Macerata: Bía, ovvero l’abito scomodo che non possiamo rifiutare

Quando le nostre dita tozze, sinuose come piccoli salsicciotti, stringevano quelle affusolate e già un po’ usurate dei nostri genitori, non c’era frase che finisse senza un punto interrogativo. Tanta era la voglia di conoscere il verso in cui il mondo girava. Con il tempo smettiamo di fare domande, maturando la convinzione che le uniche domande davvero sensate siano quelle che non ammettono risposta.

Questo almeno fino a quando la vita non ti regala l’occasione di tornare a farti qualche sensata domanda, magari senza avere la certezza di una risposta, posto che le certezze le possiedono solo i talebani e gli iscritti al Club Associazione Lepanto.

Solo con questa doverosa premessa in metodo è opportuno approcciarsi all’esperienza che ci ha offerto Bía, un pregevole atto unico vincitore del Concorso Macerata Opera 4.0 per giovani under 35 andato in scena nel seno – mai termine fu più appropriato–  del Macerata Opera Festival.

Il progetto, nato da un’idea di Antonio Smaldone, si è tradotto in un lavoro di squadra che, come sovente capita, è stato capace di astrarre nuovi significati dal pensiero originale.

Percorso ad ostacoli quello dell’opera confezionata dal gruppo capitanato da Smaldone, perché quando i bambini sono i protagonisti in scena è assai facile scadere nella facile ruffianeria. Ma non è stato questo il caso.

Anzi già la protagonista della scena – la bravissima Ottavia Pellicciotta, settenne – è stata capace di lavorare mirabilmente per sottrazione e così hanno fatto tutti i protagonisti.

Per fornire un sommario-plot dell’opera sarebbe forse necessario un secondo o terzo passaggio tante sono state le suggestioni che lo spettacolo ha evocato, però – per tornare alla premessa in metodo – il senso della musica e della performance teatrale che l’ha accompagnata è parso quello di squarciare il velo della zuccherosa ipocrisia che orienta il comportamento del mondo adulto nei confronti dei bambini, dove anche le più amorevoli cure genitoriali più che all’amore che muove le stelle sono spesso orientate ad un’idea di possesso.

La musica composta da Marco Benetti è la perfetta traduzione di questa denuncia. È priva di quell’autocompiacimento che fa spesso deragliare gli autori contemporanei e anche l’interruzione delle note della nona di Beethoven è una scelta quasi obbligata anzi addirittura coerente. Nel mondo di Bia non c’è spazio di assoluzione per nessuno.

Benetti e la voce baritonale di Emily de Salve ci riservano forse il momento più alto sul piano artistico dello spettacolo. Nella vita Emily è una donna assertiva e generosa e la voce baritonale per la quale Benetti ha composto una meravigliosa ballata non la trasforma in un ossimoro vivente, come vorrebbe un’analisi superficiale, ma piuttosto in una nuova esperienza umana.

Emily indossa i panni di una sedicente e sadica educatrice e la sua voce da baritono, insieme alle note onomatopeiche della ballata, sono capaci di astrarre la violenza da ogni connotazione sessuale o sessista, relegandola a ciò che è davvero: l’atto di negazione dell’essere umano, posto che le braccia degli uomini sono fatte solo per incontrarsi negli abbracci, circostanza che abbiamo dolorosamente compreso in questi ultimi mesi.

Attenta e misurata la prova attoriale dei bambini e degli adulti sul palco, tra i quali si segnalano la saggia vegliarda Fulvia Zampa e i movimenti acrobatici delle due vittime della sadica educatrice, i giovanissimi Giorgio Epifani e Michele Polisano.

Nel mettere in scena questa esperienza Smaldone è stato brillantemente accompagnato da Riccardo Olivier, che ha curato anche la coreografia, e dal già apprezzato regista Davide Gasparro. La rappresentazione scenica è parsa davvero curata, grazie alle belle luci arcobaleno di Paolo Vitale e alle scene e ai costumi di Stefano Zullo, frutto di quell’amore artigianale che ha fatto grande il nostro paese.

E un grazie speciale al pubblico che, dopo le giuste sollecitazioni, è stato capace di diventare parte dello spettacolo ricordando ciò che già dicevano i greci e forse anche mio zio.

Il teatro è fatto per permetterci di indossare i panni degli altri, amplificando l’empatia tra gli esseri umani. Anche quando i panni sono quelli scomodi che Bia ci ha suggerito.

Marco Ubezio
(20 luglio 2020)

La locandina

Regia Riccardo Olivier, Antonio Smaldone
Scene e costumi Stefano Zullo
Luci Paolo Vitale
Video Art Piera Leonetti
Coreografia Riccardo Olivier
Regista collaboratore  Davide Gasparro
Coreografa assistente Erica Meucci
Personaggi e interpreti:
Una bimba Ottavia Pellicciotta
L’anima Fulvia Zampa
La donna in tailleur Emily De Salve
Le vittime Giorgio Epifani, Michele Polisano
Κόρος (coro senza voce) ASD EL DUENDE
Voce di Bíα Giancarlo Sessa
Yaguine Koita e Fodè Tounkara Raffaella Di Caprio
Voci delle anime dei naufraghi Valeria Feola, Giulia Moscato
Prigionieri, lavoratori e cultori dell’essere “umani” Pubblico

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