Bologna: Angelica Festival 34, l’utopia della Musica Libera

Piacevole e condivisibile l’abitudine di Massimo Simonini di chiudere le sue angeliche introduzioni ai concerti augurando buon viaggio al pubblico presente. In fondo Angelica Festival, quest’anno al suo trentaquattresimo anno, che cos’è se non un lungo cammino che pareva impossibile (ancora oggi), fatto di sogni, visioni e suoni, scommesse e rischi. Una scelta comunicativa, quella del suo ideatore e direttore artistico, che ti fa sentire parte attiva di una storia unica pensata nella prospettiva possibile di una musica sganciata da vizi, categorie e generi. Libera.

La prima tappa di questa nuova stagione, che si chiuderà il 30 maggio, mischia parola, poesia, voce, nel ricordo di un musicista che ha avuto, tra gli altri, un rapporto privilegiato con Angelica e che troppo presto ci ha lasciato: Stefano Scodanibbio (1956/2012). Contrabbassista, compositore, organizzatore culturale, viaggiatore. L’occasione è la presentazione, in prima assoluta, di una delle sue ultime composizioni At last, per voce femminile. Partitura che Maresa Scodanibbio consegnò nel 2015 al soprano Livia Rado proprio a Bologna in occasione di un concerto Angelica. …È una voce che non ha voce…così il compositore la definì, come per sottolineare l’incapacità di trasmettere pensieri, le emozioni della vita. I testi utilizzati (di Mariangela Gualtieri, Arthur Rimbaud, Jonathan Swift) in realtà non sono comprensibili durante l’interpretazione del brano ma la loro lettura preventiva ci offre la possibilità di entrare nei meandri emozionali della trasposizione sonora. Apre la voce magica di Mariangela Gualtieri che leggendo Non abbastanza per me (poi diventato il titolo del libro di Scodanibbio uscito per Quodlibet nel 2019) disegna, prepara un ambiente coerente e sognante. Poi tutto è nelle mani di Livia Rado. Lettura dei testi e passaggio alla partitura. Scodanibbio frantuma la parola, inventa una lingua radicale, semanticamente destrutturata, profondamente umana, fatta di vibrazioni gutturali, mormorii, fruscii, esplorazioni timbriche. La Rado con notevole sensibilità e leggerezza attraversa l’opera trasfigurando assenza e presunta incomunicabilità in spazio avvolgente, poetico.

Una preziosa traccia di Scodanibbio troviamo anche in chiusura del secondo set del Quatuor Bozzini, formazione canadese di grande prestigio internazionale che omaggia il compositore maceratese proponendo tre sue reinvenzioni tratte da Quattro Pezzi Spagnoli e dal Canzoniere Messicano. Qualcosa di più che arrangiamenti per quartetto d’archi di famose canzoni tra le quali spicca Bésame mucho (omaggio al Messico, paese al quale Scodanibbio fu legatissimo) che pur nella riconoscibilità armonica, si trasforma, muta attraverso svolazzi e soluzioni timbriche di grande eleganza.

Quatour Bozzini sceglie due repertori lontani come per ricordarci la loro riconosciuta capacità di confrontarsi, affrontare ambienti contemporanei di ricerca i più disparati. Colliding Bubbles (2021) del compositore danese Niels Lyhne Løkkegaard è pura ricerca sul suono. Il quartetto d’archi diviene contemporaneamente quartetto di armoniche. La doppia traccia strumentale, Løkkegaard la chiama moltiplicazione degli strumenti dove trascendere le loro norme sonore, crea una densità, uno spessore dove vengono annullate le specificità per offrirci un suono nuovo dove non riconosci più le corde, né le armoniche. Interessante come esperimento da laboratorio, ma è come se mancasse qualcosa, un’anima, l’emozione della musica. Non è poco.

