Venezia: Prometeo, l’attualità di Luigi Nono

Ci possiamo solo immaginare cosa abbia potuto significare per molti tornare sul luogo del delitto, dopo quaranta anni. A Venezia, lì in quella ex-chiesa, San Lorenzo, strutturalmente originale, anche emblematica se vogliamo, divisa al centro da tre ampie arcate per separare i luoghi della clausura da quelli del pubblico, spazio delimitato da una ricca inferriata che divide ma fa vedere, fa passare i suoni. Proprio lì nel settembre del 1984 si tenne la prima di Prometeo – Tragedia dell’ascolto di Luigi Nono su libretto di Massimo Cacciari, con la direzione di Claudio Abbado, lo spazio musicale di Renzo Piano, gli interventi luce di Emilio Vedova. Un vero evento, coproduzione Teatro alla Scala-La Biennale di Venezia. Un’impresa temeraria la definisce Carlo Fontana, in quegli anni Direttore del Settore Musica della Biennale, uno sforzo produttivo straordinario che assorbì l’intero budget annuale del settore. Per l’attuale Direttrice Lucia Ronchettiun monito importante per la Biennale Musica attuale e futura, nel senso del necessario ardire…

Oggi, a cento anni dalla nascita di Nono, a quaranta da quella storica prima trovarsi in quello stesso spazio non è solo emozionante ma anche testimonianza viva della forza della musica, delle idee. Quattro repliche, in collaborazione tra Biennale e Fondazione Archivio Luigi Nono, andate sold out in poche ore. Guardandosi intorno il pubblico è generazionalmente variegato, ci sono molti giovani, ci sono i reduci. Ma allora? La musica contemporanea non è quella in costante crisi di pubblico, quella di nicchia, quella difficile, a volte inascoltabile? Non illudiamoci troppo. L’opera di Nono possiede ancora oggi un manto di mito, quasi di leggenda. Ma perché? Perché quei suoni, quelle voci misteriose, quegli stridori sintetici, quei silenzi, ci affascinano, ci inquietano, ci coinvolgono ancora? Ho trovato risposta a questa domanda capitale poche ore dopo il concerto pomeridiano della domenica. Incontro casualmente e piacevolmente, tra le strette calli avvolte di nebbia, uno dei solisti coinvolti fin dalla prima esecuzione dell’opera, storico collaboratore di Nono: Giancarlo Schiaffini. Il musicista mi guarda con la saggezza e l’ironia che lo contraddistinguono, risponde a quella domanda insidiosa aspirando il fumante Toscano …Paolo, probabilmente in questo lavoro c’è proprio qualcosa di buono … Incredibile. Dopo oltre due ore di musica dal vivo, ascolti di esecuzioni diverse, consultazione di recensioni e interviste, analisi musicologiche, questa risposta, apparentemente banale, mi dice tutto. In quel qualcosa di buono convive la storia unica dell’opera, tutta la complessità dei sui segnali di convergenza culturale, tra musica, arti visive, filosofia, nuove tecnologie, concetto di spazio sonoro, segnali che lacerarono radicalmente gli atteggiamenti tradizionali rispetto alla fruizione, ma anche le dinamiche tra direttore e musicisti, cantanti, attori, tecnici, come un nuovo rapporto con la partitura (…la partitura non è l’opera).Una drammaturgia acustica che stravolse il teatro musicale del secondo Novecento, ancora oggi la sua lunga onda visionaria, sperimentale e innovativa ci travolge, ci dice molto.

Nella nuova edizione  non c’è la macchina da musica, l’arca di Renzo Piano, non c’è il gioco di luci di Vedova. I quattro gruppi strumentali, i solisti, il coro, il direttore, gli ingegneri del live electronics sono tutti arrampicati su una intrigata e intrigante selva di tubi metallici, struttura che nella sua essenzialità pratico-estetica non fa spettacolo, permette ai suoni di girare liberamente nello spazio acustico, avvolgendo il pubblico che sta al centro, partecipa, non assiste, è immerso in un vero e proprio labirinto sonoro. Ma Nono non vuole rappresentare nulla. Le isole, i singoli episodi della costruzione musicale risultano nettamente sganciati da tentazioni narrative, un non sviluppo, un non andare da nessuna parte che mantiene alta una tensione costante.

I testi del libretto di Cacciari da Benjamin, Eschilo, Euripide, Sofocle… si muovono come citazioni oltre il valore letterario per divenire suono, segnale acustico, guida, che Nono …Il testo non deve mai essere letto !…fa evaporare in sussurri, grida, respiri, in frammenti, materiale compositivo, fantasmi che  appaiono, scompaiono, ritornano. Il Prologo rappresenta bene le intenzioni. Sono coinvolti coro, solisti, voci recitanti e orchestra. La disposizione multipla e la lontananza delle fonti sonore, gli interventi del live electronics che trascinano i suoni in tutte le direzioni, disegnano un continuum coinvolgente che prova a sfumare la spiccata teatralità del recitativo, ora sommesso, ora emerso.

Risulta subito evidente il peso della direzione giocato in una simile complessità. Se l’opera è aperta, e ogni opera è aperta per definizione, Marco Angius più che forzare l’aspetto performativo predilige indagare nel profondo della drammaturgia acustica in una logica di teatro dell’ascolto, un Prometeo come viaggio nella mente più che nel luogo-tempo. Su questa strada le cinque isole esplicitano un rapporto ambivalente sia con lo spazio architettonico che quello esistenziale-poetico. Questa dualità dell’antiopera nel reiterarsi in combinazioni vocali radicali, variazioni timbriche, pulviscolo elettronico come nebbia che tutto avvolge, nei suoni inudibili dei fiati come lampi di luce, offre densità a tutti i materiali sonori, da senso, dimensione interiore ad un astrattismo diffuso.

Un astrattismo che prende le mosse dal profondo legame di Nono con la sua città. Il compositore ipotizza, in alcuni suoi scritti di avvicinamento all’opera, un sistema sonoro veneziano: i suoni delle campane, della laguna, le voci, i rumori della vita cittadina che si mischiano svolazzano tra calle, canali, e trasportati dall’acqua vengono amplificati, moltiplicati o svaniscono completamente. Prometeo ci dice ascolta! San Lorenzo ci dice ascolta! E noi avvolti dai suoni, liberi dalla sudditanza della visione, nell’ascolto viaggiamo confusi e fragili tra memorie, miti e dolori dei nostri giorni. In fondo ha ragione Giancarlo Schiaffini, quel qualcosa di buono da lui evocato  è ancora vivo, frutto immaginifico della capacità  creativa di Luigi Nono nel trasformarci in Prometeo contemporanei. Ma riusciremo a rompere le catene?

Paolo Carradori
(28 gennaio 2024)

La locandina

Direttore  Marco Angius
Live electronics Centro di Sonologia Comuputazionale Università di Padova (Alvise Vidolin, Nicola Bernardini, Luca Richelli)
Soprani Livia Rado, Rosaria Angotti /contralti Chiara Osella, Katarzyna Otczyk
Tenore  Marco Rencinai
Voci recitanti Sofia Pozdniakova, Jacopo Giacomoni
Flauti  Roberto Fabbriciani
Clarinetti  Roberta Gottardi
Tuba, trombone, eufonio Giancarlo Schiaffini
Viola Carlo Lazari
Violoncello Michele Marco Rossi
Contrabbasso Emiliano Amadori
Secondo direttore Filippo Perocco
OPV-Orchestra di Padova e del Veneto
Coro del Friuli Venezia Giulia
Maestro del coro  Cristiano Dell’Oste

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