Vicenza: la Fabbrica di Luigi Nono e il passato che non passa

Sessant’anni dopo, La fabbrica illuminata di Luigi Nono appare da un lato come un reperto archeologico dell’avanguardia radicale che ha lungamente dominato il mondo musicale dopo la Seconda Guerra Mondiale, e dall’altro come una singolare “scheggia” di cronaca. Storicizzata quanto si vuole, se la si vede dal punto di vista dell’impegno militante del compositore e dell’autore del testo, Giuliano Scabia, sulla condizione operaia nelle fabbriche; ma attuale in maniera che non è esagerato definire scioccante se la si vede nella prospettiva di almeno una delle grandi questioni affrontate in questa composizione: le morti sul lavoro. E basterà citare al proposito le parole di Scabia alla fine della prima sezione del lavoro: “esposizione operaia / a cadute / a luci abbaglianti / a corrente ad alta tensione / quanti MINUTI-UOMO per morire?”. Del resto, l’inizio non lasciava adito a dubbi: “fabbrica dei morti la chiamavano”

Alla categoria del passato che non passa appartengono anche le vicende della prima esecuzione di questa composizione: la Rai l’aveva commissionata per il concerto inaugurale della sedicesima edizione del Premio Italia, in programma a Genova nel 1964, e Nono l’aveva realizzata in parte sostanziale registrando su nastro magnetico, con alcune missioni “sul campo” insieme a Scabia e al tecnico dello Studio di Fonologia della Rai di Milano, Marino Zuccheri, i rumori e le voci dell’acciaieria Italsider di Genova-Cornigliano; la partitura era stata quindi dedicata agli operai che colà lavoravano. La dirigenza Rai, però, censurò la composizione, come si legge nell’introduzione dell’edizione Ricordi, “a causa dei testi fortemente politicizzati e ritenuti offensivi nei confronti del Governo”. La prima si svolse quindi a Venezia nel settembre di quell’anno, nell’ambito del Festival Internazionale di Musica Contemporanea della Biennale.

Insieme con l’opera Intolleranza ’60, che la precede di tre anni, La fabbrica illuminata segna dunque l’inizio della fase più spiccatamente politica e militante, centrale della produzione di Nono per un altro decennio e oltre, fino all’opera Al gran sole carico di amore, che è della metà degli Anni Settanta, e anche oltre. Appare significativo il fatto che i materiali musicali e i suoni registrati su nastro magnetico per La fabbrica fossero stati inizialmente pensati da Nono come studio-frammento per un’opera progettata e mai realizzata dal titolo Un diario italiano. Questo può spiegare la forte connotazione drammatica, anzi in senso proprio drammaturgica, che la particolare configurazione sonora di questo lavoro lungo 17 minuti viene assumendo. In esso, infatti, l’unica presenza “dal vivo” è quella di una voce di soprano, che percorre il testo di Scabia sia autonomamente che in rapporto con il suono prodotto dal nastro magnetico che con un’altra voce e con il coro, entrambi pure registrati. La registrazione è a quattro piste, e questo significa che sono quattro le fonti distinte da cui il suono registrato proviene: per gli ascoltatori una condizione che oggi si definirebbe immersiva e che nel 1964 era una sperimentazione che la dice lunga sulla creatività del compositore veneziano e sulla sua originalità.

Archiviata l’esperienza di Darmstadt e abbracciata la tecnologica elettro-acustica, la militanza comunista non impedisce a Luigi Nono di esprimere come carattere distintivo un lirismo affascinante, ovvero una potenza espressiva che va oltre la disarticolazione dei discorsi musicali e riesce a renderli fortemente, emotivamente significativi. Una tendenza già affermata negli Anni Cinquanta, che per molti aspetti aveva determinato l’allontanamento progressivo del musicista veneziano dai rigori astratti fino all’aridità imposti dallo strutturalismo integrale propugnato nell’ambito dei corsi estivi tedeschi che riunivano tutti i più importanti protagonisti della Nuova Musica.

Nella Fabbrica illuminata questo elemento è decisivo: lo si nota nella linea vocale del soprano, specialmente laddove si abbandona lo sprechgesang (cioè il “canto parlato” di ascendenza schoenberghiana) per una linea sinuosa, fortemente tragica per quasi tutta la composizione ma aperta alla speranza indicata nei versi conclusivi di Cesare Pavese: “passeranno i mattini / passeranno le angosce / non sarà così sempre /ritroverai qualcosa”. Ma è anche vero che una drammaticità di stampo implicitamente teatrale anima il rapporto fra i suoni registrati e quelli naturali, in una potente catena di dinamiche – dal pianissimo al fortissimo – che affermano una profonda adesione alla parola, oltre la sua reale intelligibilità, che rimane, come tipico in Nono, intermittente ma comunque rivelatoria.

Se si parla della Fabbrica illuminata è perché il centenario della nascita di Nono favorisce la ripresa del discorso su tante sue opere. In questo caso, si deve alla rassegna “Eventi al Monte” diretta da Filippo Furlan se questo lavoro è tornato a Vicenza a una quindicina di anni da una sua precedente apparizione. L’esecuzione si è tenuta nella Basilica Palladiana ed è stata inserita fra gli eventi collaterali della mostra “Pop/Beat – Italia 1960-1979. Liberi di sognare”. Scelta peraltro singolare, considerando che con Nono siamo agli antipodi dei movimenti artistici di cui si occupa la mostra vicentina. E basteranno alcune sue parole su questa sua composizione per chiarirlo: «Nessuna mimesis, nessun rispecchiamento. Nessuna arcadia industriale. Nessun naturalismo populista o popular». In ogni caso, il suono di Nono ha avuto sotto la grande volta medievale della Basilica uno spazio suggestivo e niente affatto disturbante o anomalo, utile anzi a sottolineare la complessa poesia che lo percorre e lo anima. E l’esecuzione è stata di assoluto rilievo. La regia del suono era affidata ad Alvise Vidolin, specialista fra i maggiori in Italia oltre che storico collaboratore del compositore veneziano, prodigo all’inizio di spiegazioni di grande chiarezza sulla storia e le caratteristiche di questa composizione; la voce era quella del giovane soprano Felicita Brusoni, splendidamente in sintonia con la scrittura di Nono per colore, mobilità espressiva e forza comunicativa. Un gruppo tutt’altro che sparuto di appassionati della musica dei nostri tempi ha seguito con viva attenzione e lungamente applaudito alla fine.

Cesare Galla
(30 aprile 2024)

 

La locandina

Soprano Felicita Brusoni
Regia del suono Alvise Vidolin
Programma:
Luigi Nono
La fabbrica illuminata

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