Boris Petrushansky e una domanda da 1 milione di dollari

Sarà il celebre pianista russo Boris Petrushansky, ultimo allievo del leggendario Heinrich Neuhaus, alfiere della scuola pianistica russa, il protagonista dell’atteso concerto di venerdì 8 settembre per il festival internazionale di musica da camera “Incontri Asolani”, promosso da Asolo Musica – Veneto Musica, che quest’anno festeggia i 150 anni dalla nascita di Sergej Rachmaninov. Il programma del recital pianistico sarà aperto dall’esecuzione di due preludi, due Études-Tableaux e la Sonata n. 2 in si bemolle minore op. 36 di Sergej Rachmaninov, e culminerà con l’esecuzione dei Quadri di un’esposizione di Modest Musorgskij.

Boris Petrushansky è tra i pianisti più acclamati al mondo, una carriera ultra-cinquantennale che lo ha portato ad esibirsi con le principali orchestre e nei palchi più importanti al mondo. Abbiamo avuto il piacere di raggiungerlo per un’intervista le cui risposte, delicate e rispettose, raccontano il suo enorme amore per la musica e l’insegnamento.

  • Il programma del recital pianistico che terrà per Incontri Asolani è incentrato sul repertorio russo di Sergej Rachmaninov e Modest Musorgskij. Rachmaninov era molto restio nel confidare quali fossero gli spunti extra musicali delle sue composizioni (gli Études-Tableaux sono tra le poche pagine in cui rintracciare qualche riferimento), mentre di Musorgskij suonerà Quadri di un’esposizione in cui la fonte d’ispirazione è espressamente dichiarata. Lei come valuta l’importanza dell’ispirazione nella musica? Ritiene che abbia senso cercare e identificare l’origine dell’ispirazione al di fuori del contesto musicale, o crede che la musica sia un linguaggio assoluto che sia più efficace analizzare e comprendere rimanendo all’interno del suo linguaggio intrinseco?

Provengo dalla scuola neuhaussiana e per me il lato immaginifico è sempre stato molto importante e confortante. Alle volte cerco il mio sistema immaginifico nelle opere che apparentemente sembrano prive di qualsiasi fondamento o qualsiasi indirizzo pittorico e letterario. Diversamente sarebbe difficile. Anche Stravinskij nelle sue musiche più astratte cercava qualcosa che poteva essere legato ad una immaginazione più concerta. Lo stesso Rachmaninov ha dato qualche suggerimento a Respighi quando orchestrò gli Études-Tableaux, qualche immagine concreta di riferimento: per esempio il secondo dell’opera 39 che indicò come “Il mare ed i gabbiani”. Penso anche ai Preludi di Debussy: ognuno alla fine ha un titolo, un’indicazione. Credo che questo possa dare un conforto all’ascoltatore o al pianista; poi l’ascoltatore può fare le sue illazioni in merito, ci sono riferimenti stilistici che rimandano ad un determinato sistema immaginifico. Io cerco di essere sempre abbastanza esplicito e chiaro, ma poi non costringo nessuno a pensarla in quel modo. La musica è troppo ampia e nonostante certi riferimenti molto precisi stilisticamente parlando, spero che il pubblico possa cogliere il messaggio e poi elaborarlo nella sua mente e nell’anima.

  • Sergej Rachmaninov riprendendo un vecchio proverbio russo diceva che aveva paura di aver cacciato tre lepri e non averne uccisa nemmeno una. Si riferiva alla paura di non essere all’altezza di tutte e tre le professioni a cui si era dedicato, ovvero pianista concertista, direttore d’orchestra e compositore. Lei si è mai trovato ad un punto della sua vita professionale e artistica in cui sentiva di non riuscire a dedicare abbastanza spazio ed energie ad un particolare risvolto della carriera musicale?

