ma il no di Adelaide a Lotario è anche il no del soprano al tenore con cui fino a poco prima aveva una relazione. Ed è l’occasione per il mezzosoprano che fa la parte, “en travesti”, dell’imperatore, di cominciare a far capire alla fanciulla – nelle controscene di cui lo spettacolo è costellato – che prova un tenero sentimento nei suoi confronti. Così, il “triangolo” della contemporaneità si sviluppa in parallelo e in sovrapposizione con quello della finzione scenica, che propone il dramma per musica in una sorta di “making of Adelaide di Borgogna”, con scene dipinte che calano dall’alto, attrezzi ed elementi vari che vengono collocati da tecnici indaffarati e che propongono dell’opera una versione “d’epoca” non priva di fascino, specialmente nella contiguità con il contesto attuale della prova in cui tutto avviene.

La conclusione è quella di Rossini, naturalmente: Ottone sposerà Adelaide in fastosa cerimonia, dopo avere ripetutamente sconfitto le truppe di Berengario e Adelberto, che finiscono prigionieri. Ma a quel punto i due piani narrativi confluiscono in uno solo, quello della contemporaneità: il mezzosoprano si libera dei fastosi costumi da imperatore e resta in maniche di camicia, fanciulla innamorata a cui l’altra fanciulla, il soprano, dice di sì, fra il tripudio di figuranti e coristi che tosto impugnano i telefonini per immortalare la lieta scena.

Insomma, l’opera del 1817 ambientata nel X secolo c’è tutta, non solo musicalmente e vocalmente ma anche dal punto di vista rappresentativo. Ma c’è anche la cornice che riconduce quelle stesse dinamiche drammaturgiche, a onor del vero alquanto deboli, al tempo presente. Un modo intelligente di superare l’inevitabile impasse di una rappresentazione “tale e quale” di Adelaide di Borgogna, non a caso giunta con questa produzione solo alla seconda presenza in 44 edizioni del ROF (più un’esecuzione in forma di concerto).

Uno dei maggiori motivi di interesse della programmazione del festival, peraltro, era dato dalla possibilità per l’appassionato di ascoltare a distanza di 48 ore come fossero nella “versione inziale” le non poche pagine ascoltate in versione rivista e corretta nell’inaugurale Eduardo e Cristina. Proprio l’Adelaide, infatti, bocciata senza remissione da pubblico e critica alla prima romana di fine dicembre 1817, costituisce il giacimento principale da cui il Pesarese pescò a piene mani, genialmente rielaborando la sua musica. E si è avuta la conferma che – complice anche la ben diversa efficacia dei libretti – in Eduardo assume un ben diverso valore drammatico e perfino stilistico ciò che in Adelaide non esce – com’è stato acutamente osservato – da una sorta di “automanierismo”.

Dal manierismo esce di sicuro lo spettacolo di Bernard, anche a rischio di rendere vagamente caricaturale (talvolta avviene) il livello narrativo di base, quello in cui si svolge l’esecuzione della partitura di Rossini. Si tratta in realtà, per certi aspetti, di una implicita ma nitida critica a quest’opera, favorita dal clima di “straniamento” secondo cui la rappresentazione è impostata. E da questo punto di vista, appaiono superflue (ma sintomatiche del momento attuale per la regia operistica in generale) le considerazioni conclusive delle Note di regia: a chi scrive è parso chiaro che lo spettacolo non sia stato ideato, come Bernard si sente in dovere di precisare, “per scioccare o sembrare moderno”.

La compagnia di canto presentava un terzetto di protagonisti degno della grande tradizione del ROF. Il soprano Olga Peretyatko ha percorso con sapiente adesione stilistica la multiforme parte di Adelaide, proponendone una lettura di grande duttilità espressiva e di fascinosa ricchezza timbrica, sempre cesellando la coloratura con finezza e nettezza, senza mai perdere il controllo del colore. Analogamente, Varduhi Abrahamyan, che quattro anni fa nella parte di Arsace era stata uno dei punti di forza della Semiramide diretta da Michele Mariotti con la regia di Graham Vick, ha fatto valere qualità vocale ed eleganza, disegnando il personaggio di Ottone con viva partecipazione e seducente intensità. Al loro fianco, il tenore americano René Barbera, già apprezzato nel 2016 nel Turco in Italia, ha sciorinato eguaglianza e forza in pari misura, svettando facilmente e sempre con apprezzabile qualità coloristica. Bene il basso Riccardo Fassi, linea di canto ben equilibrata nella parte di Berengario e bene anche i comprimari, Paola Leoci nei panni di Eurice sua moglie, Valery Makarov come Iroldo e Antonio Mandrillo come Ernesto, ufficiale di Ottone. Il coro Ventidio Basso istruito da Giovanni Farina è stato al gioco dello spettacolo di Arnaud Bernard e musicalmente ha fatto il dover suo.

Sul podio di una sempre precisa ed equilibrata orchestra Rai è salito Francesco Lanzillotta, che specie nel primo atto ha mantenuto una linea di fin troppo soffusa eleganza, cercando spesso la morbidezza del fraseggio e la medietà delle dinamiche, con risultato non particolarmente accattivante. Più incisivo anche nella scelta dei tempi il taglio espressivo nella seconda parte, con efficace appoggio strumentale per le primedonne nelle loro gran scene.

Alla Vitrifrigo Arena accoglienze di franco successo per tutti i protagonisti della serata. Le repliche sono in calendario il 16, 19 e 22 agosto.

Cesare Galla
(13 agosto 2023)

La locandina

Direttore Francesco Lanzillotta
Regia Arnaud Bernard
Scene Alessandro Camera
Costumi Maria Carla Ricotti
Luci Fiammetta Baldiserri
Personaggi e interpreti:
Ottone Varduhi Abrahamyan
Adelaide Olga Peretyatko
Berengario Riccardo Fassi
Adelberto René Barbera
Eurice Paola Leoci
Iroldo Valery Makarov
Ernesto Antonio Mandrillo
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
Coro del Teatro Ventidio Basso
Maestro del Coro Giovanni Farina

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