Palermo: Wellber, Grosz e la Musica in Viaggio

Sabato 4 marzo la sala grande del Teatro Massimo di Palermo ha ospitato la prima viola dei Berliner Philharmoniker Amihai Grosz, che si è esibito con l’orchestra del teatro, diretta da Omer Meir Wellber, in un vero perfect romantic program; un viaggio romantico perfetto sulla musica di Harold en Italie op. 16 di Hector Berlioz e della Sinfonia Manfred op. 58 di Pëtr Il’ič Čajkovskij.

Due capolavori tanto diversi ma consimili nell’ispirazione letteraria di fondo. Durante l’Ottocento infatti il mito dell’eroe romantico leggendario, oppositore al conformismo sociale e isolato dalle convenzioni della civiltà, si fece strada nell’immaginario letterario. Concentrato sulla propria autorealizzazione, caratterizzata da una profonda introspezione, l’eroe romantico è emarginato, melanconico e spesso misantropo; ma anche lunatico e orgoglioso. Uno dei più celebri modelli di eroe romantico è quello definito “byroniano”: cinico, misterioso e attanagliato dai sensi di colpa ma anche da un forte desiderio di vendetta. Lord Byron delineò per la prima volta questo genere di personaggio in Childe Harold’s Pilgrimage (Il pellegrinaggio del giovane Harold) nel 1812 e successivamente tra l’agosto e il settembre del 1816 con Manfred. Fra Harold e Manfred c’è un’evoluzione psicologica nella concezione di eroe che Byron inevitabilmente traccia in conseguenza delle sue vicende personali. Se in Harold prevale una componente autobiografica legata al pellegrinaggio come via di fuga dalle delusioni della vita e come atto di redenzione, in Manfred prende forma un eroe dai tratti sovraumani, in grado di sopportare sofferenze che superano la comprensione dell’uomo comune. Manfred persegue l’autoannientamento come fuga dalla condizione umana, ed è egli stesso artefice del suo destino; una visione eroica, quest’ultima, in cui Byron, elaborando il trauma della separazione con la moglie e gli eventi post-napoleonici, oppone al mondo metafisico la temporalità materiale del tempo storico. Sono tutti elementi profondamente intrisi di caratteri romantici che, come si può immaginare, ebbero non poche influenze anche nel mondo musicale.

Nei primi mesi del 1834 infatti Berlioz, conquistato da una nuova idea poetica proprio dal Child Harold’s Pilgrimage di lord Byron, in pochi mesi rielaborò Les derniers moments de Marie Stuart, una fantasia drammatica per orchestra, cori e viola solista scritta per Paganini, dando vita alla sinfonia con viola solista Harold en Italie op. 16, finita di comporre il 22 giugno 1834. In Berlioz il viaggio di Harold diventa un pretesto per unire la sua passione letteraria al racconto autobiografico dei suoi mesi trascorsi in Italia, in un monumentale affresco sinfonico in cui il compito di impersonare l’artista malinconico è affidato alla viola, distaccata commentatrice del paesaggio e delle pittoresche scene a cui assiste.

L’esecuzione di Grosz è stata impeccabile e il suo approccio alla partitura dinamico e coinvolgente. Insieme a Wellber è riuscito a trasmette il senso profondo del capolavoro ma soprattutto, insieme, hanno trasmesso vitalità attraverso i corpi, in continuo movimento, in un’instancabile danza di gesti, sguardi e cenni d’intesa. Molto bella l’idea di eseguire l’ultimo passo della viola (finale del IV tempo) da un palco laterale, come se Harold/Berlioz si limitasse a guardare la scena a distanza, perso nei suoi sogni e nelle sue fantasticherie; una partecipazione da osservatore che spiega anche la trovata di far entrare ed uscire il solista durante la musica, a sottolinearne la compartecipazione ma non il protagonismo. Al termine di Harold en Italie Amihai Grosz ha meritato un lunghissimo applauso e prima di congedarsi ha regalato una piccola e apprezzatissima perla eseguendo alla sua viola (una Gasparo da Salò del 1570) il prélude dalla Suite per violoncello n.1 di J. S. Bach.

Nella seconda parte del concerto è stato ancora l’eroe byroniano il protagonista, ma questa volta nella visione Čajkovskiana di Manfred. Fu Balakirev, a consigliare Ciajkovskij di scrivere una sinfonia sul poema drammatico di lord Byron; proposta che Balakirev aveva inizialmente avanzato proprio a Berlioz che però aveva declinato l’incarico, sostenendo di non poter affrontare un progetto artistico così ambizioso a quell’età. Ciajkovskij non parve inizialmente interessato e soltanto nell’aprile del 1885, durante un soggiorno nella tenuta di Maidanovo, dopo aver letto il poema, si convinse a metterlo in musica, creando una partitura di ampie proporzioni suddivisa nei quattro tempi classici e densamente descrittivi.

Wellber ha interpretato con la solita enfasi corretta questa potente partitura, anche se bisogna fare due piccole precisazioni: da una parte (ma questo vale anche per Harold) si è avvertito un leggero sbilanciamento dei toni orchestrali, tendenzialmente verso l’acuto, con carenza nella percezione dei bassi e quindi inficiando la profondità della scena; dall’altro lato non si può non sottolineare l’ottimo lavoro della sezione dei legni: Manfred ha delle parti complesse per flauti e ottavini e, seppur in alcuni momenti la sezione abbia dato l’impressione di suonare con fatica, non si sono tuttavia registrate défaillance, con gran merito dei musicisti. Pubblico un po’ indisciplinato nel gestire gli applausi, che per ben tre volte, nonostante le rimostranze della maggior parte dei presenti, hanno spezzato il continuum emotivo tra un movimento e l’altro.

Giuseppe Migliore
(4 Marzo 2023)

La locandina

Direttore Omer Meir Wellber
Viola Amihai Grosz
Orchestra del Teatro Massimo
Programma:
Hector Berlioz
Harold en Italie
Pëtr Il’ič Čajkovskij
Manfred op. 58

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