Forlì Open Music: due giorni di sonorità contemporanee

Non c’è niente da fare, ogni volta che si torna all’Area Sismica, nella campagna forlivese, si scatena sempre un vitale mix di emozioni e riflessioni. Non fanno eccezione le due giornate dell’edizione 2022 di Forlì Open Music “Note al presente” che nella sua sede storica si è svolta. Un mix coinvolgente di suoni, un turbinio di proposte variegate e coraggiose, con una forte impronta internazionale, condito nell’informalità di uno dei luoghi unici nel raccontarci la contemporaneità.

Proviamo a partire dai pianoforti. Nella prima serata quello di Kaja Draksler, nella seconda quello di Emanuele Torquati. La pianista slovena viene da una laurea in pianoforte jazz e master in composizione classica, due strade che convivono evidenti. Conosciuta con il suo Octet, per le collaborazioni con il Trio Punkt.Vrt.Plastik e il quartetto Heart, probabilmente nel piano solo svela meglio la propria poetica, la sua strada di ricerca. Influenzata dalla scuola degli irriverenti improvvisatori olandesi la Draksler affianca alla libertà creativa la cultura classica. L’accostamento è interessante. Usando anche una piccola tastiera digitale, la pianista costruisce, in una specie di forma domanda e risposta, giocose geometrie con suoni metallici e stoppati, incastri, svolazzi su ostinati della mano sinistra, un labirinto di suoni sghembi dal quale sembra non le interessi uscire. Ciclicamente si aprono spiragli di luce melodica, accordi caldi e mobili, ma sempre sporcati da un inquieto pulviscolo di sottofondo. Bella personalità quella della Draksler, forse ci sarebbe da superare una certa freddezza formale, mettere sulla tastiera più fisicità e calore in linea con i suoi maestri olandesi.

Emanuele Torquati omaggia nel suo spazio Giancarlo Cardini, pianista, compositore, poeta e performer recentemente scomparso, che è stato suo docente al Conservatorio di Firenze. Un omaggio sentito e commovente di grande pianismo che affronta compositori vicini al musicista toscano e una sua composizione del 2005. Non si poteva che partire da Satie, di cui Cardini ha inciso l’integrale (purtroppo mai pubblicato). Di Trois Danses de travers e Sonatine bureaucratique Torquati ci da una lettura poetica impalpabile, profonda, leggera e sognante in un impeccabile controllo del suono lasciato vibrare. Si avventura poi nelle trame cageane, fascinose quanto infide, di In a Landscape dimostrando un po’ meno empatia rispetto al francese ma sempre un pregevole controllo del materiale. In Secondo Improvviso a lui dedicato da Cardini, Torquati rende al maestro il merito di una scrittura mossa, mai descrittiva, brillante e introspettiva fatta di angoli smussati, fantasmi vaganti, colori, fughe e riflessioni. Musica profondamente cardiniana nella sua complessa semplicità con un finale magicamente incompiuto. Ultimo brano Finale dedicato ad un altro compositore amato ed eseguito da Cardini, Paolo Castaldi. Un pezzo bellissimo, costruito come un puzzle da accordi nervosi che fotografa, senza un momento di respiro, un panorama vibrante, stratificato e denso.

Rimaniamo sugli omaggi. Dedicata al compositore britannico James Erber, presente in sala, la parte centrale della seconda serata all’Area Sismica. Nonostante la bravura e la dedizione di Antonella Bini ai flauti e Giampaolo Antongirolami al soprano su partiture complesse, le composizioni sono in realtà apparse sbiadite, chiuse in se stesse, concentrate sulla tecnica strumentale senza trasmettere emozioni. In realtà nemmeno tante emozioni dal set di A-Trio dal Libano (Mazen Kerbaj tromba, Sharif Sehnaoui chitarra acustica, Raed Yassin contrabbasso). I tre costruiscono una misteriosa e ancestrale tensione emotiva sviluppata con un uso non convenzionale dei propri strumenti e oggettistica varia. Tensione sonora che accumula energie però rimane, salvo qualche breve increspatura, sospesa, non finalizzata. Trasfigurando il loro set come costruzione di un’opera d’arte potremo dire che A-Trio crea belle cornici, vuote.

