Bergamo: Medea in Corinto si fa Teatro

Il mito di Medea è stato declinato in molteplici forme nel corso dei secoli assumendo di volta in volta le caratteristiche che maggiormente si attagliavano al “presente”: è così da Euripide a Pasolini passando per Corneille.

Un elemento resta comunque costante, ovvero l’alterità – quando non l’estraneità – di Medea rispetto all’ambiente in cui si ritrova a condurre la propria esistenza.

Medea non ha patria, la Colchide nativa è per lei perduta nel momento in cui tradisce i suoi per amore di un straniero e Corinto le è matrigna; ella è la “diversa” e la non omologazione spaventa e crea diffidenza in chi riluttante l’accoglie e la spinge alla vendetta nel momento in cui Giasone sceglie, più per convenienza che per amore sincero, di abbracciare le regole rinunciando in qualche modo all’imprevisto dell’avventura che aveva caratterizzato la sua esistenza.

Nel teatro in musica Medea arriva mediata dalla tragedia di Corneille e da Charpentier e Cherubini approda a Giovanni Simone Mayr che manda in scena la sua Medea in Corinto prima a Napoli nel 1813 e poi, in una versione profondamente rivista, nel 1821 in quella Bergamo che diverrà la sua terra d’elezione.

Il Donizetti Opera – che da qualche anno finalmente fa il festival per davvero – propone l’edizione critica della versione bergamasca nell’edizione critica curata per ©Casa Ricordi da Paolo Rossini e che rispetto a quella partenopea risulta drammaturgicamente assai meno stringente.

C’è da dire che il libretto del giovane Felice Romani è ben lungi dall’essere un capolavoro di versificazione ma anche la musica troppo spesso difetta di slancio.

Mayr propone infatti una serie infinita di temi, alcuni dei quali assai belli sia dal punto di vista formale che da quello più squisitamente estetico, senza che nessuno di essi trovi il necessario sviluppo o diventi prevalente a sottolineare momenti e situazioni o a risolversi in strette decisive.

Ne consegue un lavoro corretto ma non coinvolgente e dunque quanto mai bisognoso di una messa in scena che ne tragga tutto il buono e aggiunga qualcosa e questo fortunatamente succede grazie alla sapienza teatrale di Francesco Micheli, teatrante di rango, che inventa uno spettacolo dirompente e insieme capace di scavare a fondo un impaginato che altrimenti risulterebbe nulla più che antiquariato.

Micheli – e con lui Edoardo Sanchi autore di scene mobilissime e Giada Masi che firma costumi evocatori – punta tutto su chi nella tragedia non ha voce, ovvero sui figli di Medea e Giasone che ripercorrono in lungo flash-back, che va dagli anni Cinquanta del secolo scorso fino al presente situando il fulcro dell’azione nel 1975, le vicende dei genitori

La Corinto del mito diventa un palazzone della periferia urbana di una città del Nord – qui emblematicamente capovolto – nei cui anonimi appartamenti fatti di cucine di fòrmica e camere da letto squallide le coppie Medea-Giasone e Creusa-Egeo si scambiano in continuazione i ruoli secondo un ritmo che rimanda alle bergmaniane “Scene da un matrimonio” ma anche alle atmosfere livide di Jodorowsky.

Ad osservare il tutto il re-sacerdote Creonte, immutabile negli anni, custode di un tempo cristallizzato e con lui Ismene e Tideo – qui in veste di portinai del casermone – testimoni partecipi della tragedia.

Il lavoro di Micheli su e con i cantanti è tale da permettere di giungere ad un livello di recitazione raramente riscontrabile e in grado di creare un totale coinvolgimento emotivo del pubblico; teatro vero, insomma.

Carmela Remigio si conferma ancora una volta come artista sublime, capace di coniugare il suo canto esemplare con una capacità interpretativa che si rifà direttamente alle grandi attrici drammatiche. A lungo resterà alla memoria la sua Medea fatta di sguardi intensi, di gesti perfetti, sempre meditata negli accenti.

Accanto a lei Juan Francisco Gatell disegna un Giasone tormentato e capace di modellarsi plasticamente sul dettato  registico il tutto con padronanza assoluta dei suoi luminosi mezzi vocali.

Ottima la Creusa speranzosa e insieme atterrita di Marta Torbidoni la cui morbidezza di timbro e fraseggio rende piena giustizia al personaggio.

Michele Angelini dà voce e corpo alle inquietudini di Egeo ponendosi come autorevole antagonista di Giasone cui lo accomuna una linea di canto simillima.

Molto bene fa anche Roberto Lorenzi, Creonte autorevole sia vocalmente che scenicamente e con lui l’Ismene partecipe della sempre brava Caterina Di Tonno e il Tideo ben tratteggiato di Marcello Nardis.

La direzione di Jonathan Brandani – con lui una qui non esaltante Orchestra Donizetti Opera – è purtroppo ectoplasmica, evanescente nei tempi, corretta negli equilibri ma sostanzialmente snervata nelle dinamiche, in netto contrasto con l’ira di dio che accade in palcoscenico.

Spiace dover dar conto di una prova non all’altezza del coro impiegato nelle sole sezioni maschili.

Successo pieno per tutti, con ovazioni a Remigio, Gatell, Torbidoni e Angelini.

Alessandro Cammarano
(27 novembre 2021)

La locandina

Direttore Jonathan Brandani
Regia Francesco Micheli
Scene Edoardo Sanchi
Costumi Giada Masi
Lighting design Alessandro Andreoli
Drammaturgo Davide Pascarella
Personaggi e interpreti:
Creonte Roberto Lorenzi
Egeo Michele Angelini
Medea Carmela Remigio
Giasone Juan Francisco Gatell
Creusa Marta Torbidoni
Ismene Caterina Di Tonno
Tideo Marcello Nardis
Orchestra Donizetti Opera
Maestro al fortepiano Hana Lee
Coro Donizetti Opera
Maestro del coro Fabio Tartari

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