Vicenza: la Parola sinfonica di Mozart

A proposito delle ultime tre Sinfonie di Mozart, la vera “anomalia” non è data dalla rapidità nella composizione (rapidità presunta, perché sappiamo le date in cui Mozart le ha inserite nel catalogo delle sue opere – fine giugno, fine luglio e 10 agosto 1788 – ma non sappiamo quando aveva iniziato a lavorarci), ma dalla mancanza di documenti intorno ad esse. Caso singolare per un grafomane della levatura del salisburghese, che però quell’estate se scriveva qualcosa che non fosse musica era per chiedere prestiti al confratello massone Michael Puchberg, con una tale accorata insistenza che non si può definirla altrimenti che penosa.

Così, la prodigiosa ultima (e molto articolata) parola mozartiana nel genere sinfonico rimane – per così dire – un effetto senza causa, almeno apparente. Da ciò è derivata la tesi – peraltro tipicamente romantica – secondo cui queste composizioni sarebbero nate per un impulso creativo astratto, solo interiore. Tesi che ha trovato consensi proprio perché finora è stato impossibile trovare il “segno” in grado di chiarire che tutto si può far rientrare – come sarebbe assai più naturale – nelle consuetudini della vita musicale alla fine del Settecento. Ad esempio, una commissione molto importante arrivata all’ultimo momento, o un’occasione esecutiva particolare.

Di fatto, pare che l’unica volta che – vivente l’autore – almeno una di queste grandiose partiture è stata proposta a Vienna sia stato in occasione di due “accademie” al Burgtheater alla metà di aprile del 1791, sotto la bacchetta di Antonio Salieri. Per quell’occasione, Mozart aggiunse all’organico della Sinfonia in Sol minore K. 550 – quella fu eseguita – due clarinetti, non previsti nello strumentale della stesura iniziale, risalente a quasi quasi tre anni prima.

Un direttore d’orchestra importante come Nikolaus Harnoncourt (1929-2016) verso la fine della sua carriera teorizzava (basandosi specialmente su ricorsi tematici e considerazioni formali) che le tre composizioni fossero da considerare come le parti di una sorta di unico “Oratorio strumentale”, e per questo ne aveva sostenuto e realizzato (pure in disco) l’esecuzione unitaria, senza pause. Idea accolta anche da Daniel Harding, protagonista proprio nel 2016 di una tournée con la Mahler Chamber Orchestra (giunta anche al Teatro Comunale di Vicenza) in cui almeno K. 543 e K. 550 venivano suonate in continuità.

Senza arrivare a questo punto, è innegabile che l’esecuzione delle tre Sinfonie nella stessa serata – e sia pure con le abituali pause fra l’una e l’altra – consenta di cogliere in pieno l’eccezionalità (nel senso primo del termine: è un’eccezione) di questa musica, sia nel vasto catalogo mozartiano che nel genere sinfonico alla fine del penultimo decennio del Settecento, quando brillava la stella di Haydn. Solo dall’immediato raffronto si coglie come questi capolavori costituiscano un “unicum” senza precedenti e in realtà anche senza conseguenti. Un vasto e composito affresco nel quale – partendo dalla forma canonica in quattro movimenti – il linguaggio musicale della Sinfonia compie un percorso che da un lato suggella e sublima l’esperienza haydniana nel dialogo strumentale e nella mobile duttilità comunicativa delle parti (K. 543), dall’altro mette a fuoco la potente soggettività creativa dell’autore in una composizione dal forte impatto drammatico (K. 550), per la quale Mozart adotta la rara (nel suo catalogo) tonalità di Sol minore. La stessa peraltro utilizzata proprio in una Sinfonia giovanile premonitrice di questi climi espressivi, K. 183, scritta 15 anni prima a Salisburgo (ottobre 1773).

In questa trama seducente, l’ultima Sinfonia, K. 551, assume il carattere di una sorta di sintesi dialettica, nella quale il rapporto fra i colori strumentali e le modulazioni armoniche (a partire dal “semplice” Do maggiore) è innervato da una inedita complessità contrappuntistica nella scrittura. In questo capolavoro, davvero, Mozart appare straordinariamente originale: non per futuribili caratteristiche di stile, ma per l’affermazione di una dimensione del linguaggio sinfonico di straordinaria e personalissima forza comunicativa. Alla fine della sua esperienza in questo campo, insomma, accade in lui quello che in Beethoven accadrà all’inizio, fra la Seconda e l’Eroica: l’apparizione di un mondo musicale nuovo, che scaturisce però dalla forma di tradizione.

La trilogia mozartiana costituiva il concerto inaugurale della stagione dell’Orchestra del Teatro Olimpico. Le stagioni passano, gli organici si rinnovano com’è giusto che sia in un progetto dedicato ai giovani, ma questa formazione – musicalmente affidata alla supervisione di Alexander Lonquich, che in questa occasione è salito sul podio – non cessa di esprimersi con l’efficacia che deriva dalla qualità strumentale e dalla consapevolezza interpretativa maturata negli stage di preparazione di ogni singolo concerto. Sotto la guida di uno specialista mozartiano come il pianista-direttore di Treviri, la serata si è configurata come una sorta di viaggio durante il quale i paesaggi espressivi mutavano, ma il pensiero interpretativo è rimasto quello di un saldo approccio classicistico, fatto di nitidezza di fraseggio, vivacità di tempi, abbondanza e varietà di sfumature dinamiche. E specialmente di chiarezza nella tavolozza disegnata dal sofisticato sovrapporsi delle linee timbriche.

Così, gli archi erano duttili, pronti ad articolare la chiave espressiva del fraseggio con il colore e la sottigliezza dell’arcata (e pensiamo in particolare a certi passaggi nel primo e nell’ultimo movimento di K. 550); i legni sono sempre stati in grado di sottolineare la splendente autonomia del pensiero timbrico mozartiano, che diventa struttura nel rapporto con l’insieme (con particolare evidenza un po’ in tutta la cosiddetta Jupiter, K. 551); gli ottoni sono risultati brillanti e precisi, mai propensi però alla semplice esteriorità della loro voce. Insieme coeso, mobile, pronto al gesto del direttore.

Il pubblico folto – ma non da tutto esaurito – presente al Teatro Comunale di Vicenza ha mostrato di apprezzare senza riserve, chiamando alla fine Lonquich più volte alla ribalta fino al bis del Minuetto della Sinfonia K. 551: una pagina nella quale il nome richiama leggiadrie settecentesche, ma l’invenzione parla la lingua della musica assoluta.

Cesare Galla
(6 novembre 2023)

La locandina

Direttore Alexander Lonquich
Orchestra del Teatro Olimpico
Programma:
Wolfgang Amadeus Mozart
Sinfonia n. 39 in Mi bemolle maggiore KV. 543
Sinfonia n. 40 in Sol minore KV 550
Sinfonia n. 41 in Do maggiore KV 551 “Jupiter”

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