Vicenza: le Goldberg tra cuore e raziocinio

L’attacco è sommesso, quasi esitante. L’Aria è semplice, interiorizzata: si dipana con misura regolare, delinea il suo tema con semplicità e i prescritti “da capo” ne sottolineano l’essenzialità, in un’atmosfera quasi sospesa. Difficile non considerarla notturna, conoscendo l’aneddotica che da quasi tre secoli accompagna le Variazioni Goldberg, secondo la quale furono scritte da Bach per offrire sollievo all’insonnia dell’ambasciatore di Russia alla corte di Sassonia, a cui sarebbero state destinate ma non furono dedicate. Quest’ultimo dettaglio è certo (le Variazioni furono pubblicate a Norimberga nel 1741 e la stampa non reca traccia di dedica), le altre storie sono molto probabilmente apocrife, compresa quella secondo cui il primo esecutore sarebbe stato uno ragazzo allievo dello stesso Bach, Johann Gottlieb Goldberg. Nel cui nome, peraltro, questo capolavoro è stato comunque tramandato alla storia.

In realtà, la melodia iniziale a Bach interessa assai poco. E l’ascoltatore se ne rende conto rapidamente. Le trenta Variazioni lavorano infatti essenzialmente sulla linea del basso e sono costruite a gruppi di tre, ciascuno dei quali è concluso da un Canone. Nell’insieme, l’effetto è quello di una sorta di viaggio interstellare nel suono, un’esplorazione della tastiera che svela continuamente mondi sconosciuti, tanto più stupefacenti in quanto la tonalità è per nove decimi sempre la stessa, l’iniziale Sol Maggiore. Vero è anche – però – che le tre volte in cui il musicista passa al Sol minore hanno l’effetto – per restare nei paragoni fantascientifici – di aprire all’improvviso una sorta di varco spazio-temporale che porta di colpo in una realtà parallela e insospettata. E questo ha il suo culmine nel lancinante Adagio che costituisce la Variazione 25, il capolavoro dentro alle Goldberg, ammesso che abbia senso cercarne uno. La perla nera, secondo l’immagine della cembalista del primo Novecento Wanda Landowska; un colpo da maestro della psicologia, come lo definiva Glenn Gould.

La virata emotiva ed espressiva è così netta che il cosiddetto “Quodlibet”, cioè la Variazione numero 30, il “pezzo libero” conclusivo prima del ritorno all’Aria inziale, giunge all’orecchio di qualsiasi ascoltatore come il gesto di scrollarsi di dosso la desolata rassegnazione che quel brano aveva creato. Non per caso, Bach fa ricorso a un paio di (probabilmente) sguaiate canzoni popolari, note abbastanza nei paesi tedeschi perché una settantina di anni prima di una di esse avesse fatto un uso almeno parziale un compositore di nome Ignaz Biber.

Per quanto scritte espressamente per clavicembalo a due manuali (cioè con due tastiere), dal 1955 le Variazioni Goldberg sono territorio pianistico per eccellenza. Risale a quell’anno, infatti, la prima incisione discografica da parte di un Gould appena ventitreenne. Si trattò di uno di quegli eventi artistici che oggi a ragione possiamo dire epocali: c’è un prima e un dopo.

Al dopo appartiene naturalmente il magistero interpretativo di Pietro De Maria, che fra i pianisti italiani della generazione di mezzo (è nato nel 1967) è sicuramente uno dei più interessanti. La ha confermato presentandosi nel Ridotto del Teatro Comunale di Vicenza, nell’ambito della stagione della Società del Quartetto. Le sue Goldberg – consegnate sette anni fa anche a un Cd pubblicato dalla Decca – sono una piccola meraviglia di profondità, cura del suono, nitidezza ed efficacia del tocco, rigore nel fraseggio. Senza cercare inutili effetti cembalistici, De Maria realizza piani dinamici assai mobili, che escludono effetti coloristici stilisticamente inappropriati ma offrono comunque una gamma di sfumature tutta da ascoltare. E centrano perfettamente l’obiettivo implicito di ogni esecuzione pianistica di questo capolavoro: svelarne la complessità senza trucchi espressivi contrari alla logica stilistica, solo in nome della fedeltà alla scrittura bachiana, all’inesausto lavoro del compositore sulle possibilità della tastiera come tramite del mondo dei suoni. E basterà citare la dolente misura con cui la citata Variazione n. 25 si è affermata come il cuore espressivo della raccolta per sottolineare quanto De Maria abbia offerto un’esecuzione delle Goldberg in cui cuore e raziocinio si sono confrontati in fascinoso equilibrio, a beneficio di un pensiero creativo con pochi eguali nella storia della musica occidentale.

Pubblico non proprio da tutto esaurito, prima avvinto e alla fine grato con lunghi applausi e ripetute chiamate a proscenio del pianista veneziano. Che si è congedato con un Largo vivaldiano trascritto per la tastiera da uno dei suoi maggiori ammiratori in ogni epoca. Sempre lui, Johann Sebastian Bach.

Cesare Galla
(2 aprile 2024)

La locandina

Pianoforte Pietro De Maria
Programma:
Johann Sebastian Bach
Variazioni Goldberg BWV 988

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