Firenze: la poetica del corpo che disegna la musica

Adagio: …movimento abbastanza lento, più veloce del lento e meno rapido dell’andante… Questa stringata sintesi tecnica (da Enciclopedia Garzanti) che definisce un termine musicale già in uso fin dal Seicento, che normalmente incontriamo nei nostri ascolti e nei programmi di sala dei concerti, viene come rimesso in gioco da un danzatore. Saburo Teshigawara, coreografo, ballerino, recente vincitore del Leone d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia, usa questa indicazione agogica per il proprio ultimo progetto con accanto l’inseparabile Rihoco Sato. L’artista giapponese presenta per la prima volta a Firenze Adagio negli affascinanti spazi CANGO, nella programmazione “La democrazia del corpo” del Centro di Produzione della Danza Virgilio Sieni.

Affiancare otto adagio di composizioni note del repertorio classico, che vanno dal ‘700 ai primi del ‘900, è un’operazione rischiosa, collage che potrebbe disperdere, confondere i materiali pregiati messi insieme (Bach, Mozart, Beethoven…). Ma Teshigawara è ben attrezzato, forte di una straordinaria esperienza, potenza poetica e immaginifica, trasfigura i movimenti della musica attraverso gesto e magia del corpo nello spazio, tra luci e buio, ma va oltre, coinvolge storie e sentimenti, vita e morte. Lo affianca, come sempre, una prodigiosa Rihoco Sato che completa la trasfigurazione del Maestro in opera d’arte compiuta. L’adagio, anche se isolato, orfano degli altri movimenti che compongono l’opera, è uno spazio mentale, emotivo, perfetto. Saburo evidenzia angoli, dolori e spigoli esistenziali, Rihoco modella sogni, panorami armoniosi. Praticamente sono un corpo solo che si sdoppia, corpo come pensiero fisico che attraverso la musica ci racconta la vita, le nostre vite, lette da due angolazioni.

Buio e luce, bianco e nero, sono elementi fondamentali della drammaturgia di Adagio. Dal buio appare avvolta di bianco come un fantasma svelato lentamente, la Sato. Le note sono quelle dell’Adagio della Sinfonia n.10 di Mahler, quella incompiuta. Struggente quanto impalpabili sono i movimenti della danzatrice, che punta ad unestremo prosciugamento del gesto, appena accennato, sospeso, sognante, astratto. Teshigawara, anche lui in bianco, appare mentre la Sato è svanita. Questa volta è di Beethoven (Adagio molto espressivo dal Quartetto per archi n.13) lo spazio sonoro. Il danzatore giapponese lo attraversa come se le note, il vibrare intenso delle corde lo guidassero, come se i fili di un immaginario burattinaio distribuisse   vibrazioni che attraversando la carne scaricano energia vitale fino alle mani che divengono terminali espressivamente  drammatici e imploranti. Più complessa la prova della Sato sulle note della Suite n. 3 di Bach. La danzatrice cerca la bellezza, la vede, la rincorre, la sfiora ma l’intensità, ancora attuale, della genialità bachiana pare impermeabile. Le viene in aiuto il compagno sull’Adagio del Concerto per pianoforte n. 23 di Mozart. Ma i due si ignorano, non si guardano, lei si allontana e Teshigawara solo ci incanta in uno dei momenti più forti della serata. La cantabilità mozartiana, un misto tra fragilità e impertinenza, le tenerezze della forma melodica, tra levità e dolore, offrono al danzatore uno scenario unico dove trasmettere, tra squilibri magici ed intensità espressive  profonde,  una compenetrazione emotiva e fisica totale con i suoni. E quelle braccia allargate, avvolgenti per abbracciarci tutti non le scorderemo facilmente.

Non facciamo in tempo a riprenderci che la Sato incontra di nuovo Mahler (Adagietto dalla Quinta). Il gioco di luci si fa più intenso, bianco e buio più estranianti, la musica appassionata, piena di pathos, anche solenne ma delicata. La danzatrice estremizza questa volta il coinvolgimento ritmico corporeo, rotea, salta, si accartoccia, si apre, vola. È il preludio al finale di Teshigawara costruito dall’unione dell’Adagio sostenuto del Concerto per pianoforte n.2 di Rachmaninov con l’Adagio assai del Concerto per pianoforte n. 83 di Ravel.  Ma il maestro giapponese ci distoglie dai bagliori dell’eroismo romantico del compositore russo come dai cromatismi, i colori e le personalizzazioni timbriche del francese per trasportarci nel proprio mondo fatto di gesti quotidiani, drammatici, appena accennati o amplificati, accelerati o magistralmente sospesi.  Ancora le sue mani protagoniste vanno al viso, come per non guardare o forse più prosaicamente per asciugare il sudore succo della fatica di danzare, di vivere. Chiude in modo strepitoso e unico la Sato sull’Adagio dalla Sinfonia n.8 di Bruckner.

Il suo messaggio, sulla forza del sinfonismo romantico, è uno spiraglio di luce, l’eleganza sinuosa del corpo, i movimenti morbidi ci fanno intravedere qualcosa, forse un futuro possibile. E mentre gli applausi pare non finiscano mai  e i due sorridenti e stanchi tornano ripetutamente in scena, noi che abbiamo goduto di una serata unica ci sentiamo felicemente confusi.

Paolo Carradori
(12 aprile 2023)

La locandina

Coreografia, disegno luci e costumi Saburo Teshigawara, Rihoko Sato.
Musiche di 
Gustav Mahler, Ludwig van Beethoven, Johann Sebastian Bach, Wolfgang Amadeus Mozart, Sergej Rachmaninov, Maurice Ravel, Anton Bruckner

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