Lucerna: il concerto perfetto esiste ed è svizzero

Sono molteplici gli elementi che, anche solo ad elencarli, predisponevano ad assistere ad un concerto perfetto: un festival che di edizioni ne ha viste passare più di 80, una sala moderna progettata per avere la migliore acustica possibile, un’orchestra “di lusso” – come la chiamano qui – che festeggia i vent’anni e che parla italiano, essendo nata nelle mani di Claudio Abbado ed accolta ora in quelle di Riccardo Chailly, e per finire una solista che è la punta di diamante della sua generazione.

Tutto vero e reale, perché il concerto presentato al KKL per il Festival di Lucerna con la pianista italiana Beatrice Rana e il direttore colombiano Andrés Orozco-Estrada è stato strepitoso, a tal punto da cancellare in un soffio il sottile dispiacere per i cambi imprevisti delle ultime settimane che avevano modificato programma e solisti (non più Daniil Trifonov nel Quarto Concerto per pianoforte e orchestra di Rachmaninov con la direzione di Riccardo Chailly).

Orozco-Estrada ha una personalità molto interessante. Colpisce subito per una speciale sensibilità nel curare le pause in battuta e la respirazione tra le frasi, creando spazi musicali nuovi e carichi di significato, come a rivelarci ciò che ci era sfuggito tra le pagine. La sua postura sul palcoscenico sembra quella di un atleta pronto allo scatto, con tutti i muscoli in tensione, e ad ogni suo gesto l’orchestra risponde con altrettanta prontezza, scattando in ritmi travolgenti o in cambi sonori più che repentini. Nella sua danza davanti all’orchestra sembra un demiurgo alle prese con la creazione dell’universo e il risultato ha precisamente tale grandezza.

Il suo Rachmaninov passa dall’onirico al grandioso, scorrendo l’opera come una suite che prende vita pagina dopo pagina. Per la parte solistica, la bravura di Rana è da tempo riconosciuta, non serve spendere ulteriori parole sulla sua solidità tecnica, il virtuosismo e sulla grande tenuta del palcoscenico, ma vale soffermarsi su cosa i due, pianista e direttore, riescono a creare di speciale nella parte più amata dal pubblico della Rapsodia su un tema di Paganini. In un lungo silenzio vibrante parte il pianoforte, iniziando da molto lontano a raccontare una storia antica, un sentimento dimenticato e forse ormai perduto, che si rianima poco a poco fino ad esplodere nel suono pieno e appassionato con tutta l’orchestra, che travolge senza possibili resistenze; e poi svanisce, ancora lontano, come un valzer d’addio. Lacrime. La partitura corre poi spedita fino alla fine, tra le dita dure come il titanio e delicate come il cristallo di Beatrice Rana, costruendo architetture monumentali come quelle di musorgskijana memoria. Una grandiosità finale che anticipa la magniloquenza ancora maggiore del Sabba di Berlioz, nell’ultimo movimento della Sinfonia fantastica.

Anche qui Orozco-Estrada ci riconsegna un capolavoro, valorizzando la particolare timbrica strumentale voluta da Berlioz, che aveva scelto un organico diverso dal consueto, e donando un ritmo così pulsante da renderlo un grande cuore umano. La sinfonia, così affine alla scrittura operistica, comincia il suo cammino come un’ouverture, regalando subito nel primo movimento le volute sinuose tipiche del canto. Il ballo del secondo movimento è fresco come la primavera della vita, e ci descrive l’amata del giovane artista (tale Harriet Smithson, attrice irlandese) come una fanciulla giovane e vezzosa i cui passi fuggono velocissimi e leggeri. Il terzo movimento, la scena campestre, è un idillio molto lento e sognante che cattura tutto il teatro in quell’intimo dialogo tra i due fiati solisti; l’oboe risponde al corno inglese da fuori scena, riuscendo a creare un suono ancora più piano del pianissimo che già domina la sala, e quando il volume sonoro cresce con gli altri strumenti lo fa in modo ampio e morbido, rimanendo fedele al carattere scelto. Il quarto movimento si apre in medias res, il timbro concreto delle percussioni ci avvisano che siamo già dentro la marcia che porta al supplizio, non c’è tentennamento, nessuna via di fuga, ma un lungo e tortuoso sentiero che va in un’unica direzione. Il quinto ed ultimo movimento della sinfonia è qualcosa di meraviglioso, per la concitazione e la magniloquenza; si comincia con un trascoloramento veloce, passando dal pianissimo al fortissimo come in una trasformazione mefistofelica verso una danza grottesca che fa paura, fino alla certezza dell’inferno, appena tube e fagotti attaccano il tema del Dies irae.

La serata è di quelle da ricordare e il pubblico qui lo capisce bene. Applausi e standing ovation moltiplicano senza fine le uscite sul palco, sia quelle di Beatrice Rana, che ringrazia con un cristallino studio di Debussy (Pour les huit doigts), sia per direttore ed orchestra. Benedetta Lucerna.

Monique Cìola (
16 agosto 2023)

La locandina

Direttore Andrés Orozco-Estrada
Pianoforte Beatrice Rana
Lucerne Festival Orchestra
Programma:
Sergej Rachmaninov
Rapsodia sopra un tema di Paganini, op. 43
Hector Berlioz
Symphonie fantastique, op. 14

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