Torino: siamo tutti Don Pasquale

In fondo, siamo un po’ tutti e tutte Don Pasquale. Perché non è forse nella natura umana stare in compagnia, condividere, stare a contatto con gli altri? E allora perché non dovremmo giustificare, almeno un pochino, il povero Don Pasquale che altro non vorrebbe che passare gli ultimi anni ammogliato e in compagnia di una amabile moglie? Certo, dovremmo fare una disamina sul concetto di “amabile”, ma entreremmo in un campo assai vasto ed infinito. Vero è, però, che il Don Pasquale donizettiano ti fa tornare a casa con quella risata velata di malinconia, di compassione, di affetto.

Torna dunque Don Pasquale di Gaetano Donizetti al Teatro Regio di Torino, dopo l’ultima esecuzione del 2009, nella storica versione ideata negli anni ’80 da Ugo Gregoretti, qui ripresa da Riccardino Massa, che ci riporta alla Roma di inizio 1800. Sebbene l’opera si possa definire buffa (e di certo in questa esecuzione non mancano le risate, l’umorismo e la brillantezza), non mancano altrettanto quella vena di drammaticità, di sottile cattività, di inganno. Conosciamo tutti lo svolgimento della vicenda, dove il vecchio e benestante Don Pasquale decide di sposarsi e al contempo diseredare il nipote Ernesto, innamorato della giovane (ma già vedova) Norina: una scelta che si ritorcerà contro lo stesso Don Pasquale, a causa dei sotterfugi dell’amico Dottor Malatesta. Questi, complottando con Norina in primo luogo e con Ernesto poi, ordirà una serie di inganni e scherzi che porteranno il vecchio Don Pasquale, deriso, sbeffeggiato e “schiaffeggiato”, ad accettare con un sorriso la morale pronunciata da Norina e benedicendone le nozze con il nipote Ernesto.

Dicevamo della produzione: ricca di colori, variegata, divertente, dove il continuo inanellarsi di gag, movimenti scenici, giochi di sguardi e mossette smuovono nel pubblico in sala un continuo sorridere. Di contro, pochi e rari sono i momenti in cui ci si sofferma a riflettere su quello che, in controluce, traspare dall’opera, come l’eterno scontro tra generazioni, il giusto rivendicare la propria indipendenza da parte di Norina/Sofronia, il timore di passare gli ultimi anni della propria esistenza in solitudine. La regia ideata da Ugo Gregoretti e qui ripresa, come si diceva, da Riccardino Massa, non tradisce l’idea iniziale con cui era nata, ma riempie e contorna abbondantemente (forse anche troppo) lo svilupparsi delle vicende dei quattro protagonisti, che mettono molto del loro avendone la libertà, la saggia padronanza dei ruoli e l’ormai consolidata tempra scenica e vocale. Di fondo è unica la scena, contestualizzata in una Roma di inizio 1800, con alcuni adattamenti a seconda dello svolgersi delle cose, con la casa di Don Pasquale a cui passa di fronte un rio con il ponte mobile (che sarà teatro di via vai, tra cui quello dei due camerieri e del maggiordomo a servizio di Don Pasquale), per poi diventare casa di Norina, poi notturno giardino degli amanti e, per il finale “morale”, piazza romana dove tutti si ritrovano per festeggiare i lieti sposi. Romantica è la luna piena che si eleva nel cielo all’intonarsi del Com’è gentil, la notte a mezzo april / È azzurro il ciel, la luna è senza vel intonata dall’innamorato Ernesto, a cui possiamo contrapporre la maschera da toro “cornuto” che si ritrova Don Pasquale alla fine del primo atto, ormai tradito, beffeggiato. Le scene ed i costumi sono quelli ripresi ed ideati al tempo da Eugenio Guglielminetti, le luci di Vladi Spigarolo ed i movimenti mimici dei popolani, villeggianti, servitori e coro sono curati da Anna Maria Bruzzese.

Sul podio ritroviamo Alessandro De Marchi, assiduo frequentatore del repertorio settecentesco ed ottocentesco, qui ad offrirci una lettura ricca di colori, sfumature e dinamiche. Sin dalle prime note della Sinfonia si comprende che la visione musicale data dal direttore non ha ritmi troppo serrati, ma vi è al contrario una ricerca costante di varietà, sapendo nell’insieme mantenere il giusto bilanciamento orchestrale e cercando di ben evidenziare, laddove possibile, i momenti più giocosi, dinamici e brillanti rispetto a quelli più intimi e malinconici. Tuttavia, in più di un’occasione pare mancare quella giusta intesa necessaria all’equilibrio tra palco e fossa orchestrale, creando in alcuni passaggi qualche difficoltà ai singoli cantanti. Orchestra in grande spolvero, con suono brillante e giocoso che sa stare al passo con quanto avviene in palcoscenico; così come è in ottima forma il Coro che, seppur in numero ridotto, con la preparazione di Ulisse Trabacchin partecipa puntuale e con ottima risposta alle dinamiche di De Marchi.

