Ritratti: Silvia Borzelli a Firenze per gli Amici della Musica

Domenica 13 novembre presso il Saloncino del Teatro della Pergola si terrà il secondo appuntamento di “Ritratti” nuovo ciclo tematico dedicato ai compositori di oggi, pensato dal direttore artistico Andrea Lucchesini all’interno della stagione degli Amici della Musica di Firenze. Questa volta l’ospite sarà la compositrice Silvia Borzelli, romana ma residente da anni ad Amsterdam, che, come prevede il format, presenterà sue composizioni affiancate da brani di compositori per lei significativi (Ligeti, Debussy, Iannotta, Urquiza) eseguite dal MDI Ensemble e Gabriele Carcano al pianoforte.

Abbiamo chiesto alla compositrice di parlarci un po’ di lei e di presentarci, in anteprima per Le Salon Musical, le sue composizioni in programma.

  • Le chiedo in apertura se la scelta di intraprendere la strada della composizione era per lei già chiara durante i percorsi didattici o è maturata nel tempo.

La mia vita musicale comincia a circa 7 anni, con il pianoforte. Nonostante abbia portato avanti e concluso i miei studi, sapevo che non avrei fatto la pianista ma ho sempre saputo che avrei voluto scrivere; inizialmente pensavo parole – ho sempre scritto poesie, racconti brevi – perché lo facevo con naturalezza ma in un certo senso senza reale coinvolgimento.

Ricordo un mio insegnante d’italiano dei miei primi anni del liceo, un dantista amante della musica classica e contemporanea che mi iniziò alla musica del primo ‘900 (seconda scuola di Vienna in particolare – Schönberg, Webern – ma anche Bartòk e Stravinksy) ricordo il mio stupore e l’immediata fascinazione. Scrivevo già all’epoca, piccoli pezzi che non facevo ascoltare a nessuno, non perché me ne vergognassi ma in virtù di un mondo privato che avevo la necessità che rimanesse tale. Gli ascolti, gli incontri, gli studi (cominciati con il corso di Composizione tradizionale dopo il liceo) gradualmente mi hanno portato a scegliere il percorso compositivo che diversamente da quello poetico, non è mai stato “facile” né immediato. Proprio le difficoltà, le sfide hanno sempre esercitato un’attrazione fortissima, capace di creare uno stato creativo coinvolto e incantato. Al termine dei miei studi conservatoriali ed esperienze di perfezionamento all’estero, ho deciso di continuare il mio percorso di ricerca con una crescente necessità/desiderio di confrontarmi con gli interpreti, con il suono fuori e dentro la notazione, nella definizione di una strada che sto ancora percorrendo.

  • Lei vive all’estero, come molti altri musicisti italiani, nel suo caso questa scelta vuol sottolineare le difficoltà creative e professionali di chi frequenta il contemporaneo nel nostro Paese?

Nel 2008 mi sono trasferita nei Paesi Bassi per frequentare un master in composizione al Conservatorio dell’Aia. Subito dopo il master ho deciso di restare, mi sono trasferita ad Amsterdam che è diventata la mia base di vita e di lavoro.

Esercitare il mestiere di compositore/trice in Olanda (o in altri Paesi Europei) non credo sia facile rispetto all’Italia ma è sicuramente facilitato e credo che le difficoltà che si incontrano in Italia non siano di tipo creativo ma professionale. Anche in Olanda ci sono stati tagli considerevoli al mondo dell’arte e della cultura negli ultimi anni, però continuano ad esistere fondi ai quali un singolo artista può accedere per proporre un progetto o una collaborazione che necessita di supporto ed incentivo e ci sono festivals ed istituzioni con budgets sui quali contare per commissioni e una programmazione continuativa.

Mi considero una cittadina europea e il luogo dove si decide di vivere è spesso quello che ti fa star bene, non per forza quello profondamente amato. Sono felice quando posso partecipare ad un progetto ben fatto e ben congeniato in Italia (come questo concerto) e quando anche il livello dei musicisti è altissimo (come nel caso di Carcano e Mdi) il coinvolgimento è più forte e sentito, diventa quasi orgoglio.

  • Se dovesse sintetizzare in pochi nomi i riferimenti stilistici e i linguaggi che influenzano la sua scrittura musicale, quali farebbe e perché? Nel programma che ha pensato per il secondo appuntamento di Ritratti per gli Amici della Musica di Firenze risaltano soprattutto Debussy e Ligeti. Da lì si deve partire?

