Roma: il Messiah illumina il Natale al Parco della Musica

Per il concerto prima di Natale della Stagione Sinfonica 2023, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha scelto un capolavoro della musica barocca. Il Messiah di Georg Friedrich Handel (1742) non veniva eseguito a Roma dal 2017, quando fu diretto da Ton Koopman. Ma dal 20 al 22 dicembre 2024, l’Accademia di Santa Cecilia ha voluto affidarne la direzione all’americano John Nelson, compiendo così una scelta assai felice.

Grandissimo conoscitore di Händel, Nelson è anche considerato uno dei principali interpreti viventi della musica di Hector Berlioz, per la registrazione della quale (vedi Les Troyens interpretato da Joyce Di Donato, Marie-Nicole Lemieux e Michael Spyres, con l’Orchestre Philharmonique de Strasbourg, per Warner Classics/Erato), ha conseguito premi importanti e riconoscimenti prestigiosi come l’International Opera Award, il Premio della Bbc Music Magazine.

Forte di tanta esperienza, Nelson ha dunque proposto una lettura magnifica e originale del capolavoro di Händel. Il famoso oratorio, eseguito per la prima volta a Dublino nel 1742, fu composto in appena tre settimane dal musicista tedesco che lavorò sul libretto del severo protestante Charles Jennens ispirato ai Salmi, ai libri di Isaiha e ai vangeli di Luca e di Marco. Trapiantato in Gran Bretagna, Händel ripartì con quest’oratorio dopo un periodo nero in cui sembrava aveva esaurito la sua vena artistica e dopo aver vissuto una vera resurrezione dal colpo apoplettico che per alcuni mesi l’aveva messo fuori gioco. Anche per questo, essendo un uomo e un artista animato da fede incrollabile e vocazione palingenetica, lo volle dedicare ai malati, ai rejetti, ai detenuti, agli ultimi degli ultimi, per rendere grazie a Dio onnipotente. Tant’è che la sua idea non era tanto quella di celebrare la nascita del Messia, quanto di approfondirne il mistero della morte e della Resurrezione,  intervenendo liberamente sulla struttura del libretto di Jennens, il quale non a caso  restò talmente sconcertato dalla  creatività di Händel da ripromettersi che non avrebbe mai più collaborato con lui.

Ora, senza farsi minimamente condizionale dalle cesure della suddivisione della partitura originale, dal rigore degli staccati, dai tre tempi regolamentari, suddivisi in 50 numeri vocali, fra recitativi, arie e cori, l’americano Nelson è riuscito a compiere un piccolo miracolo, esaltando magistralmente la componente melodica, riuscendo a liberare l’aspetto sinfonico  sin dalla solenne ouverture che s’apre in tonalità  mi minore, per poi cedere gravemente al mi maggiore nel passaggio al recitativo. E’ riuscito a valorizzare ogni singolo aspetto, armonico, melodico, contrappuntistico, timbrico, vocale, tenendo sotto controllo tutte le componenti dell’orchestra e del coro, sino a offrire una resa straordinaria dell’insieme, assai originale rispetto alle esecuzioni dei più accreditati barocchisti contemporanei.

Rispettando alla lettera tempi, ritmo e suddivisioni della partitura, ne ha saputo esaltare le ampie campiture melodiche, il virtuosismo smagliante, il fugato, le reminiscenze madrigalistiche.

Per molti era come sentire per la prima volta lo splendore di questa partitura maestosa, suddivisa in tre parti e in vari blocchi, tra i recitativi assegnati al tenore, il bravissimo Krystian Adam, protagonista del progetto per il 450° anniversario di Monteverdi, diretto da Eliot Gardiner, e di altre memorabili imprese di Ottavio Dantone a Ravenna, e al basso austro-neozelandese Anthony Robin Schneider, col suo colore grave, tenebroso, intenso fino all’oscurità anche nei momenti di luce.

Magistrale la prova da contralto del mezzosoprano Sasha Cooke, agile, vibrante, sempre intensa e struggente a partire dal primo numero, il 6. della prima parte, “But who may abide the day of His Coming”,  sino alla fine.  Convincente e impeccabile nel colorare con passione il “Rejoyce greatly” della prima parte, il giovane soprano di Tarragona, Sara Blanch, diplomata al Conservatorio di Barcellona e apprezzata al Rossini Festival di Pesaro dove ha debuttato dieci anni fa, e

Ma la parte del leone e il vero ruolo di protagonista nella rappresentazione del dramma, con la capacità di di alternare in continuazione il senso di disperazione e di speranza,  va al coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, magistralmente diretto da Andrea Secchi, il quale, nonostante la giovane età, ha già alle spalle una carriera di notevoli successi, dal debutto vent’anni fa alla Salle Cortot di Parigi, agli anni passati al Maggio Musicale Fiorentino, e  sempre come direttore del Coro al Teatro Regio di Torino. Il coro resta infatti la chiave di quest’oratorio barocco, con le sue arie sfolgoranti, la pastorale in do maggiore, ripresa dai canti dei pastori abruzzesi, che il giovane Händel aveva ascoltato a Roma negli anni di formazione, e le miriadi di soluzioni ingegnose nascoste nell’ordine armonico e melodico della partitura, la mobilità dei volumi sonori che si rinnovano di continuo sino a esplodere nel trionfo liberatorio e altamente coinvolgente dell’Halleluja finale. Insomma una produzione memorabile, nonostante l’intrusione di un gruppo di attivisti ecologisti che la sera della prima si sono accucciati per protesta ai piedi del podio, e lì sono rimasti nella sublime indifferenza del maestro Nelson, concentrato a eseguire la seconda e la terza parte dell’oratorio, finché non sono stati trascinati fuori a forza dalle maschere dell’Auditorium, fra i fischi e la riprovazione di un pubblico attentissimo e entusiasta.

Marina Valensise
(20 dicembre 2023)

La locandina

Direttore John Nelson
Soprano Sara Blanch
Mezzosoprano Sasha Cooke
Tenore Krystian Adam
Basso Anthony Robin Schneider
Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Maestro del coro Andrea Secchi
Programma:
Georg Friedrich Händel
Messiah

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