Don Pasquale, per il baritono Nicola Alaimo, è uno di quei ruoli che potremmo annoverare tra i “fantastici 5” dell’artista palermitano: Falstaff, Michonnet, Dandini, Figaro e, appunto Don Pasquale. Ruolo che per vocalità, stile e presenza scenica, ritrovano in Alaimo interprete ideale. Sin dall’entrata in scena durante l’esecuzione della Sinfonia, Alaimo catalizza su di sé l’attenzione visiva dello spettatore: attenzione che da visiva diventa uditiva, poiché quello che arriva a fine recita è un artista completo, che non solo esegue una parte, ma la vive, la “suda”, ne restituisce i sentimenti, l’anima. Vocalmente ineccepibile poiché è perfetto il controllo dei fiati, l’attenzione alla parola sempre avanti, precisa e ben declamata, che sa farsi saettante nelle colorature e nei sillabati (stupendo il duetto Cheti cheti immantinente interpretato, nella sua parte finale ed in buona compagnia, in mezzo al pubblico con tanto di ballo con una storica abbonata in prima fila), con una voce che sa spandersi nella sala in tutta la sua corposità baritonale. Chi mette in riga il Don Pasquale di Alaimo è la Norina (e anche Sofronia) di Maria Grazia Schiavo, artista napoletana che il Teatro Regio ed il suo pubblico conoscono bene e che qui ci regala una donna sicura di sé, brillante, decisa, un po’ “malandrina” ma con buon cuore (e d’altronde, dopo lo schiaffo se ne accorge lei stessa intonando è duretta la lezione, ma ci vuole a far l’effetto). Nonostante qualche azzardo di troppo nella sua cavatina d’ingresso con un acuto uscito un po’ forzato, non mancano all’artista la colorature e la brillantezza vocale, avendo ben cura della dizione anche noi momenti più concitati, senza mai perdere la verve richiesta dalla parte e facendosi apprezzare per la giovialità e la sicurezza nell’interpretazione scenica. Non vi sarebbe Norina senza il suo amato Ernesto, il giovane e un po’ bimboneggiante nipote di Don Pasquale (rende perfettamente idea la sua apparizione in scena durante la Sinfonia, correndo con il retino in mano a caccia di farfalle), che qui troviamo interpretato da Antonino Siragusa, tenore di casa al Regio e apprezzato in tantissimi ruoli belcantistici. Il tempo non sembra scorrere per l’artista che sa ancora regalare l’immagine di un giovane innamorato, pieno di energia e pronto a prestarsi alla causa pur di far passare le voglie allo zio e potersi finalmente unire all’amata Norina: è fresca la voce, sicura e solida, soprattutto nei passaggi più impervi dell’aria “Povero Ernesto!” Cercherò lontana terra, con una lieve asprezza nell’acuto finale. Ma ci si dimentica subito tutto con la dolce e romantica serenata Com’è gentil, cantata con una ricchezza di colori e sfumature che pochi artisti sanno dare. Deus ex machina degli intrighi ai danni di Don Pasquale e a favore degli amanti è sicuramente il Dottor Malatesta del baritono “di casa”, poiché piemontese, Simone Del Savio, che ben si bilancia nell’equilibrio dei colori vocali con il Don Pasquale di Alaimo. Timbro e colore più bruniti che si confanno, idealmente, al personaggio che dovrebbe rappresentare il fido consigliere, dispensatore di suggerimenti e risolvitore di problemi e necessità: Del Savio sta al gioco, sa il fatto suo nell’interpretare un personaggio che non è di secondo piano, ma attento regista di tutte le vicende in scena. Chiude il cerchio il notaro di Marco Sportelli, artista del Coro di lungo corso che qui si presta ad un breve ma centrato intervento nell’essere esecutore del finto matrimonio tra Don Pasquale e Norina/Sofronia.

Passato quindi questo gennaio col sorriso e il buonumore donizettiano del Don Pasquale, si prosegue la stagione operistica del Teatro Regio avviandoci verso la drammaticità dei prossimi mesi, con il verdiano Un ballo in maschera diretto da Riccardo Muti e la continuazione dell’omaggio a Puccini e due intervalli wagneriani e contemporanei.

Leonardo Crosetti
(25 gennaio 2024)

La locandina

Direttore Alessandro De Marchi
Regia Ugo Gregoretti
Ripresa da Riccardino Massa
Scene e costumi Eugenio Guglielminetti
Movimenti mimici Anna Maria Bruzzese
Luci Vladi Spigarolo
Personaggi e interpreti:
Don Pasquale Nicola Alaimo
Norina Maria Grazia Schiavo
Ernesto Antonino Siragusa
Dottor Malatesta Simone Del Savio
Un notaro Marco Sportelli
Orchestra e Coro Teatro Regio Torino
Maestro del coro Ulisse Trabacchin

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