Rachmaninov ha rielaborato questo proverbio che parlava di due lepri e una pallottola: prendere due lepri con un solo colpo. Ma non vorrei entrare nelle viscere delle idee di Rachmaninov e di quando è stata pronunciata questa sua frase, probabilmente quando si trovava in America, perché è un lato troppo intimo. La mia personale attività fino a 30 anni fa era dedicata esclusivamente all’esecuzione concertistica, poi una volta arrivato in Italia mi sono dedicato molto all’insegnamento. Insegno da 32 anni in Accademia, ma l’attività pian piano è cresciuta molto a partire da fine anni Novanta. Però sono sempre riuscito a conciliarla con l’attività concertistica e discografica, prediligendo quando potevo la vita concertistica. Anche se ormai negli ultimi anni per via di fattori vari ha avuto un calo notevole un po’ ovunque, ma cerco sempre di tenere alto il livello di studi, portare nuovi programmi e non fermarmi mai, finché morte non ci separi!

  • Parlando di insegnamento mi viene in mente l’affermazione di Muzio Clementi nella celebre raccolta “Gradus ad Parnassus”: «L’arte s’insegna con l’esempio». Qual è la sua filosofia sull’insegnamento dopo tanti anni di esperienza? Cosa ritiene sia davvero possibile insegnare? Ha consigli o suggerimenti per coloro che desiderano intraprendere questa carriera? E anche sei lei suona il pianoforte durante le sue lezioni.

Sì, certamente suono. Si insegna con l’esempio, sì; da un lato è vero, ma dall’altro no. È una domanda da un milione di dollari perché è una lama a doppio taglio. Innanzitutto un insegnante deve essere molto convincete dimostrando e non è semplice perché ci sono passaggi funambolici e difficilissimi che a prima vista non riesci a far vedere come dovrebbero essere. Poi devi sempre lasciare un margine di libertà agli allievi: con la loro anima e la loro testa devono progredire allo scopo di raggiungere il risultato ottimale. Puoi incentivare, puoi entrare nelle viscere di un brano tentando e cercando di far vedere come potrebbe (non come dovrebbe) essere; coinvolgendo con il tuo entusiasmo, dedizione, temperamento, con la tua immaginazione e la tua intelligenza (se c’è!). Bisogna illuminare un po’ la strada. Mi ha molto colpito un esempio che ho ascoltato tempo fa ad un convengo dedicato alla didattica: ci sono due tipi di guida turistica, una che sta davanti ad un gruppo di turisti e spiega un’opera d’arte e quindi tutti guardano la guida che racconta l’opera d’arte e poi guardano l’opera; poi c’è un altro tipo di guida che sta dietro al gruppo e suggerisce, tra il gruppo di turisti e l’opera non c’è nessuno. Credo che la guida delle volte deve cambiare il posto: in alcuni momenti deve stare davanti e in altri dietro.

  • È sempre molto interessante e prezioso capire quali vie percorrono i grandi pianisti e musicisti, come riescono ad immergersi in un così alto livello di interiorizzazione. Come affronta l’interpretazione di un autore o di un repertorio specifico? Ci sono tecniche particolari o qualche segreto che sarebbe disposto a condividere?

(Sorride) È un processo troppo intimo per condividerlo a parole. Un suggerimento potrebbe essere iniziare a scavare da due lati. Prima di tutto leggere molto bene e con grande umiltà il testo non tralasciando nulla: tutte le peculiarità devono essere prese in considerazione. Cercare di capire che cosa ha spinto il compositore a scrivere in un determinato modo e non in un altro che magari avrebbe potuto essere una via più facile. Cercare di entrare nel processo del compositore. Rimarrà sempre un margine di mistero, ma bisogna cercare di avvicinarsi stando alle spalle del compositore, sbirciando la partitura da dietro la sua schiena e cercare di capire cosa lo ha portato a scrivere così; questo è già un primo passo. L’altra cosa importante è conoscere il contesto culturale, estetico e storico di un capolavoro musicale: cosa succedeva in quel tempo, conoscere la letteratura, la filosofia, la storia, il teatro e anche il cinema parlando di arte contemporanea. Non sempre sono elementi collegabili al brano musicale, ma possono aver influenzato in qualche modo la composizione. Entrare nella psicologia dell’autore, cercare i lati del suo animo che potrebbero cominciare a vibrare insieme alle tue corde se ci sono, se non ci sono meglio lasciar perdere quel pezzo perché vuol dire che non si è ancora compatibili.

Angela Forin

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