Venezia: nel Satyricon si medita sulla morte
Una sorta di testamento spirituale, a tratti cupo, quasi sempre disincantato: questo è il Satyricon – andato in scena il 16 marzo 1973 a Scheveningen nell’ambito dello Holland Festival –ultima composizione di Bruno Maderna che moriva pochi mesi dopo a Darmstadt il13 novembre dello stesso anno.
Il compositore veneziano intendeva porre, attraverso la stigmatizzazione della volgarità di Trimalcione – archetipo del parvenu –, un accento disilluso sul declino inesorabile della società del suo tempo e la fine di un’epoca nel quale comprendeva anche la morte dell’opera.
Per fortuna si sbagliava perché il genere era vivo e vegeto: basti pensare che nel 1978 andava in scena Le Grand Macabre, per fare un esempio.
Rivisto in prospettiva – e benissimo fa il Teatro La Fenice a riproporlo in occasione del cinquantesimo anniversario dalla prima – il Satyricon, a meno che non lo si consideri come una meditazione sulla morte che il compositore sentiva vicina, risulta irrimediabilmente datato.
Mario Bortolotto, non certo tra gli estimatori di Maderna, ebbe a definirlo, soprattutto nel suo ultimo periodo, “velleitario”: il giudizio è impietoso e in qualche maniera smentito dai fatti, certo è che Satyricon, con tutto il suo baglio di citazioni – Gluck, Wagner, Offenbach, Puccini, per ricordarne alcune – somiglia molto ad un esercizio di stile.
Certo resta magnifica la parte dei nastri magnetici, ricchi dei “rumori” cari a Maderna, a contrappuntare lo Sprechgesang dei personaggi così come convince l’aleatorietà dei numeri di cui l’opera si compone, ma i segni del tempo ci sono tutti.
Francesco Bortolozzo – e con lui la scenografa Andrea Fiduccia, la costumista Marta Del Fabbro e il disegnatore di luci Fabio Barettin – firma una regia “educata” nella quale tutto resta un po’ sospeso, come a manifestare un certo qual timore nello scavare a fondo nel messaggio maderniano; l’azione resta sullo sfondo, così come il pavone e la torta non si mangiano e le bottiglie non vengono stappate, quasi timorosa nella narrazione.
Più incisiva risulta la direzione di Alessandro Cappelletto – la regia del suono, ben calibrata, è di Giovanni Sparano – che trova begli equilibri narrativi.
Nella compagnia di canto primeggiano Marcello Nardis, capace di dar voce e corpo ad un Trimalcione assai ben sfaccettato, e Manuela Custer che disegna una Fortunata ironicamente incisiva.
Assai bene fanno anche gli altri: Christopher Lemmings splendido Habinnas, Francesca Gerbasi inappuntabile Criside, William Corrò convincente Niceros Francesco Milanese ben centrato Eumolpus.
Bravi i mimi Estella Dvorak, Emanuele Frutti, Roberta Piazza, Giulio Venturini, Aaron Weber.
Successo più che cordiale.
Alessandro Cammarano
(25 gennaio 2023)
La locandina
Direttore | Alessandro Cappelletto |
Regia | Francesco Bortolozzo |
Scene | Andrea Fiduccia |
Costumi | Marta Del Fabbro |
Luci | Fabio Barettin |
Regia del suono | Giovanni Sparano |
Personaggi e interpreti: | |
Quartilla/Fortunata | Manuela Custer |
Criside | Francesca Gerbasi |
Trimalchio | Marcello Nardis |
Habinnas | Christopher Lemmings |
Niceros | William Corrò |
Eumolpus | Francesco Milanese |
Orchestra del Teatro La Fenice |
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