Milano: con Pollini la Scala diventa un Salotto iperesteso

Ci sono concerti, ci sono occasioni imperdibili, ci sono rappresentazioni e riprese… poi ci sono gli Eventi.

La premessa, seppur sintetica e scontata, è doverosa quando si ha da lasciare nero su bianco una serata come quella che ha visto gremirsi il Teatro alla Scala lunedì 18 febbraio scorso.

L’annunciato Recital di Maurizio Pollini, infatti, rientra come cammeo perfettissimo all’interno del corposo ciclo di iniziative che la Fondazione Lirico-Sinfonica milanese ha previsto per le celebrazioni Abbadiane. Scelta imprescindibile e significativa, visti i percorsi che hanno accomunato i due Artisti in molte occasioni, tra le quali la lezione beethoveniana rappresenta un lascito fondamentale per tutta l’umanità.

La serata del 18 febbraio 2019 non ha nulla a che vedere con un normale concerto, nei fatti non lo è stato. La descrizione più adatta che riusciamo a trovare è quella di un Salotto ottocentesco iperesteso.

Nessuno di noi, siamo sinceri, è uscito di casa o ha affrontato un viaggio per ascoltare un programma e un pianista: tutti abbiamo accolto con entusiasmo l’invito prezioso che la proposta della Fondazione offriva, trasformando di fatto un Teatro in una vera e propria casa, ribaltando le prospettive.

È una serata che va ricordata invertendo il punto di vista d’ascolto e di fruizione fino a rendere entrambi circolari: non un pubblico che guarda un pianista ma un pianista che scruta sé stesso e, complice l’energia diffusa in sala, trasferisce la sua storia e il suo sacrificio per vederserlo ritornare indietro accresciuto dal palpabile affetto e partecipazione di un pubblico che è lì solo per lui.

Ciò crea un’atmosfera incredibile ove il respiro del Teatro prende ritmo e intensità dai gesti di Pollini: un respiro lento d’incitamento nei primi passi al suo ingresso, un respiro sospeso nel silenzio più assoluto che nutre di attese ogni brano, un respiro esplosivo nella concitazione generale quando il rito è concluso e finalmente l’abbraccio della sala può stringere il suo beniamino che è qui stato protagonista più di 140 volte!

L’Artista ha nei fatti creato un gioco di atmosfere ove regole e dettami hanno coscientemente lasciato il passo a qualcosa di più. Pollini è un uomo, oltre che grande pianista: permetterci di entrare nelle debolezze che attanagliano perfino lui è stato un dono incredibile, una palese dimostrazione di umiltà e di umanità che pochi saprebbero reggere così. La Sala si spegne e gli applausi accompagnano l’incedere stanco e preoccupato di Pollini… ci sono poi gli applausi “di casa”, dolcissimi e partecipi, che arrivano dal proscenio ove tutto è vigile e attivo per rendere l’esperienza della serata quanto più agevole possibile per l’ospite del cuore.

Sin dai Notturni op. 62 di F. Chopin che aprono il programma, è incredibilmente emozionante osservare frontalmente il volto di Pollini dal quale si trasferisce il racconto di una maturità espressiva che non ha più l’obbligo di inseguire la perfezione tecnica assoluta: la narrazione musicale procede secondo un senso e un colore generali molto diversi da quelli a cui siamo stati da lui abituati, riuscendo a tirar fuori delle nouances che molto hanno dell’abbandono lirico.

La Polonaise op. 44, molto schematizzabile in teoria, si dispiega quale trattato di “polonicità” nelle sue varie forme reso qui al servizio di un gusto salottiero che è perfettamente incarnato dalla sala di questa sera. È da questo momento che si ha chiaramente la percezione che nessuno di noi sia venuto qui per un concerto: ci sentiamo tutti ospiti di un salotto aperto ove il padrone di casa lascia entrare senza temere i suoi anni, senza preoccuparsi dei falli: con umiltà e abnegazione verso chi lo ha sempre sostenuto, regala la sapienza di accentuazioni scandite e cesellate nella Mazurka centrale senza dimenticare di trasferire, a qualunque costo, l’idea di pathos violento e drammatico che connota la Polonaise.

