Sesto Bruscantini: maestro ineguagliabile dal buffo al serio

Il mio fortunato incontro con Bruscantini risale al 1980 quando, dopo aver studiato canto per quattro anni con una brava maestra di Napoli, incentivato a farlo da Alfredo Kraus qualche anno prima, vinsi il Concorso di Spoleto.

Fortuna volle che in commissione ci fosse Sesto Bruscantini le cui virtù canore apprezzavo già da anni dal mitico vinile: subito ne approfittati per chiedergli di potermi seguire ed avendone la sua generosa disponibilità, iniziai a frequentarlo da allievo, raggiungendolo da Napoli prima e poi da Firenze fino al 2001, anno in cui la malattia cominciava purtroppo a limitargli l’uso della parola.

Di lui mi piace ricordare la più evidente e nobile qualità da cui discendevano tutte le altre, l’umiltà che lo ha sempre accompagnato: diceva che aveva imparato a cantare a 40 anni, dopo l’incontro con Kraus, ma facile constatare dai documenti audio che in realtà lo sapesse ben da prima… Era una miniera di aneddoti ed esperienze relativi a quella che era definita l’età d’oro della lirica.

Mi raccontava di aver imparato e risolto l’importante tema della respirazione grazie ad un baritono campano che era relegato a coprire piccoli ruoli al San Carlo a causa della sua spiccata cadenza dialettale. In seguito approfondì lo stesso argomento fondamentale per l’emissione vocale ed il sostegno della voce, con Alfredo Kraus, suo amico fraterno. Subito dopo il mio debutto, fui chiamato a cantare in Werther a Cagliari proprio con il grande tenore canario che già conoscevo da Napoli: il constatare che i due grandi artisti parlassero la stessa lingua nell’ambito del canto fu di importanza fondamentale.

Erano i dettami della scuola antica, illuminata, promulgata da Francesco Lamperti seguita poi dalla Mercedes Llopart (Milano era la sede di entrambi…) che aveva sfornato grandi cantanti di lungo corso, potendosi avvalere di una tecnica sopraffina e salda che si basava su canoni sperimentati attraverso tanti anni; è solo da una ventina d’anni a questa parte che si sono create le “correnti” di pensiero sullo stesso tema, come se si parlasse di politica o filosofia. Occorre arrendersi all’evidenza: se venti, trenta anni fa, anche i cosiddetti “comprimari” cantavano bene, sfoggiando solida tecnica, questi stessi, oggi, potrebbero tranquillamente affrontare primi ruoli e con buoni risultati.

Quindi si è andati a ritroso… c’è da rifletterci!

Il Maestro, così l’ho sempre chiamato (il rispetto formale talvolta è avvaloramento di quello sostanziale) era l’autentico precursore e sostenitore di ciò che aveva inventato Claudio Abbado nella Rossini Renaissance dal ’68: la regia vocale, cioè l’intervento diretto sulle voci. Il legame tra pentagramma e testo era per lui inscindibile e le energie che impegnava nell’approfondire ciò erano inesauribili così come la capacità di trasmettere questo metodo. Uno degli aspetti più importanti da cui scaturisce la mia eterna gratitudine è l’avermi insegnato a cantare seriamente i ruoli del “buffo” che sono sempre centrali, già dall’Intermezzo del ‘700.

Evidenziare la fragilità onnipresente di questi personaggi che per essere centrati devono stimolare solidarietà e simpatia, come effettivamente accade alla fine delle vicende che ruotano intorno a loro: se il “buffo” non si riscattasse alla fine, l’opera buffa non potrebbe avere finale lieto.

In pratica Lui diceva che il vero “buffo” è colui che prende sul serio la vicenda che lo rende vittima: con Lui, tutti i ruoli del buffo hanno acquistato giusta dignità.

Altra materia preziosissima della quale questo grande Artista mi ha arricchito è il fondamentale studio del recitativo: la dedizione che metteva in questo tema era davvero straordinaria e non era possibile non farsene coinvolgere. Da temi di fonetica ad accenti tonici, da pause da valorizzare a policromia vocale cui attingere di continuo, era davvero una grande, inesauribile miniera; e di questo per buona sorte ci sono tante prove documentali.

Sappiamo bene che non sempre l’equazione grande artista=grande docente sia valida, anzi raramente accade… Vero è anche che il canto non dovrebbe essere materia didattica trattata da docenti quasi a digiuno di esperienze di palcoscenico, posto che non vi sia miglior maestro di questo. Occorrono tante altre qualità oltre la voce, per insegnare come per cantare: comunicativa, generosità, background culturale che vada al di là del pentagramma.

