Talismani per il futuro: fffortissimo di Alberto Sinigaglia, una non-recensione

Ispirata dal neonato genere della non-recensione racconterò oggi un paio di cose di un libro che – prendi e lascia, un atteggiamento cui ben si presta per la sua natura antologica – riposa felicemente sul mio comodino da mesi. Il compito è gravoso: anzitutto, per obbligo di onestà. Verso chi legge e verso chi ha scritto questo libro. Spiegherò tra qualche riga il perché.

Excursus n. 1) per i curiosi. Consigli, oppure chiavi, o ancor meglio tre talismani per il futuro, l’autore Alberto Sinigaglia – veneziano di Torino, così si definisce – chiedeva a Italo Calvino, in una storica intervista televisiva:

https://www.youtube.com/watch?v=h9EX2GRhd4Q

Oggi, in prima persona, Sinigaglia offre il proprio suggerimento a chi scrive:

V: Quali consigli dà ai giornalisti che scrivono o parlano di cultura e di libri?

S: “Pensare ai lettori, non ai colleghi. Non fare salotto, non fare marketing. Evitare gli scambi di favore tra autori. Tornare alle recensioni, scritte dopo aver davvero letto il libro. Ridare spazio alla saggistica. Puntare sulla qualità. Bandire l’amicalità. Rispondere agli uffici stampa insistenti, agli autori ammiccanti o questuanti, agli editori incalzanti: ‘È la stampa, bellezza!’, anche se fai radio, tv o scrivi sul web” (intervista di Generoso Verrusio, 15 luglio 2020: https://www.premioestense.com/2020/07/15/i-protagonisti-del-premio-estense-intervista-a-alberto-sinigaglia/).

Faccio l’esame di coscienza: ho lavorato nel marketing e conosco personalmente l’autore. Ma ho letto il libro. Sono convinta che si possa parlare di chi ci è amico con trasparenza e, se non con obiettività assoluta (in ogni caso credo impossibile), con una giusta distanza. Perciò ne scrivo.

Anzitutto un po’ di cronologia: nella “prima” ondata del Covid19 si sono succeduti un passato prossimo – questo libro è nato il 3 dicembre 2019 ed è stato cucito assieme, appena prima della clausura, grazie alla collaborazione dell’Accademia Perosi di Biella -, un durante, un breve dopo che abbiamo quasi scordato, e un futuro anteriore (oggi al momento non pervenuto).

Mentre procedevo con la lettura di fffortissimo, durante la “prima” pandemia, ho rivisto C’è musica e musica di Luciano Berio (1972, dodici puntate disponibili su RaiPlay https://www.raiplay.it/programmi/cemusicaemusica).

Tra i due si è venuto a creare, a poco a poco, una specie di corto circuito: molti dei “nomi” del mondo della musica che vivono in entrambe le opere, sulla carta stampata gli uni in video gli altri, quasi una completasse l’altra, sono davvero gli stessi.

Vestendo i panni della marketing manager, consiglierei quindi di indugiare sulle interviste al nostalgico Malipiero, a Stockhausen, a Paolo Conte, al visionario Messiaen, a Rihm, o di fare un salto nel camerino di Lenny Bernstein, colto a torso nudo (!), con l’immancabile bicchiere di whisky in mano. O, ancora di ascoltare la viva voce di Gianandrea Gavazzeni, Kleiber, Luzzati, Mario Brunello, Henze, Sinopoli (e, a proposito di quest’ultimo, a completamento del libro, d’ascoltare o riascoltare, quest’intervista radiofonica https://www.raiplayradio.it/audio/2018/02/RaiTv-Media-Audio-Item-00be3edb-87a7-46d6-a026-0424524f4a9f.html – profetica? – andata in onda nel maggio 2001 nella rubrica “La notte di Radio 3”).

Diciamo la verità: la maggior parte dei libri svaniscono nella memoria. Quante volte ne prendiamo uno in mano e ci accorgiamo di averlo dimenticato del tutto? Dovesse rimanere in futuro un solo passaggio di fffortissimo, eccolo qui:

AS: “C’è una regola di Boulez per i giovani musicisti, per i nuovi compositori?”

PB: “Niente. Niente, se non: lavorate, lavorate, cercate di scoprire voi stessi, la vostra personalità, cercate di trovare in voi un modo d’avvicinarvi alle cose. È l’unico talismano ch’io possa consegnarvi” (p. 75).

Compositori, direttori d’orchestra, interpreti. Vite vissute al massimo. Come recita il blurb: “Tre f sul pentagramma indicano ‘fffortissimo’, eseguire con il massimo sforzo e quattro ‘elementi’ vitali: testa, cuore, muscoli e polmoni”.

Arduo dire chi non ci sia in questo libro: a volergli trovare una pecca, mancano le donne. Un po’ sarà il caso – gli incontri della vita, neanche quelli di un giornalista, per lo più legati alla contingenza, quasi mai si pianificano – un po’ è foto fedele di un mondo prevalentemente dominato dagli uomini: inutile farne, con le quote rosa, un falso storico. Ma alle/agli storiche/ci non si può mai toglier dalla testa il pallino di quel che i documenti celano. E vorrebbero quindi esser messi a parte anche di quegli incontri che, per un motivo o per un altro, non si sono potuti fissare su carta o non sono qui compresi: Richter e Strehler, Rubinstein, Luigi Magnani, Wally Toscanini.

