Venezia: tra favola e realtà il Pinocchio di Valtinoni

Almeno in questo caso, i numeri non mentono. Il Pinocchio di Pierangelo Valtinoni su libretto di Paolo Madron da oltre un decennio è stabilmente fra i “greatest hits” nel panorama operistico internazionale.

Quasi certamente è al primo posto per numero di rappresentazioni per quanto riguarda la musica contemporanea, ma in generale il suo piazzamento si può considerare di tutto rispetto anche nel confronto con il repertorio “storico”. Per una volta, insomma, l’espressione “successo planetario” non è esagerata: si parla infatti di rappresentazioni ormai numerate nell’ordine delle centinaia, non solo in numerosi teatri di grande importanza in Germania (Berlino, Amburgo, Monaco e Lipsia) e in numerose “primarie piazze” italiane ed europee. Ma anche di repliche che toccano Mosca e Hong Kong, la Corea del Sud e Lima nel Perù, per non dire di Tulsa, laggiù nell’Oklahoma.

Ora tocca alla Fenice, che al Malibran propone una nuova produzione di questa “fiaba musicale”, con regia firmata da Gianmaria Aliverta. Il calendario la dice lunga su quanto l’appena confermato sovrintendente Fortunato Ortombina punti su questo titolo: dopo la prima la sera di Santa Lucia, quattro repliche prima di Natale e altre cinque a marzo, con un altro direttore e interpreti diversi nei ruoli del burattino e di Geppetto.

Certo, Pinocchio è una star a prescindere, e la sua universale popolarità aiuta, dopo che il cinema, il musical, il teatro in generale e quello musicale in particolare ne hanno fatto un soggetto frequentatissimo.

Ma questa vera e propria inflazione, a ben vedere, poteva essere anche un ostacolo: l’ennesimo Pinocchio. Invece, proprio l’evoluzione di quello che era nato nell’ormai lontano 2001 come ridotto progetto pedagogico-didattico, destinato a essere suonato e cantato in larga parte da bambini e ragazzi (così debuttò al teatro Olimpico di Vicenza nella primavera del 2001) ha finito per delineare un percorso che non riguarda solo la nicchia più o meno capiente dei lavori destinati a un pubblico infantile.

Il Pinocchio di Valtinoni che si è diffuso a macchia d’olio è infatti un parente piuttosto lontano di quello iniziale. Nel 2006, su impulso della Komische Oper di Berlino, si è fatto grande (esattamente come il burattino destinato a diventare un giudizioso bambino), e a questo punto – date le premesse e gli sviluppi – si può ben attribuirgli un carattere di esemplarità che non riguarda solo il percorso personale del compositore, ma assume una dimensione più generale nel discorso sull’opera contemporanea.

Chi conosce Valtinoni sa bene che la polemica non gli appartiene. Sulla vessatissima questione dell’afasia o del vero e proprio “autismo” nel quale per lungo tempo si è auto-confinata la musica dei nostri tempi, l’autore vicentino preferisce sorvolare, senza rinunciare però ad affermare con serena precisione la linea guida del suo pensiero estetico: la musica deve farsi accettare e deve farsi capire, non può essere un groviglio di rovi che tiene a distanza l’ascoltatore.

Lasciate rispettosamente da parte le avanguardie, quindi, ben poco di quanto il Novecento storico abbia inventato o sperimentato rimane escluso nella partitura di Pinocchio dalla sua personale e colta rielaborazione, in un gioco mimetico del tutto funzionale al divertimento dell’invenzione e all’esigenza della schiettezza comunicativa. Il ritmo domina in declinazioni anche esotiche, jazzistiche o latinoamericane, o caraibiche; i colori in orchestra sono multiformi, vivaci; rilevante lo spazio delle percussioni.

