Giorgio Battistelli: «Cesare è il simbolo di quel che accade oggi»

Il 20 novembre il Teatro dell’Opera di Roma apre la stagione col Giulio Cesare di un musicista vivente, Giorgio Battistelli, messa in scena da Robert Carsen con la direzione di Daniele Gatti.  Carlo Fuortes, il soprintendente diventato amministratore delegato della Rai, non poteva trovare uscita di scena migliore. E’ stato lui infatti a commissionare l’opera scegliendo per soggetto il dittatore assassinato da Bruto e Cassio per salvaguardare la libertà   romana, come ricorda in questa intervista il compositore:

«È raro che i soprintendenti scelgano un soggetto. Fuortes ebbe l’idea quattro anni fa, dopo aver visto il mio Riccardo III alla Fenice. Accettai subito pensando al secondo titolo di una trilogia ispirata a Shakespeare, e cominciai a riflettere sulle situazioni orchestrale, sul tipo di colore drammaturgico. Per un anno, convinto di metterlo in scena all’aperto, lavorai con Graham Vick, con cui avevo lavorato a Birmingham per Wake. Poi è arrivato il Covid…»

  • Graham Vick ne è morto ed è subentrato Carsen?

No Carsen si era già proposto prima attraverso Ian Burton, il drammaturgo che l’accompagna da trent’anni, famoso per rispettare i testi originali inserendo alcune novità, e con cui avevo   fatto il Riccardo III a Anversa nel 2005 e il Co2 alla Scala nel 2015.

  • Cosa resta di Shakespeare nel suo Giulio Cesare?

Le tensioni, i segni premonitori, gli strani incontri prima della congiura, naturalmente l’omicidio e il discorso di Antonio, coi tormenti di Bruto che iniziano anche prima. Il taglio che ho dato alla scrittura orchestrale è quello del dubbio. Non ho pensato a un’opera di azione, come il Riccardo III. Qui, a parte la battaglia di Filippi, sintesi del cambiamento di potere in corso, al di fuori dell’assassinio non ci sono azioni. Ho voluto rappresentare il dubbio, i tormenti dei congiurati che dopo aver commesso un delitto atroce sono spaesati.

  • Non dev’essere facile trasferire il dubbio in un’opera lirica.

In genere, funziona meglio quando hai un’alternanza tra momenti recitativi, dialogici, ariosi, e momenti dialettici e dinamici. Io invece ho tirato fuori una musica che tormenta gli animi, una music scura, molto cangiante, che si trasforma in continuazione, tranne che alla fine, quando si avvicina l’uccisione di Bruto dopo la battaglia di Filippi.

  • Come ha risolto la scena della battaglia?

Distanziandola, come se si vedesse da lontano. Dura poco e poi si placa. Un unico suono che avvolge tutta l’opera e i cantanti e ha la tonalità del bemolle, una nota grave che va avanti come se fosse un bordone, un canto ripreso sia dal coro fuori scena, sia dal fantasma di Cesare che dopo il suo assassinio commenta, adesso la mia opera è compiuta. E l’idea di Burton, la parte apocrifa rispetto alla tragedia di Shakespeare.

  • Il Cesare di Shakespeare è un dittatore riluttante, che esita a presentarsi in Senato, quando Calpurnia lo scongiura di non farlo.

Sì e quando i malefici congiurati gli fanno capire che se non si presenta diranno tutti che la moglie comanda più di lui, accetta di per orgoglio di sfidare la sorte.

  • E il suo che dittatore è ?

Per me Cesare è il simbolo di quel che accade oggi.   E’ un tiranno democratico ben diverso dal dittatore del XX secolo, con una sua idea di impero globale, dove la conquista prelude all’assimilazione, e una forma   di generosità che oggi non esiste, tanto che distribuisce la sua fortuna al popolo romano. Uomo d’immenso carisma su soldati e politici, a 16 anni teneva testa a politici di 40, e mi ha sorpreso scoprire che oggi Giulio Cesare oggi è il nome più diffuso nel mondo.

  • Qual è il personaggio che l’ha intrigata di più?

Il fantasma di Cesare che ritorna e con un senso di colpa porta tutti al suicidio. I suoi assassini chiedendo perdono, e lui li uccide dicendo, ho fatto giustizia. Ma il personaggio più interessante è Bruto, che vive il tormento di uomo e di politico, e quando dice “Tra Roma e Cesare ho scelto Roma”, non si capisce se lo fa per placare gli animi o perché vittima di rapporto di amore e odio. Sembra che la coltellata a Cesare gliel’abbia data vicino ai genitali, ed io ho voluto immaginare una trasgressione, come Cassio innamorato di Otello…

  • Ritornare al mondo antico è una sfida alla cancel culture?

La musica non può essere solo un elemento consolatorio o di intrattenimento.  Nelle mie ultime opere, da Lot tratto dalla Bibbia per l’Opera di   di Hannover, a Co2, ho sempre sperato di recuperare una tensione etica da affidare alla musica, che trasmetta pensiero, e dica la complessità del mondo in cui viviamo. Sul piano tecnico, la mia non è un’opera tonale sul modello ottocentesco, si fonda sulla convivenza delle dissonanze. Il problema è associare alla dissonanza la complessità di un linguaggio astratto allo stato gassoso. Cos’è la dissonanza?  Una presenza estranea che non riconosciamo, una persona che viene da altrove. In questo senso Giulio Cesare era molto più avanti di noi, aveva risolto il problema con l’assimilazione. Oggi la dissonanza richiede più tempo di assimilazione, è anche vero che su questo ci sono stati i processi della post modernità, l’eclettismo, il citazionismo….  Io per anni ho lavorato tantissimo sull’elemento della dissonanza, ma credo di aver definito il mio linguaggio musicale in una dimensione eterogenea. La mia è una scrittura che si muove e tiene presente elementi estetici anche distanti, nutrendosi di fonti molto diverse. E’ il mio modo di entrare in contatto con l’oggi, un oggi molto tridimensionale, dove riescono a convivere elementi differenziati e in tensione tra loro. Pensare la forma musicale come una forma organica che cresce nutrendosi di elementi eterogenei, come una radice che si sposta in direzioni opposte ma contribuisce a far crescere la pianta, è dal punto di vista simbolico, concettuale e tecnico il procedimento più vicino al nostro presente. In questo senso sono molto vicino alle posizioni estetiche di Nicholas Bourriaud, il teorico dell’arte relazionale e radicante. Trent’anni fa elementi differenziati che convivono, come un accordo tonale, o l’elemento di una melodia affiancato da un elemento astratto, erano forme di impurità inaccettabili in nome della coerenza stilistica. Oggi per me sono la base delle dinamiche legate al suono, che porto avanti senza rinunciare alla dimensione della narrazione.

Marina Valensise

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