Non so se Debussy e Ligeti rappresentino un punto di partenza dei miei riferimenti stilistici ma sono sicuramente due compositori che ho sempre amato. La musica pianistica di Debussy (come quella di Bach) ma anche quella strumentale ed orchestrale, mi accompagnano da sempre (ricordo un cd con il quartetto d’archi in sol min. usurato dai miei ascolti ripetuti/ossessivi); quella di Ligeti è subentrata più tardi, con forza ed irruenza, in particolare la sua produzione dopo il 1956, incentrata sulla micropolifonia e poliritmia.  Ho sempre ammirato nella sua musica la predisposizione ai forti contrasti, nuvole e meccanismi, la direzionalità e l’incompatibilità con un approccio di tipo seriale.

Ho ascoltato e ascolto tanta musica, generi e mondi musicali diversi. Tutte le esperienze d’ascolto e di innamoramento di universi sonori sono state e continuano ad essere variegate e piacevolmente disordinate. Compositori che hanno fatto parte della mia formazione compositiva (Beat Furrer, Yannis Kyriakides e Bernhard Lang – per nominarne alcuni) ed altri che non ho avuto il piacere di conoscere ma che hanno contribuito a costruire il mio orizzonte musicale [lista parziale e in ordine sparso: Franco Donatoni, Fausto Romitelli, Pink Floyd, Area, David Lang, Pigmei Aka/Centro Africa, Laurie Anderson, Luc Ferrari, John Coltrane… ].

Vorrei aggiungere però che nel momento in cui ho riconosciuto una deviazione personale e fertile del mio lavoro compositivo è coinciso con una sorta di “sordinamento” dei miei riferimenti di studio e di ascolto. Non parlo di rimozione ma della necessità di creare spazio, uno spazio dove ho smesso di preoccuparmi del genere di musica a cui appartenevo ma solo di quella che volevo ascoltare e far ascoltare.

  • Ci parli brevemente delle sue composizioni in programma a Firenze il 13 novembre.

I tre pezzi che ascolteremo il 13 novembre fanno parte della mia recente e recentissima produzione strumentale di musica da camera, luogo di far musica che sento congeniale.

Il concerto si aprirà con un pezzo in prima assoluta (commmissione Amici della Musica di Firenze e MICO, Bologna Modern): A Self-portrait (with Anatsui in the background), per pianoforte preparato. Gabriele Carcano mi ha chiesto di scriverlo immaginandolo all’interno di un programma con Debussy e Ligeti e intorno al tema ‘Africa’.

Il titolo prende ispirazione dal secondo movimento dei Tre pezzi per due pianoforti di Ligeti: Self-portrait with Reich and Riley (with Chopin in the background). Il titolo è quindi un omaggio a Ligeti ma anche all’opera di El Anatsui, scultore ghanese conosciuto principalmente per le sue maestose sculture/arazzi fatti con materiali di recupero. Le sue trame e patterns di geometrie cangianti sono state riferimento visivo e “sfondo” fortemente presente durante la scrittura del pezzo. Cellule e trame si ripetono quasi ininterrottamente tra percussività dal timbro che ricorda una mbira (kalimba) e profili /onde di distorta natura debussyana. Tanti riferimenti e suggestioni che alla fine si perdono e si confondono e rimane un autoritratto, il mio.

Nella seconda parte con Mdi, ascolteremo Further In (2014), per pianoforte (anche qui preparato) e violoncello. Il pezzo è quasi un solo per due strumenti, una forma chiusa che tende verso una forma circolare, è virtuosismo di incastri serrati, un Wandern senza climax, sempre in avanti.

Il terzo brano che chiuderà il concerto è after-image (2019) per clarinetto basso e quartetto d’archi. Il pezzo fa parte di un dittico sulla visione, sulla retina, sull’iper-visione (hyper-image il titolo del secondo brano del dittico). L’after-image è un’immagine residua che persiste nella retina dopo che lo stimolo visivo originale è ormai cessato. Quello che mi interessava non era la trasposizione musicale del fenomeno bensì la possibilità di costruire un mondo musicale che potesse contenere e atomizzare l’idea di traccia/residuo con le sue duplicazioni, l’esposizione ad uno stimolo e l’area fluttuante attivata, l’alterazione, la persistenza e l’adattamento.

Paolo Carradori

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