Verona: una Traviata Care cose da Parigi

Due monumentali scaloni curvi, che si riuniscono in una piattaforma a qualche metro di altezza e sui quali figuranti e cantanti salgono e scendono instancabilmente, encomiabili se non altro per la tenuta atletica. Davanti al mastodontico led wall che resterà il simbolo del molto particolare festival operistico del 2021in Arena, questa è la scenografia caratteristica del quarto spettacolo di stagione, La Traviata. L’allusione zeffirelliana (agevolata dal magazzino scenografie della Fondazione) appare evidente anche se non testuale: una citazione e un omaggio, visto che proprio due anni fa il regista fiorentino moriva a pochi giorni dal debutto della sua ultima Violetta, in scena proprio in Arena.

Ai piedi delle scalinate c’è lo spazio dell’azione: con pochi elementi aggiuntivi, di volta in volta il salotto peccaminoso di Flora, la casa di campagna della coppia Violetta-Alfredo solo momentaneamente felice, la sala da gioco dove la situazione precipita, la stanza dell’agonia della protagonista, con l’immancabile letto al centro e molte correnti, visto ci sono tende che svolazzano incessantemente. E chissà se tutta quest’aria fa bene a una poveraccia alla quale la tisi non accorda che poche ore.

Quanto alle immagini sul led wall, la cartolina di Parigi con torre Eiffel, che appare in costruzione, avanza l’epoca della vicenda di un mezzo secolo, ma non è davvero un problema. È certo che neanche il melomane più tradizionalista protesterà per lo spostamento. Prima, durante il Preludio, scorrono immagini di ritratti al femminile scelti dalla Galleria degli Uffizi. Qui il discorso cronologico si divarica fin troppo, da Botticelli a Boldini, dai Manieristi ai Macchiaioli. Al terz’atto, la sfilata di volti pittorici dell’arte europea si compone in una quadreria che avvolge il centro focale della scena, dove Violetta canta il suo addio alla vita. Al momento cruciale, le cornici dei quadri spariranno tutte: un simbolismo un po’ banale e un po’ d’effetto: interpretazione libera. Dal punto di vista tecnico, la novità rispetto agli spettacoli visti finora è che le immagini sul led wall quando devono cambiare non lo fanno con dissolvenze di vario tipo o sostituzioni brusche, ma con un movimento di scorrimento, come se quello che si vede fosse una scenografia “materiale” che viene sostituita a vista.

Dettagli che non cambiano la sostanza delle cose: questi spettacoli dell’Arena 2021sono anonimi non solo perché nessuno si assume il ruolo di colui che pensa come fare diventare un’opera autentico teatro per musica (si chiamano registi), ma perché offrono una rappresentazione neutra, solo un po’ mossa e moderatamente affollata di comparse (le regole anti-Covid restano condizionanti), come probabilmente si aspetta chi va ad assistere a uno spettacolo lirico nell’anfiteatro romano. Così, paradosso ma non troppo, anche i melomani che si battono contro qualsiasi accenno o sospetto di “modernità” nella regia d’opera si dichiarano soddisfatti sulle loro pagine Facebook di allestimenti come quelli areniani, che in linea teorica dovrebbero essere addirittura ai confini futuri della modernità, impostati come sono sul massiccio utilizzo di dispositivi tecnologici d’avanguardia.

Nel caso di questa Traviata, c’è un taglio generico-generalista, nel quale non lascia traccia degna di nota neanche la scelta di collocare la vicenda mentre sta sbocciando la Belle Époque, scelta probabilmente compiuta per giustificare lo stile di costumi e arredi e per agevolare il lavoro dei tecnici/creativi di D-Wok, che così si sono potuti concentrare su immagini ben note. Con una predilezione nel primo atto per mongolfiere che salgono e scendono nel cielo di Parigi. Per il resto lo spettacolo scorre senza scossoni e senza sorprese. E del resto, si parla dell’opera più rappresentata al mondo, non c’è niente da spiegare a nessuno.

La tranquilla e insipida routine che si spande sullo spettacolo non ha tuttavia riguardato le scelte musicali. Se si legge la locandina sul numero unico del festival e la si confronta con quanto riporta il sito Internet, si constata che per il ruolo di Violetta, la sovrintendente Cecilia Gasdia ha dovuto rivoluzionare in tempi strettissimi il cast originario. Le annunciate Ailyn Perez e Lisette Oropesa non canteranno per niente, e per la serata inaugurale non è arrivato Željko Lučić per dare vita a Giorgio Germont. I sostituti però erano di chiara fama, al netto del fatto che sono stati “paracadutati” più o meno all’ultimo momento nello spettacolo, con pochissime prove. Irina Lungu è una Violetta di ormai lunga esperienza (lo era già stata ancora nel 2009 al Filarmonico, e vanta numerose presenze in anfiteatro, specialmente – ma non solo – come Micaela in Carmen) e lo si è notato in una serata non sempre omogenea tecnicamente, con un primo atto poco incisivo e talvolta impreciso, ma musicalmente ragguardevole per una linea di canto sempre più convincente man mano che la temperatura drammatica del ruolo verdiano andava crescendo. Notevoli sia il duetto con Germont padre nel secondo atto, sia, soprattutto, le celeberrime pagine solistiche e il duetto con Alfredo nel terzo atto, luogo di una drammatizzazione interiore riflesso nella forza comunicativa del timbro e nelle sfumature del fraseggio.

Da questo punto di vista, un magistrale Giorgio Germont è stato Luca Salsi, che si tiene a debita distanza da tutte le cattive abitudini esecutive legate a questo personaggio e libera la pura forza del canto condotto sulla parola, con le sfumature e i dettagli di una conversazione franta e sorprendente come quella che conduce con la donna amata dal figlio. Molto convincente anche Francesco Meli, un Alfredo trepido e quasi ingenuo, dal colore seducente e dalla brillantezza piena in una cantabilità di sontuosa pienezza verdiana. Il cast era completato da Yao Bohui (Annina), Nicolo Ceriani (Douphol), Natale De Carolis (Obigny), Victoria Pitts (Flora), Carlo Bosi (Gastone), Romando Dal Zovo (Grenvil), Max René Cosotti (Giuseppe) e Stefano Rinaldi Miliani (il domestico): tutti ben inseriti e vocalmente misurati.

Dirigeva Francesco Ivan Ciampa, che ha staccato tempi molto compassati nel primo atto, durante il quale non poca fatica ha fatto per unire efficacemente all’esecuzione il coro istruito Vito Lombardi, come sempre quest’anno relegato sulle gradinate al lato sinistro della scena. Più sciolto l’approccio esecutivo negli altri due atti: ne è sortita una Traviata di fraseggio efficace, nella direzione di una lettura commossa ma lontana dalla retorica fine a sé stessa, con l’orchestra areniana in positiva evidenza.

Pubblico non da tutto esaurito, alla fine prodigo di consensi specialmente per Lungu, Meli e Salsi.  

Cesare Galla
(10 luglio 2021)

La locandina

Direttore Francesco Ivan Ciampa
Personaggi e interpreti:
Flora Bervoix Victoria Pitts
Annina Yao Bohui
Alfredo Germont Francesco Meli
Giorgio Germont Luca Salsi
Gastone Carlo Bosi
Barone Douphol Nicolò Ceriani
Marchese d’Obigny Natale De Carolis
Dottor Grenvil Romano Dal Zovo
Giuseppe Max René Cosotti
Domestico/Commissionario Stefano Rinaldi Miliani
Prima Ballerina Eleana Andreoudi
Orchestra e coro dell’Arena diVerona
Maestro del coro Vito Lombardi

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