Milano: il ritorno fortunato di Chénier

Torna alla Scala la produzione di Andrea Chénier che nel dicembre 2017 inaugurò la stagione del teatro meneghino.

Umberto Giordano è un autore ancora assai discusso. Di certo Andrea Chénier è un’opera che vanta arie ispirate, squarci melodici passionali e un’orchestrazione interessante, tuttavia questo titolo è in parte penalizzato da una vicenda illustrata da Luigi Illica in modo un po’ frammentario.

Alla Scala fu diretta nel 1946 dall’autore stesso, da Victor De Sabata, Gianandrea Gavazzeni e cantata da voci leggendarie quali Beniamino Gigli, Mario Del Monaco, Gina Cigna, Renata Tebaldi e Maria Callas.

Chènier è un’opera incastonata nei colori e nel clima della rivoluzione francese e la regia di Mario Martone, ripresa da Federica Stefani, ridipinge alcuni quadri senza allontanarsi dal contesto originario complici le scene di Margherita Palli e le luci di Pasquale Mari. Tableaux vivant, eleganti interni, specchi sontuosi, atmosfere cupe, una ghigliottina sinistra, scene che ruotano svelando nuovi spazi, sono tutti elementi che contribuiscono a raccontare la vicenda impreziosita dai bei costumi di Ursula Patzak. Insomma uno spettacolo essenziale che funziona e che lascia spazio alla musica.

Sul palcoscenico Yusif Eyvazof torna a vestire i panni del protagonista con maggior consapevolezza espressiva rispetto all’edizione precedente. Molto più a suo agio nella parte, il tenore russo regala momenti di lirismo nonostante il timbro non sia ammaliante e la dizione non sempre scolpita come questa scrittura richiede.

Al suo fianco la giovanissima Chiara Isotton nel primo atto restituisce freschezza al personaggio di Maddalena di Coigny, addentrandosi nelle pagine più drammatiche con un romanticismo tenue senza mai eccedere in slanci inopportuni. La sua è una linea di canto elegante, importante, tornita, ben misurata e giustamente cauta in quanto questa scrittura per un giovane soprano può risultare estrema e a lungo andare logorante.

Il tormentato ruolo di Carlo Gérard è stato rivestito dal baritono Ambrogio Maestri, indisposto nelle prime recite, con una vocalità calda ed ampia nella zona centrale con particolare attenzione a dare i giusti accenti al testo senza però mai scadere in un declamato greve.

Bene la Madelon dell’inossidabile Elena Zilio, la mulatta Bersi di Francesca di Sauro e la Contessa di Coigny di Josè Maria Lo Monaco, così come molto validi tutti i comprimari.

Sul podio Marco Armiliato si conferma bacchetta esperta. Dotato di un gesto plastico ha conferito alla partitura di Giordano una certa fluidità facendone emergere i pregi dell’orchestrazione.

Ottimo come sempre il coro istruito da Alberto Malazzi nonché il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala diretto da Manuel Legris.

Ed ora si va verso la Rusalka di Dvorak.

Gian Francesco Amoroso

(16 maggio 2023)

La locandina

Direttore Marco Armiliato
Regia Mario Martone
Scene Margherita Palli
Costumi Ursula Patzak
Luci Pasquale Mari
Coreografia Daniela Schiavone
Personaggi e interpreti:
Andrea Chénier Yusif Eyvazov
Carlo Gérard Ambrogio Maestri
Maddalena di Coigny Chiara Isotton
La mulatta Bersi Francesca Di Sauro
La contessa di Coigny Josè Maria Lo Monaco
Madelon Elena Zilio
Roucher Ruben Amoretti
Fléville Sung-Hwan Damien Park
Fouquier Tinville Adolfo Corrado
Matthieu Giulio Mastrototaro
Un incredibile Carlo Bosi
L’abate Paolo Nevi
Schmidt/Il maestro di casa Li Huanhong
Dumas Lorenzo B. Tedone
Orchestra, coro e corpo di ballo del Teatro alla Scala
Maestro del coro Alberto Malazzi

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