Non sottolineo qui gli assenti per fare una critica, ma per trarne una lezione. In un incontro pubblico è stato lo stesso Sinigaglia a precisare che la o il giornalista dev’essere in grado di distinguere quando ha in mano del materiale buono e quando non ce l’ha. Quando insomma, per i più svariati motivi, non si è portata a casa una buona intervista, bisogna avere il coraggio di rinunciare.

Excursus n. 2): chi scrive può sempre cedere, anche sul web, alla tentazione di mettersi in cattedra, vestendo i panni del so-tutto-io (ma che noia! E che resta poi da imparare?), strizzar l’occhio ai professoroni e far loro credere sono-proprio-come-voi. Vero è che chi scrive dovrebbe (si spera) sparire dietro all’oggetto di cui parla: questo pezzo ubbidisce però alle regole non scritte della non-recensione. A me sembra invece corretto svelare ciò di cui si è stati indotti ad avere vergogna o quello su cui, a volte, si tace. Come nipote di sarta rivolto sempre l’abito per osservare l’imbastitura dentro: da ciò che non si deve vedere, mi hanno insegnato, si riconosce la fattura del lavoro. Certo quel che sto per scrivere è un’ovvietà. Però va scritta: si ascolta, si vede, si legge anzitutto attraverso le lenti dei propri occhiali (in ordine sparso: della classe sociale cui si appartiene, della cultura che si è scelto di avere o che si è ricevuta, del proprio genere) e, poi, anche delle esperienze vissute.

Quindi: chi scrive, nata nel 1981, non c’era. E deve considerare i pezzi qui contenuti in tutto e per tutto documenti storici: reperti, ovvero, in stragrande maggioranza di un tempo lontano (e che, viste le differenze col presente, appare davvero remoto) e che non gli è mai appartenuto. Il metodo dello o della storica/o consente tuttavia di penetrare in un’altra epoca e, se si è fortunati, avendo a disposizione una certa quantità di documenti significativi, o che si sanno far parlare, fingere di esser stata/o lì, facendosene un’idea. Ma, anche con la più raffinata metodologia storica, si tratta appunto di una finzione: ovvero, il ricostruire attraverso lo sguardo di qualcun’altro un’epoca che non è la nostra.

Non conta tanto che il periodo storico sia prossimo a noi (e avremo forse abbondanza di materiali) o lontanissimo (e quindi probabilmente scarsità di documenti): si può anche appartenere a un’epoca, ma esser mal equipaggiati a capirla o poco in sintonia con essa, a tal punto a volte che ciò può impedirci di arrivare a una sintesi coerente del momento che abbiamo vissuto. Questo, appunto, è ciò che ci permette di fare il libro di Alberto Sinigaglia: un viaggio nel nostro passato remoto e prossimo musicale. Per la gioia di chi vuole entrare in un’epoca della musica e della cultura attraverso documenti “parlanti”.

In questa non-recensione non affermerò come fosse quel periodo: per questo esiste appunto fffortissimo. Il libro coglie fatti e personaggi in presa diretta, fotografando i protagonisti nella loro immediatezza, in un lungo lasso di tempo: la prima intervista è del 1972, l’ultima del 2016. La sfida di chi recensisce non è quella di raccontare un libro, ma di suscitare la curiosità in chi legge. Vorrei invece sottolineare: la sensibilità per ogni intervistato, un porsi attento e su misura verso ciascuno (questo è il ritratto che l’Autore fa di sé: “un misto di confidente e domatore di inviati e corrispondenti, tra maieutica, diplomazia e psicoterapia”). E poi il dono della parola esatta. Oltre al gusto dell’individuazione del tipo psicologico, il talento dello schizzo fulmineo, in due parole. Precise, necessarie, tagliate su misura. Le uniche, in fondo, possibili.

Ci si potrà chiedere, in conclusione, se non si ceda (o non induca i lettori) alla tentazione della lode del buon tempo antico. Per niente. Sinigaglia ha ben chiaro il panorama attuale. Chiude la sua introduzione così. “Il giornalismo di oggi lancia artisti e spettacoli ubbidendo ad agenti, uffici stampa e ‘amicizie’, prescindendo dalla qualità, non ne valuta i risultati, semmai va a caccia di retroscena, pettegolezzi, polemiche. Umilia la critica con ritardi e posizioni periferiche o la esclude affatto. E ignora la nuova musica. Ma verrà il giorno in cui smetteranno di inseguire avventori che non cercano più né giornali né giornalismo e torneremo a occuparci di teatro-opera-concerti ripristinando gli appuntamenti con gli spettatori. Potremmo recuperare qualche lettore. Se ben servito, naturalmente”.

Benedetta Saglietti

Alberto Sinigaglia
fffortissimo
Edizioni Accademia Perosi 2019, pp. 302

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