L’incredibile versatilità di Sesto Bruscantini nel convincere ed affascinare pienamente l’ascoltatore sia nel repertorio brillante sia nel repertorio serio dipendeva dalla formazione umanistica che aveva (anche questa era collante tra di noi) e fungeva anche da sprone ai colleghi più giovani a frequentare più repertori nel loro percorso formativo. Il repertorio, tema divenuto molto delicato e che condiziona la lunghezza di una carriera. Quando iniziai a muovere i primi passi ebbi la forza di rinunciare a diverse proposte ritenute premature per il mio stato vocale anagrafico avvalorando ciò che dicevano i grandi e cioè che la carriera si faceva dicendo più no che : oggi, i giovani colleghi non possono più farlo perché rischierebbero di essere estromessi dalle agenzie e quindi dal mercato: è perciò che ad essi va dedicata la massima attenzione durante la formazione.

Il Maestro mi raccontava che colui che nei primi tempi lo aveva aiutato di piu’ era stato Luigi Ricci che, pur non essendo un maestro di canto, era un grande musicista, vero esteta del suono vocale; uno dei maestri più importanti del grande Pavarotti, come anche della Tebaldi, era stato Ettore Campogalliani, che anche io ho avuto il privilegio di conoscere, straordinario coach, maestro di spartiti, a conferma del fatto che nell’ars canora non ci siano compartimenti stagni.

Impossibile non ricordare la mia straordinaria esperienza di aver cantato con lui in due produzioni, in una delle quali ero il Suo Taddeo nell’ Italiana in Algeri” di G. Rossini.

Era il 2001 quando mi recai da Lui per l’ultima lezione sul Gianni Schicchi e la malattia iniziava ad incalzare limitandogli l’uso della parola: fu allora che con estrema lucidità, mi chiese di trasmettere cio’ di cui mi aveva arricchito in ventun anni ai giovani colleghi “che ne avranno bisogno”. Come non raccogliere tale raccomandazione? Fu da allora, nel pieno della mia carriera artistica, che mi sono ricavato uno spazio del mio calendario artistico da dedicare alla didattica che dovrebbe essere un naturale traguardo per un artista di lungo corso, un percorso da seguire a latere di quello artistico: per donare qualcosa occorre essere ancora lucidi e tonici e “questa tradizione va trasmessa da voce a voce” (Renata Tebaldi).

Il momento attuale del comparto lirico è molto critico, con qualche eufemismo: se non si restaura il codice etico che risulta essere alquanto compromesso, continuando a perdere credibilità, si rischia di retrocedere in C, posto che saremmo già in B. Di tutto questo pagano i giovani musicisti, frastornati e scettici da tante… troppe iniziative di formazione, talvolta anche accademiche che finiscono per accogliere buoni elementi provenienti dalle parti più disparate del mondo: nei concorsi di canto, come nelle audizioni atte a selezionare gli ingressi di nuovi allievi nei Conservatori, si registra una esigua minoranza di cantanti italiani e di questo ormai impossibile evitare di approfondire l’eziologia del fenomeno.

Bisogna sempre piu’ tener presenti due fondamentali aspetti: il primo è che gli allievi, aspiranti cantanti, non hanno i riferimenti che avevamo noi. Oltre che con il mio Maestro, io ho cantato con Kraus, Caballé, Aragall, Ghiaurov, Blake, Gruberova, la Rinaldi recentemente scomparsa, e piu’ di recente la cara amica Dessi’; nei concorsi di canto (vinti cinque e persi due) avevo come giurati Tebaldi, Bergonzi, Del Monaco, Di Stefano, Protti, Rossi Lemeni, la Cigna, etc.…, cioè figure ispiratrici che fungevano anche da grandi stimoli allo studio e alla disciplina ad esso connessa. Se si interrompe l’informazione che i grandi del passato ci hanno lasciata, la qualità artistica delle nuove generazioni verrà compromessa, come purtroppo in parte sta accadendo.

È stato un enorme privilegio conoscere questo grande artista proprio all’inizio della mia carriera e soprattutto ricevere gli insegnamenti “della scuola antica” (da “Il maestro di cappella” di Cimarosa) di cui lui è stato uno dei più illustri esponenti.

Vocalista sicurissimo, dicitore eccellente, presenza scenica insuperabile, esempio indelebile di umanità: tutte doti che lo possono far legittimamente considerare uno dei più grandi interpreti operistici di tutti i tempi.

A Lui la mia indelebile gratitudine unita al mio impegno di trasmettere ai giovani colleghi, che lo volessero, i Suoi impagabili insegnamenti.

Bruno de Simone

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