Lo specchietto per le allodole di Sanremo

In un’Italia che ha sempre visto il festival di Sanremo come una certezza (quasi al pari del campionato di calcio), la macchina che sta prendendo forma per garantire la tradizionale kermesse in epoca di pandemia sta facendo saltare sulla sedia il pubblico della cultura. Dovunque, infatti, si leggono commenti alla “perchè Sanremo si può fare e i concerti no?”.  Peccato però che questa polemica arrivi con quattro mesi di ritardo, perchè sin dal momento della chiusura dei teatri, in autunno, spettacoli come “Uomini e donne”, “X-Factor”, “Amici”, “Maurizio Costanzo Show”, “Ballando con le stelle” (e via discorrendo) sono andati in onda con ampio pubblico (di figuranti) in sala, in modo perfettamente conforme alla normativa vigente.

Ma quello che stupisce di più è l’atteggiamento del ministero della cultura che, invece di fare qualcosa di concreto imparando dalle best practices dei settori affini, si mette semplicemente a lanciare inutili strali polemici continuando a non realizzare che la situazione di disperazione in cui versa il comparto dell’industria culturale non è frutto del fato crudele, ma di una logica progettuale che ha scelto la via della chiusura senza preoccuparsi assolutamente (se non a parole) delle conseguenze di questa decisione sul mercato del lavoro.

Per i più distratti, varrà la pena di ritornare indietro nel tempo di qualche mese e, in particolare, al 25 di ottobre. Infatti, all’indomani della pubblicazione in gazzetta di stato del decreto del MiBACT che sanciva de iure uno stop all’attività con pubblico di ogni istituzione culturale italiana, si erano diffuse le foto delle registrazioni del Maurizio Costanzo Show che ostentava una platea dove ogni poltrona era occupata. In quel caso Costanzo, interpellato da AdKronos, rispose “Volete sapere come funziona? È facile: il pubblico della mia trasmissione prima di entrare fa il test sierologico, e così tutti gli ospiti. Fra una persona e l’altra c’è un plexiglass, e anche fra un ospite e l’altro c’è un plexiglass. Perché non fanno così anche nei teatri? Possono farlo tutti. Facciano così, invece di rompere e fare polemiche […] Specifico che il pubblico viene in teatro un’ora e mezzo prima, perché possa essere fatto il test su ciascuno. Quindi io pago gli infermieri, il personale, il plexiglass. Il proprietario del cinema all’angolo faccia così, così non c’è pericolo legato all’assembramento”. La risposta di Costanzo, però, pur avendo sicuramente senso de facto, denotava una certa ignoranza de iure, poichè il decreto promulgato lo scorso 25 ottobre (e già in corso di validità quando fu rilasciata questa dichiarazione) sanciva la totale sospensione delle manifestazioni concertistiche/teatrali da svolgersi in pubblico (senza possibilità di scappatoie, tamponi, plexiglass o altro). Allora, perchè Costanzo poteva adottare questa procedura? Semplicissimo: una trasmissione televisiva non risponde alle normative erogate dal MiBACT, perchè si tratta di due cose differenti. Infatti, in televisione, la platea è parte della scenografia e non è, quindi, pubblico in sala. Potrà sembrare assurdo, ma è perfettamente lecito.

La differenza è la stessa che vediamo applicata ogni domenica nelle celebrazioni liturgiche e che non mancò di suscitare ulteriori polemiche: perchè a Messa si e ai concerti no? Semplicemente, perchè la chiesa non è normata dal MiBACT. Allo stesso modo, la cosa vale anche per i canali televisivi.

In alter parole, non fa fede il cosa o il dove, ma il chi e il come: se in una chiesa c’è una liturgia, nelle panche può esserci solo gente distanziata e con mascherina. Se sostituiamo il sacerdote con un quartetto d’archi, nelle panche non può esserci nessuno. Se però la stessa chiesa è utilizzata come teatro di posa, può esserci tutta la gente che si vuole, ovviamente previo tampone e misure preventive.

Aggiungiamo altri elementi: la differenza grossa tra uno spettacolo dal vivo e una produzione televisiva è che non contano gli spettatori in loco ma quelli a casa. Non si tratta quindi di un surrogato della fruizione dal vivo (come sarebbe – ad esempio – la trasmissione di una replica di una certa opera o di un certo spettacolo teatrale). Al contrario, uno spettacolo fatto per un pubblico fisico (teatro, opera, concerto)  è fatto PER il pubblico, tant’è vero che se in sala non si presenta nessuno, o se si vendono pochi biglietti, lo spettacolo salta. La stessa cosa non vale per la televisione, in cui la misura dello share viene fatta a posteriori e decreta, eventualmente, la possibilità di realizzare in futuro ulteriori progetti simili. E gli sponsor investono su Sanremo proprio perchè da sempre fa tanto, tanto, tanto share: gli stessi investimenti, se ci fosse sala piena ma pochi spettatori televisivi, non ci sarebbero.

Per carità, il pubblico a Sanremo non è necessario e volerlo avere a tutti i costi suona sicuramente come uno sfregio allo spettacolo dal vivo. Tuttavia la questione Sanremo è un discorso di lana caprina: il problema sono teatri chiusi senza appello, non la TV che cerca di sopravvivere. Nel frattempo, i lavoratori dello spettacolo si accaniscono verso un falso bersaglio, mentre il MiBACT non sembra voler arretrare di un centimetro.

E’ infatti di oggi la dichiarazione di Franceschini secondo cui “L’Ariston è un teatro come tutti gli altri e il pubblico, pagante, gratuito o di figuranti, potrà tornare solo quando le norme lo consentiranno per tutti i teatri e cinema”. Non fosse che l’Ariston infatti, come tutti gli altri teatri, è chiuso al pubblico dal 25 di ottobre, e, anche in conseguenza delle stesse linee guida ministeriali, ospita una produzione fruibile da remoto; in altre parole l’Ariston affitta lo spazio alla RAI che ci fa quello che vuole, incluso usare la platea come parte della messa in scena. Il caveat di Franceschini, se rivolto alla produzione di spettacoli televisivi, arriva con un po’ troppi mesi di ritardo e con un po’ troppi precedenti realizzati.

In definitiva, le polemiche di questi giorni sembrano l’ennesimo specchietto per le allodole mentre si temporeggia sperando che, quando il ministero riaprirà le platee, ci sia ancora qualcuno da mettere sul palcoscenico.

Carlo Centemeri

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