Arriva quindi il momento culminante per bellezza e completezza della serata: la Berceuse op. 57. Questo momento è quello dove l’atmosfera cambia e il salotto si amplifica: l’accompagnamento cullante è sempre continuo, sostenuto ed equilibrato (poche volte la mano sinistra ha filo da torcere come in questa composizione proprio per la prerogativa di omogeneità, uguaglianza e nitore richiesti)… la linea di canto risulta pura e perlata, mai leziosa… qui troviamo la dimostrazione che certe pagine, seppur solo apparentemente semplici, possono essere rese così soltanto in un’età più che matura, ove il distacco dall’universo materiale può essere reso solo a chi ha l’esperienza di una vita e che la presenta con l’innocente e perfetta fragilità di un bambino.

Tempo di un sorso d’acqua, offerto con reverenza dalle quinte, e arriva l’ultimo brano della prima parte: Scherzo op. 39. Su questo brano si potrebbero scrivere dei trattati ma, al netto di ogni considerazione tecnicistica, è bello poter testimoniare come, nella transizione in minore del Corale, nessuna preoccupazione o ansia restino: momento topico, puro affondo di abbandono musicale consapevole. Applausi scroscianti salutano il pianista che lascia il palco.

L’applauso più forte e pieno di senso è quello che viene dalla quarta fila del lato sinistro: una bimba dai voluminosi boccoli rossi, perfettamente tenuti da un ampio fiocco di velluto è rimasta lì tutto il tempo senza staccare mai lo sguardo dal palco, attentissima come e più degli adulti. In questa si rispecchia l’atmosfera generale di cui è opportuno ricordare il dato più significativo: l’atto artistico è comunque un rito e, quale che sia l’esito finale per purezza di contenuto, se trascende e infonde il mistero… vince. La seconda parte prevede l’esecuzione integrale del Primo Libro dei Préludes di Claude Debussy.

Ci piace pensarli come ad un cahier da leggere e rileggere nel corso della vita. Il giovane lo affronta normalmente con lo stigma del rispetto della Scuola, la mezza età lo rilegge trovandoci dentro i momenti salienti di viaggi, profumi ed esperienze… il maturo può trattarlo come nuova pagina bianca su cui trasferire la tavolozza emotiva dei concetti.

Personalmente troviamo che la resa di “Des pas sur la neige” abbia spiegato molto con una tensione ritmico-espressiva incredibile, attraverso passi marcati ed esattamente stanchi fino a creare fisicamente la sorda impietosità della desolazione invernale che a stille fiacca l’uomo descritto dal preludio: chapeau! Dopo l’ultimo preludio il pubblico non si contiene più… un mix di soddisfazione emotiva, di franchezza umana, di memoria che vuole essere attualità.

Minuti che sembrano eterni chiamano a due bis il pianista. Non c’è più il metro del programma, nel grande Salotto di questa serata c’è solo la voglia che tutto questo non finisca al punto che nessuno vuole più sedersi, tutti restano in piedi come nelle più grandi feste. Ed è giusto così.

Ripetiamo quanto in premessa: ci sono concerti, ci sono pianisti, ci sono rappresentazioni e riprese… poi ci sono gli Eventi, questo lo è stato senz’altro.

Antonio Cesare Smaldone
(18 febbraio 2018)

La locandina

Pianoforte Maurizio Pollini
Programma
Fryderyk Chopin Deux nocturnes op. 62
1. Si magg
1. Mi magg
Polonaise in fa diesis min. op. 44
Berceuse in re bem. magg. op. 57
Scherzo in do diesis min. op. 39
Claude Debussy Préludes I Libro
Danseuses de Delphes
Voiles
Le vent dans la plaine
Les sons et les parfums tournent dans l’air du sois
Les collines d’Anacapri
Des pas sur la neige
Ce qu’a vu le vent d’ouest
La fille aux cheveux de lin
La sérénade interrompue
La cathédrale engloutie
La danse de Puck
Minstrel

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