La naturalezza è la chiave dell’Orfeo monteverdiano che Pier Luigi Pizzi ha riallestito a Ravenna, nello spazio chiuso del Teatro Alighieri, dopo la versione all’aperto dell’anno scorso nella piazza del Duomo di Spoleto. La produzione si può definire a buon diritto nuova, per il ripensamento profondo di spazi e movimenti rispetto all’edizione del 2020, ed è stata realizzata con il Teatro Comunale di Ferrara dove approderà nel gennaio del prossimo anno.

Il fondale è una facciata antica che dà sul nulla, con una porta centrale a volte serrata da battenti istoriati. Da qui entrano in scena le trombe che aprono la rappresentazione attaccando la toccata iniziale. L’orchestra è sul palcoscenico, cantanti e coro le girano attorno e dietro, passando perfino tra gli strumentisti. Una passerella circonda il golfo mistico che diventa sede dell’Ade e letto dell’Acheronte.

Il bianco e il nero sono i colori dominanti, quasi esclusivi, nei costumi e sulla scena. Fa eccezione la Musica, una divetta circondata da fan, ragazze e ragazzi in candidi abiti da tennis; è l’unica con indumenti colorati, una tunica dorata con guanti e calze di uno sfrontato viola.

Pizzi, a cui si devono regia, scene e costumi, ha saputo imprimere alla recitazione degli interpreti vocali, artisti del coro compresi, un carattere di spontaneità che ben si accorda alla sua idea di Orfeo: secondo lui, come ci disse qualche tempo fa, si tratta di «una storia di ragazzi, e per questo è stato scelto un cast giovane che rende bene il clima di febbre d’amore, di speranze iniziali che a mano a mano svaniscono perché il destino ha voluto così».

In totale accordo con questa impostazione è il direttore Ottavio Dantone, che con l’Accademia Bizantina e con il protagonista Giovanni Sala era impegnato anche nelle recite spoletine. Alla coinvolgente condotta strumentale, con stacchi di tempo e interventi che sottolineano il procedere della vicenda in modo sempre puntuale e stimolante, corrisponde sul piano della vocalità la genuinità dell’emissione, con un ricorso molto parco alle diminuzioni e un’attenzione sempre viva a rendere con la musica il senso, i ritmi e le inflessioni della parola. Proprio come il recitar cantando richiede.

Il semidio Orfeo, Giovanni Sala, è aitante nel fisico, dotato nella voce e convincente sia come cantante sia come attore. Tra gli altri interpreti, che in generale hanno dato prove soddisfacenti, citiamo la deliziosa Euridice di Eleonora Pace, il Pastore I di Massimo Altieri, la Speranza di Margherita Maria Sala e il Caronte di Mirco Palazzi, oltre a Daniela Pini e Federico Sacchi nel quadretto di sereno erotismo coniugale che Pizzi ha riservato a Proserpina e Plutone.

Gli artisti del Coro Cremona Antiqua con il loro maestro Antonio Greco, bravissimi, cantano, recitano e danzano secondo le movenze ideate dal coreografo Gino Potente. Ben studiate le luci da Massimo Gasparon, light designer e regista collaboratore.

Sul palcoscenico l’opera non termina nel modo consacrato dalla tradizione e riportato nella partitura di Orfeo del 1609, con Apollo che arriva come deus ex machina per recare l’eroe infelice in cielo; evita anche il finale escogitato da Alessandro Striggio per il libretto del 1607, che si rifà al più antico mito di Orfeo e lo vede minacciato dalle Menadi dopo le sue invettive contro le donne le quali, «superbe e perfide (…) prive di senno e d’ogni pensier nobile», non sono minimamente in grado di confrontarsi con la sua ninfa ormai definitivamente perduta.

Pizzi, e con lui Dantone, ha scelto di troncare la vicenda proprio dopo la rinuncia all’amore del protagonista e la tragica breve sinfonia che la segue. Un finale più moderno, afferma il regista, e per nulla antifilologico, sostiene il direttore, visto che all’epoca di Monteverdi era uso comune adattare o operare tagli ad hoc.

È un’immagine convincente quella dell’eroe tormentato che dopo il suo viaggio iniziatico tra amore e morte si avvia verso un futuro incerto, e procedendo dal buio arriva ad aprire la grande porta spalancando le braccia, sgomento, verso la luce che appare; anche se le preferenze personali, come nel nostro caso, possono propendere per il finale lieto con tanto di vivace moresca conclusiva, qui ovviamente abolita.

L’altra conclusione della serata, con i saluti degli artisti, è straordinaria: vivissimo il successo, tra gli applausi scroscianti del pubblico rivolti a tutti e in particolare a Pier Luigi Pizzi, che con tutti i suoi invidiabili novantun anni appare fresco e prestante quanto i giovani che lo circondano.

Patrizia Luppi
(6 novembre 2021)

La locandina

Direttore Ottavio Dantone
Regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi
Coreografie Gino Potente
Light designer Massimo Gasparon
Personaggi e interpreti:
Orfeo Giovanni Sala
La Musica Vittoria Magnarello
Messaggera Alice Grasso
Pastore I Massimo Altieri
Pastore II Luca Cervoni
Pastore III Enrico Torre
Proserpina Daniela Pini
Speranza Margherita Maria Sala
Caronte Mirco Palazzi
Plutone Federico Sacchi
Euridice Eleonora Pace
La Ninfa Chiara Nicastro
Accademia Bizantina
Coro Cremona Antiqua
Maestro del coro Antonio Greco

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