La rassegna di quest’anno si è aperta con la voce di Ljuba Bergamelli. Un bell’omaggio alla vocalità dove la cantante propone repertori che potremo definire classici della nuova musica da Cage (Solo for Voice I) ad Aperghis (Pub2), da Berio (Sequenza III) a Cathy Berberian (Stripsody). La Bergamelli mette in mostra una voce limpida, agile, affiancata ad una apprezzabile comunicabilità, presenza scenica, gestualità. Certo è che con un repertorio così i rischi sono alti e alla fine non si può non evidenziare che la sua lettura, che risente di sedimenti accademici, omologa troppo materiali che in realtà hanno rivoluzionato la storia della vocalità contemporanea.

Molta attesa per la performance in solo del sassofonista Chris Pitsiokos proveniente dall’avant jazz newyorkese. Il suo alto è sicuramente radicale, travolgente, estremo. Lo strumento viene smontato, suonato dalla campana, l’ancia immersa nell’acqua, insomma una capacità tecnico-creativa straordinaria. Ma se non ci facciamo troppo trascinare dall’onda sonora e riflettiamo sul linguaggio qualche dubbio sorge. Sperimentatore? Basta poca memoria musicale per riconoscere tracce, storie vissute. Potremmo tirare una linea ideale Braxton-Hemphill-Berne-Zorn, anche uno spruzzo di Konitz (forse inconsapevole). Pitsiokos ci piace, ci coinvolge con il suo provocatorio e spumeggiante free urbano, ma probabilmente dovrà fare ancora un po’ di strada per liberarsi dai fantasmi e dirci chi è.

Sergio Sorrentino con la sua chitarra elettrica compie una immersione nei repertori dedicati al proprio strumento. Ci regala in apertura The Possibility of a New York for Electric Guitar di Morton Feldman. Un vero capolavoro dove la poetica essenziale del compositore americano, l’immobilità fascinosa dei suoni delinea un panorama inarrivabile, che Sorrentino rende con misura e profondità. Delle sue proposte successive ci piace sottolineare il brillantissimo I Kick my Hand di Nick Didkovsky dove anche la gestualità entra nel vitale gioco comunicativo. Sorrentino chiude con una personale rivisitazione di Electric Counterpoint di Steve Reich. Scelta coraggiosa e rischiosa quella di mettere mani e testa su certi materiali, ma in definitiva il risultato è piacevole.

Non sappiamo se la scelta di chiudere Forlì Open Music 2022 con il quartetto Kaze sia stata casuale, meditata o dettata da motivazioni logistiche, comunque è stata perfetta. Una sferzata di sana energia che ci porteremo dietro per un po’, un set solare che in qualche modo ci ha permesso anche di riflettere su tutto il festival con i suoi momenti forti e qualche delusione. Il gruppo franco-nipponico (Satoko Fujii pianoforte, Natsuki Tamura tromba, Christian Pruvost tromba, Peter Orins batteria) espone un free apertissimo, radicale, saturo. Le trombe generano suoni strozzati, soffiati, si incrociano, si avvicinano, si allontanano, si ritrovano in scoppiettanti e ruggenti unisoni. Orins usa oggettistica varia su pelli e piatti, creando un sottofondo frizzante di colori e magie ritmiche. Ma è il pianoforte della Fujii che mantiene alto, attraverso il fuoco dei cluster, accordi tayloriani e melodie distorte il contesto creativo, le visioni di una super formazione.

Paolo Carradori
(5-6 novembre 2022)

La locandina

Soprano Ljuba Bergamelli
Pianoforte Kaja Draksler
Sax Chris Pitsiokos
A -TRIO Mazen Kerbaj tromba, Sharif Sehnaoui chitarra acustica, Raed Yassin contrabbasso, Sergio Sorrentino chitarra elettrica
James Erber Hommage Antonella Bini flauti-Gianpaolo Antongirolami sax
Pianoforte Emanuele Torquati (dedicato a Giancarlo Cardini)
KAZE Satoko Fujii pianoforte, Natsuki Tamura tromba, Christian Pruvost tromba, Peter Orins batteria

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