Venezia: romanticamente Bruckner

Abbandonati i fasti carnevaleschi e con un insolito S. Valentino in coincidenza con il Mercoledì delle Ceneri (che diciamocelo, toglie la maggior parte del divertimento alla festa commerciale per eccellenza), riemerge all’interno della programmazione della Fondazione Teatro La Fenice anche la stagione sinfonica che avevamo lasciato con il trittico dicembrino, l’inaugurazione mahleriana e la combo Chung-Concerto di Natale.

Alle spalle il periodo più turistico dell’anno ma ancora fra noi tutti i turisti che questa città riesce a contenere e un centinaio in più, ecco pletore di nuovo pubblico estero invadere il Teatro e sfidare le temperature invernali con rigorose t-shirt e cappellini da baseball, oltre al poco decoroso abbandono delle sedute anzi-tempo fra un movimento e l’altro. Desiderosi di vedere e fotografarsi fra gli ori, forse si aspettavano un intrattenimento musicale che alla Quarta sinfonia di Bruckner, per quanto la più famosa ed eseguita, forse risulta una richiesta troppo ardita, considerato che il compositore, dopo averci provato con alcune versioni successivi, è definitivamente morto oltre cento anni fa.

Anche da vivo, comunque, il buon Anton (una informalità che chi scrive dà per simpatia, nel senso di ‘con affetto’, e non di mancanza di rispetto) avrebbe comunque potuto farci ben poco, sia per l’intrattenimento sia per la capacità di attenzione ormai ridotta ai minimi del presente pubblico.

Non si offenderà Bruckner se possiamo riassumere la sua cifra compositiva dicendo che non spicca nel panorama compositivo per la sua capacità sintetica. Le sue sinfonie sono magniloquenti e la loro struttura, messa ben in vista dal punto di vista auditivo, viene replicata, iterata e reiterata, ripetuta, riproposta etc. (ci siamo capiti). E al contrario dei suoi contemporanei, non fornisce ai posteri neanche elementi di differenziazione tali da poter giocare con le parti, permettendo, ora ad una sezione ora ad un’altra, qualche gioco di rilievo.

Nonostante la sua storia, costellata di fallimenti e ripartenze, di consigli di abbandonare la musica per sempre e solo alla fine il riscatto pubblico, non sfigurerebbe nella migliore tradizione degli uomini ‘self-made’, la sua produzione non è ancora stata protagonista di una vera e propria Renaissance. Le esecuzioni delle sue sinfonie, dunque, vivono sul filo fra il rispetto della partitura e l’interpretazione personale, producendo contrapposti risultati esecutivi.

Per festeggiare il 200esimo anniversario dalla nascita, il Teatro La Fenice ha pensato di proporre a distanza di pochi giorni, due appuntamenti sinfonici che probabilmente rispecchieranno questa dicotomia e permetteranno questo scontro generazionale di bacchette.

Dico probabilmente perché possiamo sicuramente parlare del primo di essi. Il ritorno sul podio del direttore tedesco Hartmut Haenchen, specialista del repertorio tedesco romantico e post-romantico, porta all’esecuzione della Quarta sinfonia una visione di tradizione, corretta dal punto di vista esecutivo ma non propensa a nuove e particolareggiate interpretazioni.

Molto agio agli ottoni, strategicamente messi a centro palco, a sovrastare, non solo geograficamente, le fila dei fiati, ampi cenni agli archi nelle parti più melodiche e una esecuzione, senza fronzoli, dal primo al sessantesimo minuto di sinfonia.

Applausi convinti ma non entusiasti a fine esecuzione.

Restiamo, e restate, in attesa di sapere la visione del giovane Alpesh Chauhan che la prossima settimana si cimenterà con l’Ottava Sinfonia.

Carlo Emilio Tortarolo
(17 febbraio 2024)

La locandina

Direttore Hartmut Haenchen
Orchestra del Teatro La Fenice
Programma:
Anton Bruckner
Sinfonia n.4 in mi bemolle maggiore, ‘Romantica’

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