Lipsia: il Mahler ungherese di Fischer e la BFO

Il 23 maggio la Budapest Festival Orchestra e Iván Fischer hanno animato una nuova data del Festival Mahler organizzato dal Gewandhaus Leipzig, seguendo Andris Nelsons, Tugan Sokhiev, Myung-Whun Chung, Robert Trevino, Daniel Harding e la Gewandhausorchester, i Münchner Philharmoniker, la Royal Concertgebouw Orchestra, la City of Birmingham Symphony Orchestra, la Symphonieorchester des Bayerischen Rundfunks e precedendo Daniele Gatti, Christian Thielemann, Semyon Bychkov e la Gustav Mahler Jugendorchester, la Staatskapelle Dresden, la Filarmonica Ceca.

Inserita in questo programma, la Nona Sinfonia di Mahler eseguita dalla BFO e Fischer non ha certo sfigurato. Sotto le mani del suo direttore, la Budapest Festival Orchestra ha dimostrato con chiarezza di essere oggi, a quarant’anni dalla sua formazione, una delle migliori orchestre del mondo. Già il puro livello strumentale dei suoi componenti è vertiginoso, ma questo diventa ancora più impressionante quando si somma alla capacità di suonare insieme della compagine, che nonostante le dimensioni (richieste dalla Nona di Mahler) suona come un grande ensemble da camera.

Sulla sua orchestra, Iván Fischer si staglia senza gettare ombre. Il direttore ungherese infonde con evidenza una direzione al percorso che l’orchestra intraprende, ma non ne controlla ogni passo. Ai musicisti della BFO viene lasciata la libertà di esprimersi e lo spazio per sperimentare, in un quadro coerente garantito dalla lettura di Fischer. Il risultato è una fluidità sorprendente: al termine della Nona, circa un’ora e mezza di sinfonia, si è riemersi dall’ascolto che sembravano passati solo pochi minuti. Certo, questa scorrevolezza può facilmente diventare un’arma a doppio taglio. Se secondo e terzo tempo, infatti, beneficiano dalla vivacità cruda e vigorosa di Fischer e della BFO, primo e quarto faticano a staccarsi da questo scorrere senza ostacoli. Fischer legge l’estrema partitura mahleriana rivoltandone tutto il contenuto: niente rimane non detto, tutto trova una sua collocazione con naturalezza, ogni elemento viene disposto alla luce del sole, con il rischio di annullare spesso ogni tensione.

Fischer non si abbandona in languori e aneliti, tiene a bada i rubati ed è sempre pronto a scattare in avanti appena la musica lo permette, con una prontezza quasi più da Mandarino meraviglioso che da Nona di Mahler. Questo è anche dovuto alle caratteristiche proprie della Budapest Festival Orchestra: la destrezza dei suoi musicisti è sostenuta da un suono leggero e ruvido, dall’attacco ben marcato e le arcate generose nelle file degli archi, mentre gli ottoni si distinguono per un suono spesso molto chiaro e dalle caratteristiche timbriche particolarissime. Nel contempo, però, manca spesso il suono nella corda per gli archi e il colore brunito e la sonorità massiccia di legni e ottoni, esponendo l’orchestra al rischio di una certa monocromia che l’agilità timbrica dei singoli musicisti riesce solo in parte a compensare. Questa mancanza di affondo, nella Nona di Mahler diretta da Fischer alla Gewandhaus, era rinforzata dalla fondamentale assenza delle sonorità più gravi e profonde. Disporre i contrabbassi in fila sul fondo palco ha certamente facilitato la spinta in avanti dell’orchestra, grazie soprattutto sui pizzicati e gli elementi ritmici più marcati, ma ha ostacolato la creazione di una falange unitaria degli archi gravi che avrebbe dato più pesantezza al suono quando necessario.

La sensazione dunque è che questa Nona Sinfonia abbia funzionato benissimo e sia scorsa fluida e irruente come un torrente, senza però ottenere la ponderosità, il dubbio, il tormento, che Fischer sembra invece voler evitare, forse per pulire la Sinfonia da una certa incrostazione interpretativa che la vuole testamento del suo compositore, una porta verso un mondo altro, un ponte verso un futuro rappresentato dai frammenti di una Decima troncata dalla morte. Per Fischer, invece, la Nona Sinfonia di Mahler non è solo evidentemente imparentata con Prima, Quinta e Sesta, ma mostra anche la sua discendenza da un sinfonismo romantico nel segno di Berlioz e Liszt. Questo non impedisce alla Sinfonia di raggiungere nel quarto momento degli splendidi momenti e dei vertici di purezza e candore, sia chiaro, ma sempre rimanendo coi piedi per terra, se non direttamente immersi nel fango delle campagne centro-europee in Scherzo e Rondò. Una lettura fresca e interessante, ricca di dettagli mai ascoltati, cui però – sarà forse l’orecchio viziato dalla tradizione? – mancava la tridimensionalità trascendentale e la dimensione più introversa. Questa carenza non è stata comunque per nulla sofferta dal pubblico, che ha tributato a Iván Fischer e alla Budapest Festival Orchestra intense ovazioni e una lunga ed entusiasta standing ovation.

Alessandro Tommasi
(23 maggio 2023)

La locandina

Direttore Iván Fischer
Budapest Festival Orchestra
Programma:
Gustav Mahler
Sinfonia n. 9

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