Il rapporto della musica con i versi rimati di Paolo Madron potrebbe essere indicato come caso di scuola per l’esemplare ricchezza ed efficacia dei reciproci influssi. Del resto, il libretto è a sua volta un piccolo capolavoro di semplificazione sofisticata, che non banalizza mai e possiede il dono dell’ironia (la stessa che è il sottotesto onnipresente nelle moderne interpretazioni di Collodi). Questo significa allo stesso tempo distacco e partecipazione, emozione e sberleffo, irruzione anacronistica di elementi della modernità e rispetto del punto di partenza.

Gianmaria Aliverta, con la scenografa Alessia Colosso e la costumista Sara Marcucci (light designer Elisabetta Campanelli) costruisce uno spettacolo diligente, sorridente e non privo di eleganza, anche se talvolta la fantasia risulta in qualche modo frenata, filtrata.

È l’effetto di un apparato scenografico anche ingegnoso ma alla fine un po’ ripetitivo: un piano superiore nel quale c’è la realtà (una classe di scuola con i bambini che hanno per maestra la Fatina dai capelli turchini) e uno inferiore (cioè il piano scenico) nel quale ci si trova di volta in volta, con poche mutazioni, nel teatrino di Mangiafuoco, a casa della Fatina, al circo, nel ventre del pescecane…

L’elemento più accattivante è dato dai costumi, che cronologicamente rimandano alla metà del Novecento ma si sbizzarriscono con belle soluzioni nel costruire l’immagine del Gatto e della Volpe, come pure dei dottori Corvo e Gufo, dei conigli becchini, dei piccioni e dei ciuchini, della lumaca e insomma di tutto il fantastico bestiario che popola il romanzo e che l’opera “racconta” puntualmente.

Nell’insieme, comunque, il racconto scorre spigliato, forse un po’ frammentato nei passaggi fra le scene (il regista parla di “effetto Netflix”) e tutti quelli che si muovono in scena (ma specialmente i più piccoli) chiaramente si divertono da matti, compresi i ballerini sui movimenti coreografici di Silvia Giordano.

Musicalmente, edizione di nitido risalto. Dal podio, Enrico Calesso mette in luce sia la seducente vena melodica di Valtinoni sia la brillantezza delle molteplici soluzioni ritmiche delineate dal compositore vicentino, ottenendo ottimi risultati dall’orchestra della Fenice.

Equilibrata e incisiva la compagnia di canto: Silvia Frigato è un Pinocchio mariuolo come si conviene, molto duttile nell’espressione, spigliata ed efficace; Omar Montanari disegna un Geppetto tutto cuore dal bel timbro pieno e brunito; Giovanna Donadini regala alla Fata dai capelli turchini l’eleganza e la fermezza che servono; Rocco Cavalluzzi è un ironico Mangiafuoco.

Bene anche Chiara Brunello e Christian Collia nel doppio ruolo del Gatto e della Volpe e dei dottori Corvo e Gufo, forse un po’ leggera Lara Lagni nei panni del ragazzaccio Lucignolo.

Più che bene le voci bianche dei Piccoli Cantori Veneziani istruiti da Diana D’Alessio. Successo pieno, con ripetuti applausi a scena aperta e ripetute chiamate alla fine per tutti i protagonisti dell’opera e per gli autori.

Cesare Galla
(13 dicembre 2019)

La locandina

Direttore Enrico Calesso
Regia Gianmaria Aliverta
Scene Alessia Colosso
Costumi Sara Marcucci
Light designer Elisabetta Campanelli
Movimenti coreografici Silvia Giordano
Personaggi e interpreti:
Pinocchio Silvia Frigato
Geppetto Omar Montanari
La fata Giovanna Donadini
Il gatto / Dottor Gufo Chiara Brunello
La volpe / Dottor Corvo Christian Collia
Mangiafuoco / L’oste Rocco Cavalluzzi
Lucignolo / Arlecchino Lara Lagni
Il tonno / La lumaca / Pulcinella Rosa Bove Piccoli Cantori Veneziani
Gendarmi, il grillo parlante, conigli,
coro di burattini, coro di bambini, coro di pesci
Orchestra del Teatro La Fenice
Piccoli Cantori Veneziani
Maestro del coro Diana D’Alessio

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