Cagliari: Nerone e la dittatura senza tempo

1877-1915, questo il periodo di composizione del Nerone, la grande incompiuta di Arrigo Boito che ha nella sua non finitezza uno degli elementi di maggiore fascino ed interesse.

Boito definiva se stesso “uno che studia troppo” tanto da dilatare all’infinito i tempi di stesura dell’opera, completata da Antonio Smareglia sotto l’occhio vigile di Toscanini, che nel 1924 diresse la Prima, a otto anni dalla morte dell’autore avvenuta nel 1918.

Restò sulla carta il quinto atto, del quale non rimane che qualche schizzo, in cui Boito avrebbe voluto mettere in scena il tracollo psichico di Nerone e che meriterebbe di essere approfondito allorquando si deciderà di mettere mano ad un’auspicabilissima edizione critica che quest’opera visionaria e a cavallo fra tradizione ottocentesca e impeti innovativi del Novecento merita.

Per il Nerone Boito compila un dizionario – un po’ come fece non molti anni dopo Tolkien in Gran Bretagna – creando di fatto le parole che a lui servivano e che di fatto non esistevano plasmando una lingua nuova tra arcaicismi colti e neologismi ispirati dal pensiero filosofico plotiniano, il tutto in un ermetismo semantico che spinge alla ricerca di significati reconditi.

Egualmente, nel corso della lunga stesura, scrisse un manuale di armonia a corroborare le scelte ardite presenti nell’opera tali da farne una sorta di fucina di sperimentazione in divenire, tanto che il Nerone resta un unicum nel panorama del teatro in musica il cui fascino è rappresentato anche dalle incongruenze narrative in cui lo sviluppo narrativo incorre.

Lode al Teatro Lirico di Cagliari, che oramai da anni dedica l’aperura di stagione ad opere “desuete” e a riscoperte intriganti, per averla riportata in scena riaccendendo su di essa un interesse che ci si augura porti ad ulteriori approfondimenti.

Fabio Ceresa – e con lui lo scenografo Tiziano Santi, la costumista Claudia Pernigotti e Daniele Naldi responsabile del disegno di luci oltre a Mattia Agatiello per le coreografie – firma un allestimento di grande intelligenza drammaturgica senza incappare nel rischio di una retorica sterile o, peggio, in una derubricazione delle tematiche trattate.

L’azione si svolge in una Roma sospesa tra due imperi, quello antico dell’eroe eponimo e l’altro, più tristemente recente, della dittatura, il tutto a porre l’accento che le tirannidi non hanno epoca e ogni secolo ha avuto le sue; dunque l’accento è posto sull’universalità del male ma anche su quella del bene, rappresentato dall’antagonista Fanuèl nel suo rappresentare il Cristanesimo che parla al popolo e contrapposto a quello di Simon Mago – non a caso qui incoronato dal Triregno – incarnazione della Chiesa organizzata e collaterale al potere politico.

Dunque le aquile e le colonne sono quelle del Ponte Flaminio e della Basilica di San Pietro e Paolo e l’arena è sì il Colosseo, ma quello Quadrato dell’EUR, così come i costumi sono una crasi tra l’abbigliamento del primo secolo e quello degli anni Trenta del Ventesimo.

Nerone vive tra potere e arte – plasticamente rappresentata da un efebo con la lira che lo accompagna costantemente sino a finire sacrificato dall’ stesso imperatore nella scena finale – cercando legittimazione e consenso alle sue azioni, il tutto in un crescendo della paranoia smaniosa che affligge tutti i dittatori.

I richiami alla gestualità del cinema degli esordi è perfettamente calzante, contribuendo a dare impulso ad un’azione sempre efficace.

Francesco Cilluffo – insieme ad un’orchestra partecipe e brillante nel suono – dipana con encomiabile acribia le arditezze armoniche della partitura rendendole all’ascolto attraverso una concertazione meditatissima anche negli slanci dinamici e senza mai perdere di vista il tessuto melodico.

Complessivamente di ottimo livello la compagnia di canto chiamata a destreggiarsi in prove talora al limite dell’impossibile.

Nel ruolo titolo, assai ingrato nella tessitura, Mikheil Sheshaberidze offre una prestazione volta più alla potenza che non all’introspezione ma che comunque all’esame finale risulta più che convincente.

Roberto Frontali si dimostra ancora una volta interprete di classe sopraffina dando voce e corpo ad un Fanuèl appassionato e deciso ma al contempo paternamente coinvolto negli eventi dei suoi confratelli, poggiando la sua interpretazione su un fraseggio di ammirevole aderenza al dettato musicale e alla parola impervia.

Molto bene anche la Rubria deteminata di Deniz Uzun, vocalità tornita e ricca di accenti, ed ugualmente convincente l’Asteria disperata e sempre in bilico tra due mondi contrapposti di Valentina Boi.

Assai ben risolto il Simon Mago irridente e luciferino di Franco Vassallo che pone la sua voce importante a servizio di una caratterizzazione del personaggio assai ben centrata.

Vassily Solodkyy è Gobrias di notevole spessore e Dongho Kim non sfigura come Tigellino.

Completano il cast Antonino Giacobbe (Dositèo/Voce dell’oracolo), Natalia Gavrilan (Pèrside/Cerinto/Prima voce di donna), Fiorenzo Tornincasa (Primo viandante/Il Tempiere/Voce di tenore), Nicola Ebau (Secondo viandante/Lo schiavo ammonitore/Voce di basso), Francesca Zanatta (Seconda voce di donna) e Luana Spìnola (Terza voce di donna).

Bene il Coro, forse un po’ sottonumerario, preparato da Giovanni Andreoli.

Applausi, che avrebbero potuto essere più calorosi, per tutti

Alessaandro Cammarano
(9 febbraio 2024)

La locandina

Direttore Francesco Cilluffo
Regia Fabio Ceresa
Scene Tiziano Santi
Costumi Claudia Pernigotti
Luci Daniele Naldi
Coreografia Mattia Agatiello
Personaggi e interpreti:
Nerone Mikheil Sheshaberidze
Simon Mago Franco Vassallo
Fanuèl Roberto Frontali
Asteria Valentina Boi
Rubria Deniz Uzun
Tigellino Dongho Kim
Gobrias Vassily Solodkyy
Dositèo/Voce dell’oracolo Antonino Giacobbe
Pèrside/Cerinto/Prima voce di donna Natalia Gavrilan
Primo viandante/Il Tempiere/Voce di tenore Fiorenzo Tornincasa
Secondo viandante/Lo schiavo ammonitore/Voce di basso Nicola Ebau
Seconda voce di donna Francesca Zanatta
Terza voce di donna Luana Spìnola
Orchestra e Coro del Teatro Lirico di Cagliari
Maestro del coro Giovanni Andreoli

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