Venezia: Una soirée con Charles Dutoit

Questa recensione parte con un disclaimer. Charles Dutoit è tornato a dirigere un’orchestra italiana per la prima volta dalle polemiche seguite al movimento #Metoo, che tra 2017 e 2019 hanno visto insorgere diverse denunce di molestie nei suoi confronti. Già dal 2019, però, il direttore è tornato a dirigere piuttosto regolarmente, mentre Slippedisc proclamava con l’usuale sarcasmo la morte del #Metoo. Lungi da me esplorare il tema in un pezzo che non aspira che ad essere una recensione, ma non potevo evitare di menzionarlo. L’introduzione termina qui; del concerto di Dutoit scriverò unicamente in termini musicali, ma era essenziale riportare alla mente dei lettori la necessaria presa di coscienza che è stato il movimento #Metoo (con i suoi evidenti limiti e problemi) anche nel mondo musicale classico.

Sabato 17 dicembre, al Teatro La Fenice di Venezia è tornato alla guida dell’Orchestra e del Coro del Teatro il celebre direttore svizzero Charles Dutoit, 86 anni e senza dubbio uno dei venerati maestri dei nostri tempi. Non a caso, il mattino del concerto a Dutoit è andato il Premio “Una vita per la musica” del Teatro, a consacrazione del suo percorso di artista. Ma perché Charles Dutoit è considerato un venerato maestro? Il concerto veneziano ce ne ha dato una chiara dimostrazione. Nonostante l’età, il direttore riesce ancora a compiere quel raro prodigio che è dono dei grandi: trasformare il suono dell’orchestra in un florilegio di timbri e dinamiche. Se si lamenta spesso una tendenza all’appiattimento monodimensionale del suono nelle orchestre (non ci sono più le mezze dinamiche, signora mia), colpa forse dei serrati ritmi di prova imposti alle compagini, forse della standardizzazione didattica, forse della globalizzazione e del turbocapitalismo, il concerto di Dutoit avrebbe accontentato i più nostalgici evocatori di bacchette. Affrontando tre autori vicinissimi ma diversissimi (Fauré, Debussy e Ravel), Dutoit è riuscito con una maestria a caratterizzare gli universi timbrici e dinamici dei tre, mostrandone i punti di contatto così come le siderali distanze.

Il concerto si è aperto con un estratto dalle musiche di scena per Pelléas et Mélisande di Fauré, la non così nota Suite op. 80, da cui è tratta la ben più celebre Sicilienne. La sonorità ottenuta da Dutoit con l’Orchestra della Fenice è stata corposa e morbida, ricca di sfumature, in uno splendido equilibrio tra il materico e l’evanescente. Un equilibrio ottenuto anche con un raffinato alleggerimento dei bassi, che consentiva agli splendidi fraseggi di dipanarsi liberi tra gli arcaismi di un neoclassicismo ammantato di simbolismo. Non è un caso che questa Suite piacque molto all’autore della pièce, Maurice Maeterlinck. Il rapporto tra Fauré e Debussy fu in realtà piuttosto contrastato e ritrovarli spalla a spalla in un programma non può che rievocare le numerose diatribe, comprese quelle più tarde, che vedevano nella matericità faureana l’antidoto alle seduzioni debussiane, così come Cézanne era la risposta all’impressionismo di Monet. In realtà, per i tre Nocturnes di Debussy il direttore ha scelto un suono più nitido, dal vibrato più teso e dai bassi marcati. Naturale conseguenza di questa scelta è stata l’associazione tra musica e pittura e più che agli sfumati impressionisti, la mente andava ai nitidi contorni delle stampe giapponesi. Ma non solo, è proprio in questa maggiore sottolineatura dei tratti che la musica di Debussy sembra trovare la sua dimensione, cambiando stato della materia da solido a liquido e perfino gassoso. Esempio perfetto di questa trasmutazione alchemica è stato il primo dei Nocturnes, Nuages. Le grige nubi si spostavano come campiture sonore, trascolorando lentamente da un colore all’altro, su cui si stagliavano con nitidezza le gestualità degli eventi musicali, soprattutto gli spunti solistici. Molto bene seguito anche il secondo Notturno, Fêtes, che nonostante i cali di energia e una certa rigidità è riuscito a rendere magnificazione le illusioni sonore tra pieno-vuoto e lontano-vicino. Bene anche l’ultimo, Sirènes, che ha visto la buona ma non eccellente prova del Coro femminile del Teatro, mentre la direzione di Dutoit è riuscita solo in parte a riscattare una sostanziale monotonia del Notturno sinfonico.

Dopo l’intervallo, una doppietta raveliana attendeva gli spettatori: la Seconda Suite da Daphnis et Chloé e La valse. Anche questa volta, il suono che Dutoit ha tratto dall’Orchestra della Fenice era diverso, con emissioni dirette, pulite, dai contorni di un nitore mai slabbrato. Gli ordinati piani sonori ben mettevano in rilievo i giochi di volumi plastici, senza esasperare gli elementi meccanici presenti nella musica di Ravel, costruendo una splendida compresenza di timbri e colori. L’approccio scelto da Dutoit per la Suite e La valse è stato fondamentalmente antiretorico, senza grandi slanci o perorazioni, un approccio che a tratti si è scontrato con la propensione dell’orchestra ad un’interpretazione più energica se non addirittura muscolare. Forse anche questo il finale de La valse non è riuscito a raggiungere la tensione esplosiva che ci si attendeva. Ma d’altronde, tutta la lettura de La valse di Ravel sfuggiva agli stereotipi. La precisione metronomica dell’agogica non impediva svenevoli portamenti ai violini, mentre l’orchestrazione spumeggiante ammiccava con disinibita chiarezza a Johann Strauss (figlio), senza mai raggiungere il libero slancio dei volteggianti valzer viennesi. In ogni caso, le ultime battute del poderoso poème chorégraphique hanno confermato il grande successo della serata e tanto l’Orchestra della Fenice quando Charles Dutoit sono stati accolti da scroscianti e ben meritati applausi.

Alessandro Tommasi
(17 dicembre 2022)

La locandina

Direttore Charles Dutoit
Orchestra del Teatro La Fenice
Programma:
Gabriel Fauré
Pelléas et Mélisande, Suite op. 80
Claude Debussy
Trois Nocturnes
Maurice Ravel
La valse

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