La compositrice serba Ana Sokolovic, che dagli anni Novanta vive a Montréal, con i cinque movimenti della Commedia dell’arte (2010/2013) mette in gioco elementi ritmici del folklore balcanico, movimento, gesto, danza, ma anche qualche lampo di memorie antiche che il Quatour Bozzini percorre con estrema vitalità, giocosità. Il legno degli archi diventa percussione, le corde grattate creano una scenografia surreale, il violoncello pizzicato punteggia costantemente un immaginario pulsante che richiama alle estetiche saltellanti dei cartoni animati. Un set che nella sua apparente leggerezza non nasconde una complessa e ricca costruzione armonica, un teatro dei suoni che mette alla prova talento e invenzioni del quartetto d’archi.

La storia che immancabilmente un musicista porta con se sul palco spesso ci condiziona. Roscoe Mitchell (Chicago, 1940) protagonista delle vicende, non solo musicali, della cultura afroamericana del secondo Novecento soprattutto attraverso le esperienze delle avanguardie dell’Aacm e l’Art Ensemble of Chicago è un testimone straordinario. Ma la memoria, pur se preziosa, va messa da parte al momento giusto. Mitchell divide il palco del Teatro San Leonardo, nella seconda serata, con il percussionista Michele Rabbia (Torino, 1965), altra generazione, altra storia. Un duo voluto dallo stesso artista americano dopo aver ascoltato il nostro funambolico saltimbanco a Castel San Pietro nel 2008. A Bologna, un nuovo incontro molto atteso. Il voluminoso sax basso svela uno spazio sonoro dove Mitchell disegna, con non poca fatica fisica, un ondulante, sinuoso tappeto, nella cui trama Rabbia si inserisce subito con una spasmodica accumulazione ritmica, dove gesto e raffinata ricerca di un suono altro, sia attraverso l’uso di strumenti riconoscibili (usati spesso con tecniche non convenzionali ma funzionali) che di oggettistica varia. Ma questo presunto dialogo, forse mai iniziato, con il tempo si sfilaccia, si allontana. Soprattutto Mitchell, concentrato sulla sua lineare ricerca timbrica che a ottantaquattro anni risente del rapporto fisico con uno strumento complesso, non pare reagire agli stimoli, alla miriade di spunti, invenzioni che Rabbia, allontanando colorazioni etniche e rassicuranti spunti jazzistici, distribuisce in varie direzioni anche contemporanee con l’uso (molto parsimonioso) dell’elettronica. Non aiuta un gran che lo spazio dove Mitchell affianca il compagno di viaggio usando un piccolo set di percussioni di legni e metalli, neanche il breve intervento con il soprano ricurvo nel quale l’americano ripassa un fraseggio free ampiamente storicizzato e digerito. Più che ascolto reciproco e ricerca dell’equilibrio come recitava il programma di sala ci è parsa un’occasione persa, soprattutto considerando la maiuscola prova di Rabbia che, pur mettendo a disposizione una sfavillante e propositiva ricerca creativa, si è trovato spesso solo.

Paolo Carradori
(2,3 maggio 2024)

La locandina

Soprano Livia Rado
Quatuor Bozzini
Violino, armonica Alissa Cheung
Violino, armonica Clemens Merkel
Viola, armonica  Stéphanie Bozzini
Violoncello, armonica  Isabelle Bozzini
Sax basso, sax sopranino, percussioni  Roscoe Mitchell
Batteria, elettronica  Michele Rabbia
Programma:
Stefano Scodanibbio
At Last (2011), per voce femminile
El Testament d’Amelia (M. Llobet)
Andante (D. Aguado) da Quattro Pezzi Spagnoli (2009) per quartetto d’archi
Besame Mucho (C. Velázquez) da Canzoniere Messicano (2004-2010) per quartetto d’archi
Niels Lyhne Løkkegaard
Colliding Bubbles (2021) per quartetto d’archi e quattro armoniche
Ana Sokolovic
Goùhost 1 (2015) per quartetto d’archi
Il capitano / Isabella / Brighella / Zanni / Innamorati da Commedia dell’arte I-II-III  (2010-2013)

0 0 voti
Vota l'articolo
Iscriviti
Notificami

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti